THE SUN DOGS dei Rose Windows
ARTISTA: ROSE WINDOWS
TITOLO: The Sun Dogs
ETICHETTA: Sub-Pop/Audioglobe
ANNO: 2013
La band di Seattle è stata fondata dal chitarrista e compositore Chris Cheveyo per rispondere all’urgenza del suo leader di avviare una fase nuova ed importante della sua esperienza musicale che coagulasse intorno al nucleo un più ampio range di indirizzi musicali cui fare riferimento. D’altronde il nome stesso della band aiuta ad individuare questa esigenza: Rose Windows deriva da uno stile architettonico gotico applicato generalmente alle finestre circolari delle chiese nel 17° secolo, dagli intrecci decorativi e dai mille colori; mille sfumature proprio come quelle che il gruppo si prefigge di rappresentare. Il loro disco d’esordio rappresenterà una sorpresa per chiunque se ne avvicini all’ascolto. Non solo uno sperimentale ma corroborante psychedelic-folk, fatto di sapiente mistura strumentale e di calde ballate (si pensi alla sinuosa ed avvolgente “Wartime Lovers”), ma anche il blues (“Walkin’ With A Woman”), il rock (heavy) trasfigurato da ripetute metabolizzazioni sedimentatesi le une sulle altre, e che in primis conducono verso la più concreta delle risultanti della stagione post-rock, l’alt-rock d’Americana dei grandi spazi e dal respiro malinconico e dalle atmosfere darkly, un tocco esoterico speziato da sonorità orientali, un non so che di sciamanico che prende il largo in qualche frangente, perfino un certo velleitarismo dal sapore zappiano, che si coglie di “Native Dreams”, un brano che inizia con un assolo di flauto prima di aprirsi ad un solido riff chitarristico su un tappeto musicale servito da un organo che si spinge sui territori battuti dai Doors nel corso della loro stagione più felice, e che è stato scelto come primo singolo pilota a promuovere l’album. Ma nel novero dei pezzi inclusi brillano pure la psych-ballad “Walkin’ With A Woman” e la ‘sognante’ “Indian Summer”. Nulla che suoni ‘deja-vù’, ma un groove originale e vitale, suadente ed accattivante, innovativo e ricco di soluzioni ritmiche, esplorativo, che non mancherà di affascinare i più bisognosi tra i lettori che cercano il nuovo senza spezzare il cordone ombelicale con le radici di base. Sette membri fissi e porte aperte alle collaborazioni estemporanee e/o collettive di amici e musicisti che condividono la magnifica idea che ha ispirato il progetto di Cheveyo. Un sound fresco e cosmopolita (che getta un solido e sapiente ponte con il passato) impostato sugli intrecci distorti delle chitarre del leader e di Nils Petersen, dagli intriganti contributi vocali, ora dal sapore mistico ora da quello esotico (sono palesi atmosfere che rimandano alla Persia, all’India, all’est-europeo), di Rabia Shabeen Qazi (“This Shroud” per dare un esempio incisivo; chissà perché ci ricorda Grace Slick), sul robusto tappeto sonoro assicurato dal piano e dall’organo di David Davila e da basso (Richie Rekow), batteria (Pat Schowe) e flauto (Veronica Dye).
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA