Musica

TERMS OF MY SURRENDER di John Hiatt

 

 

 

 

ARTISTA: JOHN HIATT
TITOLO: Terms Of My Surrender
ETICHETTA: New West
ANNO: 2014

È una presenza rassicurante quella di John Hiatt sulla scena cantautorale di nicchia odierna, e lo è soprattutto nella misura in cui ogni sua nuova prova non deve necessariamente essere testimonianza di un cambiamento stilistico imperioso e/o radicale ma porsi invece come un appuntamento cadenzato nel tempo, una consuetudine irrinunciabile per chi lo ama (e parliamo sicuramente di fan over-‘anta’), un artista rispettato da chi lo conosce; un po’ quello che accade con Van Morrison. Un nuovo disco di Hiatt non ambisce a scalare le classifiche, la motivazione più plausibile va ricercata nel piacere del suo autore di fare musica, di incidere dischi per comunicare le sue sensazioni e di condividerle con il suo pubblico; forse sollecitato dalla sua etichetta, forse no, esattamente come accade a Van ‘The Man’, per citare nuovamente l’irlandese. Una carriera lunga 40 anni, e poco più di una ventina di album – in pratica uno ogni due anni circa e non aver perso una sola briciola dello smalto che gli viene riconosciuto -, contraddistinta dalla personale (ri)‘lettura’ delle radici d’Americana in album diversi tra loro nello spirito di un approccio ‘low-profile’ da artista indie (ha abbandonato i sentieri che avrebbero potuto condurlo alla gloria delle classifiche dopo la metà dei ’90), tra ballate folk-rock mai banali, intrecci chitarristici dalla tessitura ricercata ed echi di rock’n’roll. Passo dopo passo, album dopo album (ben 9 in studio nel nuovo millennio) a cementare e consolidare la sua reputazione; sempre pronto a mettersi in gioco, nulla appare ordinario nella sua produzione. Nel 2012 “Mystic Pinball” – nel mezzo c’è stato “My Kind of Town” dello scorso anno, che recuperava un’esibizione live trasmessa nel ’93 su una radio FM di Chicago – si era perfino rivelato una delle sue cose migliori – ed è tutto dire sulle sue qualità – ed era difficile ipotizzare un ulteriore salto di qualità. C’è una pronunciata sensibilità blues a guidare la mano di Hiatt che riannoda le fila con la chitarra acustica (a lungo trascurata) con risultati sorprendenti. Fin dalla iniziale “Face Of God”, passando per la laconico e struggente “Wind Don’t Have To Hurry”, per arrivare a “Baby’s Gonna Kick” (con l’armonica che prende il sopravvento) in cui vengono citati nel testo John Lee Hooker e Howlin’ Wolf. E ancora “Marlene”, dichiarazione amorosa a ritmo di bayou, la title-track dall’incedere nostalgicamente western, “Long Time Coming” che potrebbe far bella mostra nel repertorio di Springsteen, “Old People” che ricorda l’ironia di “Short People” di Randy Newman. La voce, profonda ed evocativa, sembra migliorare con gli anni e dona ulteriore pregio a brani dal sound asciutto e scarno (prodotto dal chitarrista e sodale di lungo corso Doug Lancio).

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA