Vinile

HAMMERSMITH ODEON, LONDON ’75 di Bruce Springsteen in Vinile

 

 

 

 

ARTISTA: BRUCE SPRINGSTEEN & the E Street Band
TITOLO: Hammersmith Odeon, London ’75
ETICHETTA: Columbia/Legacy/Sony Music [4LP]
ANNO: 2017

 

 

In occasione del Record Store Day di quest’anno la Sony Music, attraverso la sussidiaria Legacy, ha creduto bene di regalare al popolo degli appassionati di Rock, e di Bruce Springsteen in particolare, una delle perle più affascinanti, e significative, dello straordinario portfolio Live dell’artista, il concerto tenuto a Londra il 18 novembre del 1975, uno dei più celebrati e leggendari di Springsteen e, di conseguenza, uno dei più bootleggati, “Hammersmith Odeon, London ’75”, che finalmente trova la sua pubblicazione ufficiale in vinile. Il Record Store Day – lo ricordiamo per i meno informati – è stato inaugurato a livello internazionale nel 2007 ed è una giornata (che cade ogni terzo sabato del mese di aprile) dedicata ai dischi in vinile ma soprattutto a quei negozi indipendenti che con passione e pervicacia, e non senza enormi difficoltà gestionali, sono riusciti a sopravvivere al declino inesorabile dell’oggetto fisico ‘disco’ e primariamente hanno privilegiato il tanto bramato (solo per una nicchia di consumatori) formato in vinile, dato per morto qualche decennio fa e invece oggi vivo e vegeto e in grande rilancio. In questa giornata, proprio in questo momento celebrativo, è diventata una piacevole iniziativa quella di pubblicare svariati materiali in vinile a tiratura limitata e/o in edizioni speciali, organizzare mostre, performance musicali e quant’altro. Il quadruplo album di Springsteen è in vendita per la prima volta in vinile (150 grammi) con tiratura limitata e numerata in 30 mila copie. Nel 2006 “Hammersmith Odeon, London ‘75”, il leggendario concerto che segnò l’arrivo in Europa per la prima volta di un astro annunciato, era uscito in doppio CD ma non in vinile; mentre il DVD del concerto in questione inizialmente era stato incluso l’anno precedente nella ristampa Deluxe Edition di “Born to Run: 30th Anniversary” accanto a “Wings For Wheels: The Making of Born to Run“, un eccellente documentario dedicato alla realizzazione del progetto discografico che cambiò la vita di Bruce e sconvolse l’esistenza di tanti appassionati fan della prim’ora. La martellante campagna promozionale in Gran Bretagna, orchestrata dalla Columbia e che aveva fatto crescere l’attesa per il concerto, il primo del promettente artista fuori dagli Stati Uniti e non ancora divenuto uno dei protagonisti assoluti della storia della musica americana contemporanea, aveva puntato sulle parole “Londra è finalmente pronta per Bruce Springsteen”, e tutti – addetti ai lavori e pubblico – erano pronti a verificarne la risonanza. Già da qualche tempo negli Usa gli autorevoli magazine Time e Newsweek avevano messo in copertina il volto dell’artista certificandone così di fatto una sorta di ‘welcome’ nello showbiz, e poi, tre mesi prima dell’esibizione londinese, c’era stata la pubblicazione di “Born To Run”, un album importante, accolto con un misto di curiosità e fascinazione, utile ad avvalorare le parole profetiche espresse qualche mese prima dell’uscita da Jon Landau, giornalista ancora lontano dal diventare manager di Bruce: «Ho visto il futuro del Rock’n’Roll e il suo nome è Bruce Springsteen». Il 1975 è l’anno della definitiva consacrazione di Bruce Springsteen come artista internazionale, assistere ad un suo concerto – lo sappiamo in tanti – è un evento che può cambiare la vita, e a molti, tanti, l’ha cambiata davvero; ai miei figli negli anni scorsi, prima di portarli per la prima volta poco più che bambini al concerto di Firenze del 10 giugno 2012, dicevo, mostrando il palmo della mano e il suo rovescio: «dopo aver assistito ad un concerto del Boss la vita di chiunque cambia da così a così». All’affermazione di Landau si aggiungevano successivamente le parole di Greg Marcus a proposito del disco, «Chiunque ami il rock’n’roll è obbligato a confrontarsi con questo album, con la sua varietà di stili, con la sua musica ruvida e forte, con le liriche che fondono insieme le speranze più vive e alcuni aspetti più oscuri del sogno del rock’n’roll», e quelle che scrisse Lester Bangs recensendo “Born To Run” su Creem in quell’anno fatidico: “Springsteen è un archetipo americano”. Da quel lungo e bellissimo articolo (“Growing Young with Rock and Roll”, “Crescere, rimanere giovani con il Rock and Roll”) del 1974, uscito sulle pagine della rivista “The Real Paper”, in cui Jon Landau esprimeva quel giudizio così significativo e profetico, entrato poi nella storia del Rock, abbiamo estratto alcuni passaggi che vogliamo proporvi: «Durante il College, ho utilizzato la musica come se fosse il bastone della mia vita. Altri ricorrevano alla droga, alla scuola, ai viaggi, all’avventura. Mi piaceva la musica: ascoltarla, suonarla, parlarne. Qualcuno seguiva l’ispirazione dell’acido, dello Zen, o lasciavano gli studi, io ho seguito lo spirito del rock’n’roll. […] In quegli anni, spesso solitari, la musica era la mia compagna costante e la ricerca della nuova incisione era come una ricerca di un nuovo amico e di una nuova rivelazione. […] Quando lasciai il college nel 1969 ed entrai professionalmente nella produzione discografica, iniziai ad esaurire il mio apparentemente insaziabile appetito. Non è che provassi un interesse meno intenso di prima riguardo certi artisti; semplicemente mi sentivo così verso numero inferiore di loro. Diventai non solo più esigente ma anche più indifferente. Provavo particolare difficoltà ad ascoltarne di nuovi. Avevo raggiunto abbastanza esperienza a ripiegare sulla musica quando avevo bisogno della sua compagnia, ma in questo periodo della mia vita scoprii che avevo bisogno meno della musica e di più della gente, che trascorrevo troppo tempo della mia vita ignorando. Oggi ascolto la musica con un certo distacco. Sono un professionista e mi guadagno da vivere commentandola. Ci sono mesi in cui la odio, e attraverso la routine proprio come un venditore di scarpe attraversa la sua. Seguo il Cinema con la passione che provavo un tempo per la musica. Ma nei momenti di maggior bisogno, non ho mai rinunciato alla ricerca di suoni che possano rispondere a miei impulsi, consumare tutte le emozioni, pulire e purificare – tutte cose che non abbiamo il diritto di aspettarci persino dalle più grandi opere d’arte, ma che possiamo ottenere di tanto in tanto dalla musica. […] Ma stanotte c’è qualcuno di cui posso scrivere nel modo in cui scrivevo dieci anni fa, senza riserve di nessun tipo. Giovedì scorso [vedi: 9 maggio 1974. La notte in cui Springsteen apre gli occhi a Landau…]  all’Harvard Square Theater [Cambridge, Massachussets] ho visto il passato del rock and roll balenarmi davanti agli occhi. E ho visto anche qualcos’altro: ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen. E in una notte in cui ho avuto bisogno di sentirmi giovane, mi ha fatto sentire come se stessi ascoltando musica per la prima volta. Quando il suo set di due ore si è concluso riuscivo solo pensare: può esserci davvero qualcuno così bravo? può esserci qualcuno che riesce a dirmi così tanto? può davvero il rock’n’roll parlare ancora con questo tipo di potere e di gloria? E poi ho sentito le piaghe sulle mie cosce dove avevo battuto le mani a tempo per tutto il concerto… e sapevo che la risposta era sì. […] Bruce Springsteen è una meraviglia da guardare. Magro, vestito come un reietto da Sha Na Na, sfila davanti alla sua band come un incrocio tra Chuck Berry, il primo Bob Dylan e Marlon Brando. Ogni gesto, ogni sillaba aggiunge qualcosa al suo obiettivo finale – quello di liberare il nostro spirito, mentre lui libera il suo mettendo a nudo la sua anima attraverso la sua musica. Molti ci provano, pochi riescono, nessuno più di lui oggi. […]», e concludendo con: «A proposito di rock’n’roll, i Lovin’ Spoonful una volta cantavano: “Io ti racconto la magia che libererà la tua anima / Ma è come cercare di raccontare a un alieno del rock’n’roll”. Giovedì scorso, mi sono ricordato che la magia esiste ancora e finché scrivo di rock, la mia missione è raccontare a un alieno di rock – basterà ricordarmi che io sono l’alieno per il quale sto scrivendo». Nel concerto londinese di quel novembre ‘75, dinanzi ad una platea sold-out di 3500 persone, con l’incredibile supporto musicale della formidabile E Street Band, annunciato quale nuovo nascente del rock americano, dopo gli iniziali, comprensibili timori, con l’artista quasi intimidito, Bruce ha dato il meglio di sé con un’esibizione che, sull’album quadruplo da poco pubblicato, cattura splendidamente la potente combinazione di forza, determinazione, energia, ambizione che caratterizzarono i primi anni della sua carriera. Bruce sale sul palco da solo, barba scura, giacca di pelle e cappello di lana sul capo, si parte con l’indimenticabile “Thunder Road”, uno dei futuri cavalli di battaglia del repertorio dal vivo, introdotta dal magico suono del piano di Roy Bittan che poi continua ad accompagnarlo, con registri timbrici sempre diversi, e sempre più insistiti, nello straordinario crescendo emozionale che del pezzo conosciamo, con un testo che è paradigmatico, fondamentale nella poetica di Bruce, storia di fuga e redenzione servita con quella sua distintiva, vigorosa e lirica voce roca. Dopo di che entra in scena la E Street Band che si schiera alle spalle di Springsteen, pronta a dispiegare tutta la sua forza sonora; ed è la volta di “Tenth Avenue Freeze-Out”, “Spirit In The Night” e “Lost in The Flood” ad alzare il livello del ‘wall-of-sound’ e il climax generale del concerto, con il contributo – direi quasi ‘feroce’ – della chitarra di Stevie Van Zandt, che si intreccia con quella di Bruce, e del sax (dalle colorazioni Rhythm & Blues) di Clarence Clemons, oltre agli altri affiatatissimi componenti del gruppo. In scaletta ci sono quasi tutti i brani contenuti in “Born to Run” inframmezzati dai pezzi dei due album precedenti, in versioni allungate, talvolta dilatate a dismisura, nel rispetto di copioni di esecuzione cristallizzati nel tempo, più un paio di gioielli live come il “Detroit Medley” (che raccoglie le elettrizzanti “Devil With A Blue Dress On”, “Good Golly Miss Molly” e “Jenny Take A Ride” di Mitch Ryder) e la conclusiva e trascinante “Quarter to Three”. Spicca per dinamicità “4th of July, Asbury Park (Sandy)” e poi, così una dietro l’altra, vengono snocciolate “She’s The One”, con gli impareggiabili duetti a riprova delle magnifica coesione della E Street Band, “The E Street Shuffle”, “Kitty’s Back” è una jam session di 17 minuti, raggiungendo il punto emotivamente più coinvolgente in brani quali “Jungleland”, “Backstreets”, “It’s Hard to Be a Saint in the City” e “Rosalita (Come Out Tonight)” ed ovviamente – è quasi banale dirlo – il cavallo di battaglia assoluto, “Born To Run”. Che quel 18 novembre 1975 possa essere stato l’inizio di un’avventura e d’una carriera musicale strabilianti appare chiaro all’ascolto di questo album (o alla visione del DVD contenuto nella Deluxe EditionBorn to Run: 30th Anniversary”), dove si respira per intero l’epica del verbo springsteeniano. Nell’autobiografia ufficiale, Born To Run” ===Leggi la Recensione===, pubblicata nel settembre 2016 da Mondadori (pp. 554, € 23,00), Springsteen dedica un bellissimo capitolo a questa prima, fondamentale, avventura londinese, dal titolo “London Calling” (a pagina 242); eccone alcuni brevi passaggi: «Beatles, Stones, Yardbirds, Kinks, Jeff Beck, Clapton, Hendrix, Who: eravamo diretti all’isola dei nostri dei idoli, la patria del Secondo Avvento, la remota costa su cui la prima generazione di blues e rock’n’roll americano era naufragata per essere compresa, perfettamente assimilata e poi trasformata in qualcosa di mirabolante. […] Quando arriviamo (all’Hammersmith Odeon; N.d.R.), l’insegna illuminata recita: FINALMENTE! LONDRA È PRONTA PER BRUCE SPRINGSTEEN. A pensarci bene, forse avrei usato un tono diverso: non è un tantino… presuntuoso? Una volta dentro, trovo ad accogliermi su ogni sedia e ogni superficie libera un mare di poste e volantini che mi proclamano LA CAZZO DI NOVITA’ DEL MOMENTO! È un bacio della morte! Non è meglio che siano i fan a giudicare? […] … l’”Io” artistico che ti sei costruito con tanta meticolosa cura, la maschera, il costume, il travestimento, la tua identità da sogno, tutto questo rischia di sfaldarsi, di crollare. Un istante dopo, eccoti volare alto, profondamente immerso nel tuo “Io” autentico, elevando la musica della tua band al di sopra della gente qui riunita. La distanza tra questi due “Io” è spesso infinitesimale. È ciò che lo rende così interessante, è per questo che il pubblico paga il biglietto ed è per questo che si dice “DAL VIVO”. […] … la prima serata all’Hammersmith Odeon divenne da un lato una delle nostre performance più “leggendarie”, dall’altro l’occasione per imparare una lezione fondamentale: se non persegui con aggressività e dinamismo i tuoi desideri, ciò che hai creato rischia di esserti sottratto, con conseguenze imprevedibili. E a quel punto, comunque vadano le cose, ti ritroverai nudo sull’altare del dio denaro, la cui logica è dettata dal DNA del mercato».

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 


(immagini per cortese concessione della Columbia/Legacy/Sony Music)

 

Tracklist (LP):
Side One
Thunder Road 5:50
Tenth Avenue Freeze-Out 3:50
Spirit In The Night 7:35
Side Two
Lost In The Flood 6:15
She’s The One 5:23
Born To Run 4:16
Side Three
The E Street Shuffle 12:51
Side Four
It’s Hard To Be A Saint In The City 5:27
Backstreets 7:22
Side Five
Kitty’s Back 17:14
Side Six
Jungleland 9:35
Rosalita (Come Out Tonight) 9:51
Side Seven
4th Of July, Asbury Park (Sandy) 7:03
Detroit Medley 7:02
Side Eight
For You 8:26
Quarter To Three 6:44