Vinile

GREATEST HITS di Bruce Springsteen in Vinile

 

 

 

ARTISTA: BRUCE SPRINGSTEEN
TITOLO: Greatest Hits
ETICHETTA: Columbia/Legacy/Sony Music [2 LP]
ANNO: 1995
 
Proseguiamo sulla strada intrapresa di recuperare all’ascolto degli appassionati (vecchi e nuovi) i storici album in vinile del Rock.
 
Quando la prima raccolta ufficiale dei successi di Bruce Springsteen usciva nel 1995, a ben ventidue anni e dieci dischi in studio di distanza dall’album d’esordio, l’epoca d’oro dei dischi in vinile si era considerevolmente affievolita, lasciando il passo ai CD che oramai imperversavano incontrastati sul mercato. 

La recente pubblicazione in Italia (su doppio Long Playing da parte di Sony Music) del “Greatest Hits” di quell’anno costituisce una sorta di piccolo evento discografico – per molti anni non è stato disponibile in vinile pure negli Usa – e un viatico per quanti hanno continuato a coltivare nel proprio piccolo la passione per l’antico formato e vedono premiata la loro passione e dedizione di pari passo con la rinascita di questo supporto. Altre raccolte di Springsteen sarebbero seguite a quella del ’95, una perfino con identico titolo nel 2009, ma questa di cui trattiamo conserva un fascino speciale, vuoi per la sua iconica copertina, con Bruce di spalle e la chitarra a tracollo, e vuoi per i contenuti musicali, per i brani inclusi, sapientemente scelti nel solco della grande tradizione del ‘Rock that never ends!’ e nella più romantica delle liturgie musicali giovanilistiche. Ancora oggi, all’età di 69 anni da poco compiuti (il 23 settembre), il ‘Boss’ è uno dei più carismatici protagonisti della scena rock, legittimo erede della tradizione di Elvis Presley e degno prosecutore dell’impegno civile e poetico di Bob Dylan. Ma egli è stato pure un predestinato cui giovarono le parole scritte dal critico musicale Jon Landau – “Ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen” – parole che sono ‘suonate’ alle orecchie degli appassionati del Rock come un ineludibile presagio. Bruce ha avuto quasi sempre al suo fianco ad assecondarlo la straordinaria E-Street Band, soprattutto nel momento più fulgido e creativo della sua carriera, c’è stato un periodo di stasi in cui la band era stata liquidata perentoriamente per ragioni non meglio identificate, poi di nuovo insieme per dare 

vita al una nuova splendida cavalcata musicale nei tour ‘on the road’ e in sala d’incisione. Aggiungiamo pure che dopo la ‘reunion’ Springsteen è andato a vivere una nuova, straordinaria stagione di successi, con tournèe mondiali dal tutto esaurito ad ogni concerto, ha goduto di un ritorno d’interesse da parte del pubblico più variegato e il consenso incondizionato della critica. Il Boss rispecchia le suggestioni che ha saputo suscitare presso il ‘popolo del rock’; quando poi imbraccia la chitarra acustica o suona l’armonica ne incarna gli ideali più genuini. Senza retorica celebrativa abbiamo la certezza che Springsteen possa ancora affermare cose importanti in uno scenario musicale certamente mutato negli due decenni, ma ancora in grado di riservare una fetta consistente del suo potenziale ad un personaggio come Bruce. E questo ve lo possiamo testimoniare perché abbiamo assistito a numerosi concerti nell’arco della nostra vita e della sua carriera, e soprattutto ad alcuni degli ultimi anni. Dalle umili origini in quel del New Jersey (madre casalinga di origine italiana e padre tuttofare, prima operaio, poi guardia carceraria, infine autista di autobus), e dalle pronunciate difficoltà economiche, Bruce ha saputo estrarre una fonte inesauribile di esperienze e di ispirazione per i testi delle sue canzoni. La musica di Bruce Springsteen è stata costruita su stili differenti il cui cuore pulsante però rimane la commistione tra Rock, Rhythm & Blues e Folk. Gli album della maturità artistica, sulla scia di un dolente incedere Folk che ha radici nella lezione di Woody Guthrie e Bob Dylan, dispensano a piene mani il verbo della protesta, della speranza e dei sogni cullati nella propria indole dalla gente comune e meno abbiente, tanto da rendere ben presto Bruce riconoscibile quale eroe della classe operaia, il ‘working class hero’ per antonomasia. I testi sovente raccontano della disillusione del ‘Sogno Americano’, tratteggiano le figure di ‘beautiful loser’, di giovani delusi e sconfitti, che poi nella realtà dei fatti trovano proprio nella musica (e nelle parole) di Springsteen la forza e gli stimoli per andare avanti, e superare gli ostacoli e le difficoltà.
Greatest Hits”, la prima raccolta ufficiale nella carriera di Bruce, venne assemblata sotto la supervisione di Jon Landau, come ha raccontato lo stesso artista: «La selezione dei pezzi è stata principalmente un’idea di Jon. Non abbiamo tentato di fare un ‘best of’ perché ognuno di noi ha le sue idee personali al riguardo. Fondamentalmente, quelli scelti, erano i brani usciti come singoli. L’unica eccezione è rappresentata da “Thunder Road”, che sembrava comunque un pezzo fondamentale. Mi piaceva l’idea classica del disco di successi, una specie di “50,000,000 Elvis Fans Can’t Be Wrong”: pensavamo a quello quando lo abbiamo fatto. Volevamo realizzare un album divertente, qualcosa che si può usare come sottofondo mentre si fanno le pulizie di casa. Credo che uno dei motivi per cui abbiamo realizzato il disco fosse che volevo far conoscere la mia musica ad una fascia di pubblico più giovane, che per dodici dollari può avere una buona panoramica del mio lavoro di anni. Ai miei vecchi fan volevo dire: ‘Questo significa ancora qualcosa per me, voi significate ancora qualcosa per me’. Era un modo per riaffermare la relazione che ho costruito con il mio pubblico negli ultimi venticinque anni, che è il rapporto più importante della mia vita al di fuori della mia famiglia». L’album venne pubblicato per la prima volta il 27 febbraio 1995 per la Columbia Records, ed ottenne – come è facile comprendere dalla grande attesa che l’accompagnò – un enorme successo, arrivando alla vetta delle classifiche di vendita americane (nella Bilboard 200) e inglesi, vendendo oltre quattro milioni di copie nei soli Stati Uniti. In Italia ha venduto oltre 350.000 copie. Per gli amanti dei dischi in vinile “Greatest Hits” si presenta con una copertina apribile (‘gatefold’), tredici dei brani inclusi sono stati estrapolati dagli album più importanti del Boss pubblicati fino al 1992 (da “Born to Run” a “Lucky Town”; non figurano quindi canzoni tratte dai primi due lavori discografici del rocker), con l’aggiunta di “Streets of Philadelphia”, tratta dalla colonna sonora del film “Philadelphia” di Jonathan Demme, la struggente elegia per le vittime dell’AIDS premiata da un Oscar per la Migliore Canzone in un Film, e quattro nuove canzoni registrate con la E Street Band nel 1995. E che sono “Murder Incorporated”, una delle outtake più amate, che era stata registrata nel 1982 durante le session che avrebbero condotto a “Born in the U.S.A.” e poi esclusa dal ’final cut’, pezzo che con quella ritmica incisiva e le chitarre esplosive, rimanda senza equivoci a quei magnifici primi anni Ottanta, “This Hard Land” (composta nello stesso periodo), una ballata folk elettrica carica di suggestioni autorali, “Secret Garden”, che si muove dalle parti di “Streets Of Philadelphia”, e “Blood Brothers”, il cui testo è un omaggio che il Boss esplicita nel confronti dei compagni di tante avventure e di tanti concerti condivisi, la E Street Band. Questi inediti sarebbero stati inclusi l’anno successivo, nel documentario “Blood Brothers”.
In apertura “Born To Run” (tratto dall’album omonimo del 1975) è ormai un consolidato classico del Rock, è l’anthem inarrivabile della poetica di Bruce e inno indiscusso per le generazioni di fan che si sono susseguite (o meglio, ‘incrementate’) nei decenni. Bruce ha raccontato la genesi del brano partendo dalla scelta del titolo: «Un giorno suonavo la chitarra seduto sul letto, lavorando su alcune idee per future canzoni, quando mi vennero in mente le parole ‘nato per correre’. All’inizio pensai si trattasse del titolo di un film o di qualche scritta che avevo letto su un’automobile, ma non ne ero sicuro. La frase mi piaceva perché mi fece pensare a una sceneggiatura cinematografica e mi sembrava si sarebbe adattata bene alla musica che avevo in testa» (tratto dal libro “Songs”). Nel maggio 1974 Bruce e la E-Street Band registrarono la base strumentale di “Born To Run” e a giugno vi aggiungevano la parte vocale, completandone la (prima) versione definitiva in studio in agosto. Springsteen era spinto dal desiderio di ricreare il tipico ‘wall of sound’ delle produzioni discografiche del mitico Phil Spector. «“Born To Run” era più densa delle mie canzoni precedenti – dichiarò Springsteen -, aveva la stessa eccitazione di “Rosalita” ma trasmetteva il suo messaggio in minor tempo e con un’esplosione più rapida di energia». La realizzazione di “Born To Run” però è stata lunga e travagliata, per i continui ripensamenti sugli arrangiamenti più adatti che potessero far emergere con forza l’energia che il brano avrebbe potuto (potenzialmente) sprigionare. Quando il singolo di “Born To Run” usciva nell’agosto del 1975 otteneva sì un buon successo (23° posto nella classifica di Bilboard, il miglior piazzamento fino allora ottenuto da Bruce), che finalmente faceva decollare la sua carriera, ma non era ancora quello straordinario che avrebbe ottenuto successivamente. Mike Appel, il produttore del disco dichiarò: «È diventato un classico, ma a tutt’oggi nella mia testa non è un successo commerciale. È un grande successo artistico. Quel dischetto è una grande opera d’arte, e ha richiesto molti sforzi e molto mestiere. Si è guadagnato un posto nel pantheon dei grandi dischi in tutte le classifiche». “Born To Run” è oggi quel che sappiamo, è di certo – lo ha riconosciuto pure Bruce – ha condizionato la scrittura dei brani che sono venuti dopo.
The River” (tratta dall’album omonimo del 1980), la canzone, è un altro dei capolavori assoluti dell’artista del New Jersey, e la mia preferita del suo canzoniere, una delle più intense e emozionanti; nell’album che la contiene, si intrecciano sempre di più le reminiscenze e le influenze di certa musica Country di cui Hank Williams (morto prematuramente il 1° gennaio 1953 all’età di meno di trent’anni) era stato icona e precursore carismatico, ed uno dei più influenti per la musica popolare americana. Bruce ha raccontato che il brano cui si è ispirato per scrivere il testo della canzone, e per ‘catturarne’ il ritornello, è stato proprio “My Bucket’s Got A Hole In It” di Hank, anche se probabilmente ha fatto confusione con “Long Gone Lonesome Blues” dello stesso Williams che fa esplicito riferimento a qualcosa che accade sulla riva di un fiume. La canzone in buona sostanza ha elementi autobiografici e fa riferimento alla sua famiglia, è la storia di un ragazzo che ha messo incinta una ragazza e finiscono con il restare intrappolati in una vita deprimente. Bruce: «Utilizzai una voce folk, quella di un tipo in un bar che raccontava la sua storia ad uno straniero seduto su uno sgabello al suo fianco. Basai la mia canzone sulla crisi dell’industria edilizia nel New Jersey alla fine degli anni Settanta e sul difficile periodo che dovettero attraversare mia sorella e suo marito. Vidi mio cognato perdere il suo impiego ben pagato e lavorare duramente per sopravvivere senza mai lamentarsi. Quando mia sorella ascoltò la canzone per la prima volta, venne dietro il palco, mi abbracciò e disse: “Questa è la mia vita!”. Quella canzone mi fece capire quali temi mi interessavano davvero e rappresentò un modello compositivo che avrei approfondito ed affinato in “Nebraska” e “The Ghost of Tom Joad”» (tratto dal libro “Songs”). Il fotografo Joel Bernstein, dopo aver scattato alcune foto al gruppo e invitato a restare nello studio di registrazione nell’agosto 1979, quando la canzone “The River” venne registrata, ricorda così l’atmosfera che si respirò quel giorno: «La band si è scaldata suonando successi della storia del Rock, poi Springsteen ha imbracciato una chitarra acustica ed ha suonato il riff di base. Roy Bittan lo ha arrangiato, quindi sono entrati il basso e la batteria e infine tutto il gruppo. Ma erano tutti stanchi e hanno dovuto ripartire una ventina di volte, ma la canzone aveva davvero qualcosa di speciale». Nonostante ciò venne presta per buona la ‘take’ n° 5. In settembre Bruce eseguiva per la prima volta il brano in pubblico, al concerto di No Nukes, mandando in visibilio i presenti. Come singolo “The River” non ha avuto una diffusione massiccia, è stato pubblicato solamente in alcuni paesi europei, ma è stato da quel tempo in poi una presenza ineludibile (e costante) nelle scalette dei concerti di Springsteen.
Per “Thunder Road” (tratto da “Born To Run”), un altro dei suoi cavalli di battaglia, brano importantissimo e centrale nel repertorio, apertura e pilastro dell’album “Born To Run, Springsteen si era ispirato all’omonimo film del 1958 (conosciuto in Italia con il titolo di “I contrabbandieri”, diretto da Arthur Ripley ed interpretato da Robert Mitchum) – storia tragica di un reduce della guerra in Corea che smista alcol distillato illegalmente a bordo della sua Ford truccata – che lo aveva affascinato moltissimo. All’epoca della prima esecuzione dal vivo del brano, nel 1978, Bruce sottolineò d’aver rubato il titolo per la sua canzone dopo aver visto una locandina del film. Il testo della canzone ruota intorno all’universo (per molti versi epico, agli occhi dell’artista) della provincia americana, sulle disillusioni di una generazione cresciuta con i sogni degli anni ‘60, ed il cenno, nella prima strofa, ad una canzone di Roy Orbison che sgorga dalla radio va visto come un omaggio esplicito ad un artista che Bruce ha molto amato; «durante le registrazioni di “Born To Run” – ha spiegato – ho ascoltato molte cose di Roy Orbison, con il suo tenebroso romanticismo e la sua teatralità. Il mio modo di cantare in questo disco era il mio tentativo, il mio pietoso tentativo di avvicinarmi a lui», e ancora «Roy era lo sfigato più figo che si fosse mai visto. Con gli occhiali neri spessi come il fondo di una bottiglia di Coca-Cola e tre-ottave di estensione vocale, sembrava provare gioia nell’affondare il coltello nella piaga delle tue insicurezze di adolescente. Bastavano i titoli, “Crying”, “It’s Over”, “Running Scared”. La paranoia, oh, la paranoia. Cantava della tragica impossibilità di conoscere le donne. Era torturato dalla pelle morbida, dai golfini di angora, dalla bellezza e dalla morte. Ma cantava anche di come fosse stato innalzato alle vette di una gioia quasi inesprimibile dalle stesse cose che lo tormentavano. Che crudele ironia!». Musicalmente “Thunder Road” fa leva sul magistrale lavoro pianistico di Roy Bittan e Springsteen di rimando: «C’è qualcosa nella melodia di piano di “Thunder Road” che lascia pensare all’inizio di un nuovo giorno, ed è per questo che è diventata la prima del’album».
Badlands”, contenuta in “Darkness on the Edge of Town” del 1978, come era accaduto per “Thunder Road”, ha preso in prestito il titolo da un film, precisamente “La rabbia giovane” (titolo italiano), film di culto diretto da Terrence Malick del 1973, ma non c’è alcun riferimento alla trama del film. Con quel suo riff energico e indimenticabile (rubato agli Animals di “Don’t Let Me Be Misunderstood” del 1965 per stessa ammissione di Bruce) di tastiere e chitarre, si tratta di un altro indimenticabile cavallo di battaglia nei concerti Live dell’artista e della sua band (seconda solo a “Born To Run” per numero di esecuzioni), sempre invocato dai fan in platea, un archetipo del rock, uscita fuori dall’ispirazione dell’artista dopo un lungo e complicato percorso creativo. «”Badlands” era un grande titolo – ha detto nel 2010 – ma era facile bruciarlo. Però ho continuato a scrivere e riscrivere le strofe fino a quando ho ottenuto una canzone che sentivo meritasse quel titolo». Il brano, che si è conquistato nel tempo un’enorme popolarità, esprime nel testo la voglia di riscatto del personaggio descritto. L’assolo del sax (di Clarence Clemons) è stato introdotto nella struttura del pezzo solo poco tempo prima che si entrasse in sala d’incisione. Ovviamente qui vogliamo ricordare quanto fondamentale fosse la presenza di questo indimenticato ‘gigante buono’ (scomparso nel 2011) nel sound e nell’immagine della E-Street Band. Su 45 giri però “Badlands” non ottenne grande risonanza piazzandosi solamente al n° 42 della classifica di Bilboard, ma sappiamo anche bene quanto poco peso desse Springsteen al mercato dei singoli.
Streets of Philadelphia” è stata la prima canzone scritta da Bruce per un film e, complice il successo di critica ed i premi ottenuti dal film di Jonathan Demme, “Philadelphia” – una vicenda di un malato terminale di AIDS che difende i suoi diritti in tribunale interpretato da Tom Hanks e Denzel Washington -, in cui era inclusa, valse a Springsteen l’Oscar per la Migliore Canzone Originale per un Film nella notte hollywoodiana delle Stelle, quel 21 marzo del 1994. Inoltre si aggiudicò un Golden Globe cinematografico, per le stesse ragioni dell’Oscar, più quattro Grammy Awards musicali (Canzone dell’anno, Miglior Canzone Rock, Miglior Performance Vocale maschile, Miglior Canzone scritta per un Film) e un MTV Award per il Miglior Video tratto da un Film. Bruce aveva accettato l’incarico su desiderio espresso dal regista dopo aver visionato una copia del film, e dal quale era rimasto profondamente emozionato, ed il pezzo che tutti conosciamo venne fuori da alcuni tentativi operati dall’artista nel suo studio casalingo di Rumson e su pochi accordi che gli erano balenati per la testa. Piacque molto a Jonathan che inserì il brano in testa al film accompagnando immagini della città di Filadelfia. Il singolo “Streets of Philadelphia” balzò in testa alle classifiche in diversi paesi. Per quel che riguarda le altre canzoni incluse nella raccolta ricordiamo che “Hungry Heart” è tratto da “The River” (1980), “Atlantic City” da “Nebraska” (1982), “Dancing in the Dark”, “My Hometown”, “Glory Days” e la title-track dall’album “Born in the U.S.A.” (1984), “Brilliant Disguise” da “Tunnel Of Love” (1987), “Human Touch” dal disco omonimo del 1992 e “Better Days” da “Lucky Town” (1992).
La valenza principale del “Greatest Hits”, come detto, va innanzitutto ricercata nell’importanza rivestita dall’album all’epoca della sua uscita, ovvero d’essere la prima raccolta di successi ufficiale di Bruce, subito dopo l’attenzione cala sulla selezione (giocoforza ridotta) del meglio di una carriera allora più che ventennale. Già messe così le cose, non ci si poteva attendere una scelta esaustiva in quei tredici (dei diciotto) brani già editi, ma vi è pure la consapevolezza che sarebbe stato comunque impossibile sintetizzare in maniera soddisfacente il percorso artistico di Bruce Springsteen fino a quel momento. Poi questa in effetti non è una vera raccolta di successi per via di quei cinque brani inediti ivi inclusi. C’è da sottolineare ulteriormente che, nonostante da “Born In The U.S.A.”, nell’84 e nell’85, fossero stati estratti ben sette 45 giri che si piazzarono nella Top 10 delle classifiche americane, Springsteen non è mai stato artista da classifiche dei singoli, cosa che avrebbe reso perlomeno più immediato il ventaglio di pezzi sui quali ‘lavorare’. Ma la scelta di chi ha operato la selezione ha guardato alla sostanza di canzoni ‘importanti’ per Bruce, e non necessariamente ‘più popolari’. Si può obbiettare che manca qualche capolavoro seminale, come “Darkness on the Edge of Town” o “Rosalita”, “Tenth Avenue Freeze-Out” o “Racing in the Streets”, “I’m On Fire” o “Blinded By The Light”, “No Surrender” o “Drive All Night”, ma questo significherebbe fare le ‘pulci’ ad un album che, seppur in forma antologica, merita un posto di rilievo nella discoteca in vinile di qualsiasi appassionato di Rock, non solo dei fan di Springsteen. Si tratta di canzoni magnifiche che valgono l’acquisto del doppio album, ballate che sono addirittura migliorate nella nostra percezione con il passare degli anni, e l’ascolto raccolto e silenzioso del nero vinile ci regala mille sfumature sconosciute.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 


(immagini per cortese concessione della Columbia/Legacy/Sony Music)

 

 

 

Greatest Hits – Bruce Springsteen (1995) [76:46]
Tracklist (LP): 
Side One
1. Born to Run – 4:30
2. Thunder Road – 4:48
3. Badlands – 4:02
4. The River – 5:00
Side Two
1. Hungry Heart – 3:20
2. Atlantic City – 3:57
3. Dancing in the Dark – 4:03
4. Born in the U.S.A. – 4:41
5. My Hometown – 4:12
Side Three
1. Glory Days – 3:49
2. Brilliant Disguise – 4:15
3. Human Touch – 5:10
4. Better Days – 3:44
5. Streets of Philadelphia – 3:16
Side Four
1. Secret Garden – 4:27
2. Murder Incorporated – 3:57
3. Blood Brothers – 4:34
4. This Hard Land – 4:51

 

 

 

Tecnici del suono: 

Bob Clearmountain, Neil Dorfsman, Jimmy Iovine, Louis Lahav, Bob Ludwig, Toby Scott.

Produttori:
Mike Appel, Roy Bittan, Jon Landau, Chuck Plotkin, Bruce Springsteen, Steve Van Zandt.

 

  

  

   

 

Discografia di Bruce Springsteen:
Album in studio
Greetings from Asbury Park, N.J. (Columbia, 1973)
The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle (Columbia, 1973)
Born to Run (Columbia, 1975)
Darkness on the Edge of Town (Columbia, 1978)
The River (Columbia, 1980)
Nebraska (Columbia, 1982)
Born in the U.S.A. (Columbia, 1984)
Tunnel of Love (Columbia, 1987)
Human Touch (Columbia, 1992)
Lucky Town (Columbia, 1992)
The Ghost of Tom Joad (Columbia, 1995)
The Rising (Columbia, 2002)
Devils & Dust (Columbia, 2005)
We Shall Overcome: The Seeger Sessions (Columbia, 2006)
Magic (Columbia, 2007)
Working on a Dream (Columbia, 2009)
Wrecking Ball (Columbia, 2012)
High Hopes (Columbia, 2014)

 

Album dal vivo
Live/1975-85 (Columbia, 1986)
In Concert MTV Plugged (Columbia, 1993)
Live in New York City (Columbia, 2001)
Hammersmith Odeon London ’75 (Columbia, 2006)
Bruce Springsteen with the Sessions Band: Live in Dublin (Columbia, 2007)

 

Raccolte
Greatest Hits (Columbia, 1995)
Tracks (Columbia, 1998)
18 Tracks (Columbia, 1999)
The Essential Bruce Springsteen (Columbia, 2003)
Greatest Hits (Columbia, 2009)
The Promise (Columbia, 2010)
Collection: 1973-2012 (Columbia, 2013)
Chapter and Verse (Columbia, 2016)