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DAL CLASSICO AL POSTMODERNO AL GLOBAL di Veronica Pravadelli

 

 

 

Nel ‘mare magnum’ delle pubblicazioni librarie due interessanti volumi pubblicati da Marsilio Editori in ambito cinematografico possono aiutare il lettore ad approfondire tematiche relative all’evoluzione delle forme di espressione filmica dagli anni Trenta al cinema contemporaneo e ad analizzare compiutamente alcuni capolavori del cinema di tutti i tempi; si tratta di “Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche” di Veronica Pravadelli, e di “L’interpretazione dei film – Dieci capolavori della storia del cinema”, libro curato da Paolo Bertetto che raccoglie saggi di svariati studiosi.
 
 

 


‘Leggere’ di Cinema è quasi tanto importante quanto ‘Vedere’ un film, se l’obbiettivo di chi si pone alla visione non è solamente il semplice entertainment ma è anche quello di approfondire le tematiche che l’opera cinematografica vuole suggerire o porre in primo piano. Il cinema è arte, è magia, è sogno. Da quando è stato inventato, ormai più di un secolo fa, è sempre stato uno dei mezzi di comunicazioni più affascinanti perché, proprio come i libri, permette di vivere nuove avventure, di conoscere storie fantastiche, di innamorarsi, di arrabbiarsi, di riflettere. Per approfondire la conoscenza dell’arte cinematografica è più che mai utile consultare i libri che trattano la materia. Si tratta di libri che possono aiutare meglio a comprendere i meccanismi sottesi alle opere cinematografiche più significative se non addirittura (e in modo migliore) introdurre il lettore curioso alla spiegazione dei fenomeni socio-culturali che da queste ne prendono l’abbrivio. “Dal classico al postmoderno al global. Teoria e analisi delle forme filmiche”, un volume di dimensioni contenute che si presenta tanto agile nel formato quanto denso nel suo contenuto, è stato scritto da Veronica Pravadelli che è professoressa di cinema all’Università Roma Tre ed ha maturato competenze ed esperienze alla New York University su questioni teoriche e storiche sul cinema hollywoodiano, oltre ad aver scritto svariati altri libri tematici. In copertina campeggia un’immagine di “Mulholland Drive” (2001), di David Lynch), con le due protagoniste del film Naomi Watts e Laura Harring. Nella quarta di copertina, ad esplicitare sinteticamente quanto è contenuto nel testo, si legge: «Il volume propone un percorso teorico e storico sull’evoluzione delle forme filmiche dal cinema classico degli anni trenta al global film contemporaneo. Si concentra sui tre modi di rappresentazione principali, classico, moderno e postmoderno, problematizzandoli in modo significativo. La classicità e le sue trasformazioni vengono studiate attraverso il cinema hollywoodiano. La discussione sul moderno è compiuta in relazione al postmoderno e con l’esempio del cinema d’autore italiano degli anni sessanta. Infine, l’analisi del cinema contemporaneo viene sviluppata proponendo un confronto tra film postmoderno e postclassico, mind-game film e global film». Il libro edito da Marsilio, combinando teoria e analisi del film, si occupa di analizzare l’evoluzione delle forme filmiche della storia del cinema succedutesi a partire dagli anni Trenta e arrivando fino ai giorni nostri. Classico, moderno e postmoderno, questi i tre fulcri attorno a cui si sviluppa la ricerca del volume, arrivando ad analizzare il cinema contemporaneo nei suoi esiti dopo il postmoderno. Analizzare un film significa posizionarlo all’interno di un contesto appropriato, secondo correnti, tendenze o addirittura ‘scuole estetiche’. In sé un film non è (quasi) mai isolato, si rifà ad una tradizione oppure è parte integrante di un movimento; quindi analizzare un film significa precipuamente individuare contenuti ed espressioni artistiche che permettano di collocare l’opera in un determinato contesto (movimento o tradizione) piuttosto che in un altro. Secondo Deleuze il cinema della modernità ha avuto inizio in Europa post-II^ Guerra Mondiale, grazie al Neorealismo Italiano, laddove viene mostrata la ‘Realtà’ così com’è nella sua verità storica, laddove l’intreccio narrativo conta meno della descrizione della società. Il neorealismo, lo ricordiamo, si riallacciava al documentario, con riprese prevalentemente in esterni, in ambienti reali, rinunciando ad effetti visivi e di montaggio, con intrecci deboli e privi di azioni spettacolari, facendo ricorso ad attori non professionisti, ponendo in evidenza personaggi derivati da soggetti sociali. Rispetto al modello filmico classico possiamo delineare i tratti distintivi del film moderno nei seguenti elementi: racconti più deboli, meno connessi tra di loro, con finali talvolta aperti ed ambigui, una marcata propensione alla riflessività, personaggi meno delineati, spesso in crisi e poco inclini all’azione, procedimenti visivi o sonori ‘capaci’ di confondere soggettività ed oggettività, presenza forte dell’autore, dei suoi segni stilistici, del suo sguardo autorale sui personaggi e sulla storia narrata, un accentuato gusto per le citazioni ad altri film e ad altri autori di riferimento. Il libro in esame, come accennato, presenta un percorso teorico e storico sull’evoluzione del linguaggio cinematografico partendo dal cinema classico degli anni ’30 fino ad arrivare al global film contemporaneo. La Pravadelli nel suo libro, per avvalorare le tesi sull’analisi dei film, si serve di alcune sequenze suggestive e al contempo particolarmente utili ai fini esplicativi. In questo viaggio Veronica Pravadelli mette in luce le trasformazioni dei modi della rappresentazione cinematografica attraverso una serie di saggi, in ognuno di questi la teoria delle forme trova dimostrazione (ed esempio) nell’analisi di alcuni film e/o autori. Nel saggio l’analisi del cinema contemporaneo viene sviluppata attraverso un confronto tra film postmoderno, postclassico e globale. Tra i film analizzati troviamo “Susanna” (“Bringing Up Baby”, 1938) di Howard Hawks, con Katharine Hepburn e Cary Grant, simbolo del linguaggio cinematografico classico, e “Come le foglie al vento” (“Written On the Wind”, 1956) di Douglas Sirk, con Dorothy Malone, Rock Hudson e Lauren Bacall, cui sono dedicati i primi due approfonditi capitoli, e che sono relativi all’ambito più classico del cinema hollywoodiano. «Susanna – scrive la Pravadelli – è un esempio significativo di convergenza tra scrittura classica e autorialità, tra una scrittura classica che ha definitivamente integrato il sonoro, ma che è anche stata cambiata da sonoro stesso, e la raggiunta maturazione del mondo hawksiano giocato sulla relazione tra normalità ed eccentricità, tra lavoro e divertimento, fondato sul timore che la donna incuta nell’uomo […]».“Oltre il classico. Melodramma, spettacolo e sensazione”, il capitolo dedicato a “Come le foglie al vento” invece è un saggio che spiega come il melodramma abbia contribuito alla trasformazione e alla crisi dei modelli narrativi della classicità. Quando si parla di cinema classico ovviamente si parla di ‘Golden Age’ di Hollywood, nonostante l’autrice identifichi come ‘classico’ (nei modi della rappresentazione) solamente il cinema prodotto tra il 1934 e il 1939 (mentre storicamente la ‘Golden Age’ va inclusa nell’arco di tempo che va dal 1919 fino al 1963, circa), considerando il melodramma già una forma che va oltre la classicità. La parte che affronta il moderno si sviluppa da una parte collegandosi al postmoderno e dall’altra analizzando le opere dei più grandi autori del cinema italiano degli anni ’60: Antonioni (l’autore moderno per eccellenza), Visconti (l’autore popolare) e Fellini. «Il cinema d’autore moderno, in primis quello italiano – spiega Veronica Pravadelli – ha eletto la crisi del soggetto a tema privilegiato, presentando, ossessivamente racconti di introspezione narcisistica o di conclamata incapacità dell’io di capire sé e il mondo». Vengono quindi trattati “L’avventura” (1960) e “Il deserto rosso” (1964) di Michelangelo Antonioni, “Rocco e i suoi fratelli” (1960) e “Il Gattopardo” (1963) di Luchino Visconti, “La Dolce Vita” (1960) e “Amarcord” (1973) di Federico Fellini, “Fino all’ultimo respiro” (1960) di Jean-Luc Godard, ed altri ancora che testimoniano del passaggio alla modernità del cinema. A “Prima della rivoluzione” (1964) di Bernardo Bertolucci, film all’uscita tanto amato in Francia quanto poco considerato in Italia, è dedicato un saggio e un’analisi a parte, “Prima della rivoluzione e modernità: stile, classe, gender”, che ne analizza le tematiche e il linguaggio (lo stile), con particolare attenzione ai rapporti di classe e alle relazioni di genere: «Diversamente dal cinema classico il cinema d’autore privilegia il personaggio all’intreccio. Il racconto è irto di ellissi e le relazioni causa-effetto (tipiche del cinema classico. N.d.r) sono fortemente allentate. Il personaggio viene esibito a scapito dell’azione […]». Nell’ultima parte, per l’ampia sezione dedicata al post-moderno e al global, si trattano film come “Mulholland Drive” (2001) di David Lynch, “Strange Days” (1995) di Karhtyn Bigelow, “Babel” (2006) di Alejandro Gonzales Inarritu. Quello sul postmoderno è un dibattito critico che da oltre 40 anni occupa un posto significativo nel panorama culturale e accademico, considerando che “postmoderno” è un termine usato con diverse declinazioni e significati in campi di studio diversi tra loro. In modo assai arguto scriveva Umberto Eco, in merito al postmoderno: «Potremmo dire che ogni opera ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio manierismo. […] L’avanguardia distrugge il passato, lo sfigura […] poi l’avanguardia va oltre. […] Ma arriva il momento da cui l’avanguardia (il moderno) non può più andare oltre, perché ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi impossibili testi (l’arte concettuale). La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente». Sul carattere citazionistico dei film postmoderni, cui si accennava in precedenza e dei quali Quentin Tarantino è demiurgo assoluto, ovvero della loro natura derivata da processi di riscrittura, si ricorda come dagli anni Ottanta il cinema americano abbia sviluppato quasi ossessivamente questa tendenza. L’autrice fa l’esempio dei fratelli Joel e Ethan Coen, che con “Blood Simple” (1984) mescolano tra loro diversi generi (operazione tipica del cinema americano di quegli anni alla luce di opere come “Una vedova allegra… ma non troppo”, 1988, di Jonathan Demme; “Un lupo mannaro americano a Londra”, 1981, di John Landis), commedia, noir e horror. “Mister Hula Hoop” dei Coen si regge invece sul citazionismo di film e autori della commedia americana (Frank Capra, Howard Hawks, etc.), fino ad arriva al recente “Ave, Cesare!” (2016), in cui la citazione assume un carattere metacinematografico e riveste il compito del vero e proprio omaggio. Nel saggio “Le forme del cinema contemporaneo: postmoderno, postclassico, global” il pensiero critico sul cinema postclassico viene elaborato esclusivamente in relazione al cinema. Un libro imperdibile per tutti i cinefili, gli studiosi e gli appassionati del mondo cinematografico, ricchissimo di spunti, riflessioni e analisi.
L’interpretazione del film. Dieci capolavori della storia del cinema”, curato da Paolo Bertetto, raccoglie contributi dei critici e studiosi, Sandro Bernardi, Giulia Carluccio, Francesco Casetti, Giorgio De Vincenti, Veronica Pravadelli, Giorgio Tinazzi, Dario Tomasi, Vito Zagarrio, e presenta le analisi di dieci capolavori della storia del cinema, effettuate da studiosi specializzati nella lettura del testo. Il libro, che è stato pubblicato per la prima volta da Marsilio Editori nel 2003, attraverso i dieci saggi, si propone di spiegare in maniera narrativa, ben argomentata e comprensibile ai più (alcuni saggi, in verità, sono di più difficile ‘lettura’), i risvolti di ‘riflessione’ più complessi rintracciabili nei film, mescolando con efficacia terminologia tecnica e elementi curiosi capaci di rendere oltremodo gradevole la consultazione. Vi si raccontano la storia, le correnti e gli stili cinematografici dagli anni Trenta alla modernità del Cinema; le analisi sono sviluppate con metodi diversi che assecondano i diversi metodi di lavoro dei singoli estensori dei saggi e la varietà delle metodologie adottate, consentono di comprendere l’orizzonte immaginarlo e gli stili di messa in scena di autori del cinema classico e del cinema moderno. I dieci film presi in esame sono: “King Kong” (1933) di Cooper e Schoedsack, “Susanna” (1938) di Howard Hawks, Katharine Hepburn e Cary Grant, “Ombre Rosse” (1939) di John Ford, con John Wayne e Claire Trevor, “La regola del gioco” (1939) di Jean Renoir, “Quarto Potere” (1941) di e con Orson Welles, “La finestra sul cortile” (1954) di Alfred Hitchcock, con James Stewart e Grace Kelly, “Fiore d’equinozio” (1958) di Yasujiro Ozu, “Fino all’ultimo respiro” (1960) di Jean-Luc Godard, “L’avventura” (1960) di Michelangelo Antonioni, e “2001: Odissea nello Spazio” (1968) di Stanley Kubrick; ognuno dei saggi trattato da studiosi diversi particolarmente attenti alla costruzione del testo filmico. La capacità analitica degli studiosi garantisce approfondimenti particolarmente significativi e ognuno degli autori traccia una convincente struttura critica della messa in scena, elabora i modi della rappresentazione e il processo di incidenza nell’immaginario collettivo. Il primo saggio, quello dedicato a “King Kong” firmato da Francesco Casetti, pone in evidenza l’epoca in cui è nato il film, i primi anni Trenta, segnati dal contrasto tra tecnologia e mondo naturale, mentre l’ultimo, “2001: Odissea nello spazio” svela la grande impalcatura simbolica del film di Kubrick, più che mai aperta all’intrecciarsi delle più svariate interpretazioni, da parte di critica e pubblico. Ogni singolo contributo parte dall’analisi attenta, oltreché rigorosa del testo filmico, per riallacciarsi idealmente alla storia del cinema.

 

 

(Luigi Lozzi)                                                   © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

DAL CLASSICO AL POSTMODERNO AL GLOBAL” di Veronica Pravadelli (Marsilio Editori, Collana Elementi, 2019, 192 pagine, 12,50 €)

 

L’INTERPRETAZIONE DEI FILM: DIECI CAPOLAVORI DELLA STORIA DEL CINEMA” a cura di Paolo Bertetto (Marsilio Editori, Collana Biblioteca, 2003, 256 pagine, 22,00 €)