STORIA DEL CINEMA HORROR ITALIANO VOL 3 di Gordiano Lupi
Grazie ad un pugno di appassionati, che ne hanno raccontato sviluppi e contenuti, il Cinema Horror Italiano – per lungo tempo vituperato e sottovalutato – ha conquistato un posto significativo nella storia del nostro Cinema scrollandosi parzialmente di dosso l’etichetta di B-Movie. Illuminanti (oltreché preziosi) i cinque libri di “Storia del Cinema Horror Italiano – da Mario Bava a Stefano Simone” scritti da Gordiano Lupi sull’argomento. In questa sede ci occupiamo del Volume 3, “Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il Cannibal Movie”.
O forse, è stata proprio l’etichetta di B-Movie, affibbiata al genere in forma finanche spregiativa, che ne ha fatto le fortune critiche in relazione ad una generale rivalutazione dei suoi film che ha trovato negli ultimi decenni vasta eco su quei territori esteri (si guardi in primis agli Stati Uniti) più ricettivi. Gordiano Lupi ha messo insieme nei cinque volumi della sua “Storia del Cinema Horror Italiano” (gli altri essendo “Vol.1: Il Gotico”, “Vol.2: Dario Argento e Lucio Fulci”, “Vol. 4: Horror anni Ottanta”, “Vol. 5: Bruno Mattei, Roger Fratter e i contemporanei”) una narrazione corposa e assai efficace di un genere cinematografico ‘cult’ i cui contorni si vanno sempre più evidenziando. Con competenza, ma soprattutto con profonda conoscenza, l’autore si muove tra registi di serie B (Riccardo Freda, Mario Bava, Massimo Dalamano, Antonio Margheriti, definito il Roger Corman italiano, Camillo Mastrocinque, Giorgio Ferroni, Mario Caiano, Mino Guerrini) che solo col tempo hanno visto riconosciuto il proprio valore di validi artigiani del cinema, altri praticamente sconosciuti alle masse (mi riferisco ai vari Renato Polselli, Elo Pannacciò, Massimo Pupillo, Walter Ratti) ed una interminabile serie di film cui si è cercato di dare una collocazione temporale e cronologica che ne facilitasse la ‘lettura’ critica. Tasselli di una storia che non ha (e non vuole avere) alcuna pretesa di completezza ma mira sapientemente a mettere un certo ordine ad una materia mai compiutamente approfondita nel passato; e che si sviluppa dal Gotico all’Italiana degli anni Sessanta, passa attraverso il Maestro riconosciuto del Thriller nostrano in tutto il mondo, Dario Argento, e i film di possessione demoniaca derivati da “L’Esorcista” nei Settanta, gli Splatter e i Cannibal Movie negli Ottanta, perfino il Gotico Padano di Pupi Avati, ed approda alle più recenti frontiere del cinema estremo. In questa direzione poi, il quinto volume è interamente dedicato all’invisibile cinema horror italiano del ventunesimo secolo che (purtroppo) ha dovuto fare i conti con l’avvento imperioso del digitale. Terminato il periodo glorioso del Neorealismo, iniziato nell’immediato dopoguerra, il Cinema italiano dagli anni Sessanta in poi ha saputo esibire la genialità della sua artigianalità a fronte di investimenti quasi sempre assai contenuti, facendo virtù della capacità di adattamento di un popolo uscito (economicamente, e non solo) con le ossa rotte dal conflitto mondiale; un modo di ‘creare’ cinema che sotto traccia, e più di quel che si possa comunemente credere, ha influenzato molte cinematografie estere. Dal Peplum, ispiratosi ai Kolossal americani girati a Cinecittà, siamo passati al Western Spaghetti che onore e gloria ha raccolto in tutto il mondo grazie a Sergio Leone & Co., e certamente possiamo affermare che il Gotico italiano ha mosso i suoi primi passi sulla scia della rinascita dell’Horror celebrata negli anni Cinquanta in Inghilterra dalla Hammer Film. Un cinema è bene dirlo che non ha mai beneficiato del consenso della critica di casa nostra, e che è stato perfino snobbato e sbeffeggiato. L’autore di questa Storia del Cinema Horror in cinque volumi (uscita per le Edizioni Il Foglio; ma c’è un sesto titolo previsto) è Gordiano Lupi, scrittore, editore, giornalista di Piombino, il quale rifugge qualsiasi pretesa intellettualoide e non nasconde la fascinazione che il cinema di genere dei Sessanta, Settanta e oltre, ha esercitato su di lui (Gordiano ha scritto pure libri sulla Commedia Sexi e sul Poliziottesco oltre ad interessarsi più in generale di cultura cubana e realtà sociale della sua città d’origine) negli anni della sua prima giovinezza. «Sono anni che mi occupo di cinema di genere italiano del passato – ha dichiarato -, ma per quel che riguarda l’horror credo di aver visto un buon 80% della produzione anni ‘60/’80 ed il mio lavoro vuole avere un taglio diverso. Si tratta di un’enciclopedia per neofiti, scritta senza nessuna pretesa accademica, ma solo con l’intento di mettere a disposizione di tanti appassionati una grande mole di informazioni». Pura passione la sua, da persona generosa e sinceramente entusiasta, assecondata dalla capacità giornalistica di mettere ordine ai suoi ricordi in maniera (quasi) maniacale e ad una materia ‘sepolta’ e non sempre di facile rintracciabilità. Ma la completezza è una prerogativa meritoria e certosina di Lupi in capo a decine e decine di libri scritti, e nei suoi testi sovente porta in superficie perle nascoste e/o precedentemente sottovalutate. Un po’ grezza alla lettura, non sempre ragionevolmente strutturata, l’opera trasuda di autenticità anche se manca di un adeguato corpo di immagini (poster e fotogrammi) a corredo. Ma possiamo affermare senza tema d’essere smentiti come questa sia l’opera più completa sulla storia dell’Horror italiano mai realizzata. Di sicuro bisogna fare la tara ai valori cinematografici in termini assoluti; per Gordiano che ne è appassionato questa materia deve sembrare il massimo, e lo è in termini di genuinità e onestà intellettuale, e comunque rappresenta un eccellente punto di partenza per chi abbia voglia di ‘acclimatarsi’ con il genere, ma resta beninteso che si parla pur sempre di Cinema di Serie B. Il libro di cui ci occupiamo più dettagliatamente, “Storia del cinema horror italiano: Volume 3 – Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il Cannibal Movie”, si occupa – come si evince dal titolo – nelle sue 230 pagine e passa di alcuni registi di assoluto peso specifico nell’economia dell’Horror nostrano e di un particolare filone, quello del Cannibal Movie, che ci ha visti primeggiare sui mercati ‘underground’ di tutto il mondo, dagli Stati Uniti ai paesi dell’estremo Oriente. Il Cannibal Movie è il solo genere horror tipicamente italiano. Già il mettere vicini, uno dopo l’altro i nomi di Aristide Massaccesi, in arte Joe D’Amato, e Pupi Avati – a mio avviso tra i registi di una certa fama più sottovalutati del Cinema italiano – è una bella sfida. Massaccesi, morto a Roma il 23 gennaio 1999, con una carriera avviata come direttore della fotografia, la sua grande passione, è di sicuro il regista italiano più prolifico di sempre, con gli oltre duecento film diretti, prodotti o fotografati. È anche colui che più di ogni altro, con la sua impressionante filmografia, ha cavalcato un gran numero di generi diversi; dalla commedia allo Spaghetti Western, dall’Horror al Thriller, dall’Erotico (nella serie di Emanuelle Nera o nei Decamerotici o negli Erotico-Esotici) al Porno (dei vari Rocco Siffredi e Eva Henger). “Buio Omega” (1979) è senz’altro uno dei suoi gioielli Horror e “Antropophagus” (1980) il suo Cannibal Movie più riuscito. Di D’Amato si sottolinea l’assoluta ‘onestà’, il rispetto dovuto nei confronti del pubblico ed il coraggio mostrato in qualsiasi frangente. A confronto con D’Amato ecco Pupi Avati, il regista bolognese – che, ripeto, personalmente considero assai sottovalutato nel panorama generale del nostro cinema – messosi in luce con una lunga serie di commedie amaro-malinconiche (ricordiamo “Festa di laurea”, “Una gita scolastica”, “Storia di ragazze e di ragazzi”, “Il testimone dello sposo”, “Il cuore altrove”, “Gli amici del bar Margherita”, ma ce ne sono tanti altri) ambientate nella provincia italiana (soprattutto emiliana-romagnola) ma anche autore di film dai risvolti gotici, sempre calati nelle realtà di quelle provincie, che per uno zoccolo duro di appassionati sono diventati opere di culto; su tutti il memorabile “La casa delle finestre che ridono”, ma anche “Zeder”, “L’arcano incantatore” ed il recente “Il Signor Diavolo” del 2019. Altri registi di cui si parla in questo terzo volume sono Ruggero Deodato, definito ‘il più americano dei registi italiani’ e autore tra gli altri suoi lavori del ‘cult’ “Cannibal Holocaust”, Umberto Lenzi, talentuoso ed elegante maestro della suspense, anch’egli capace di destreggiarsi tra i generi più disparati. Entrambi, Lenzi e Deodato, registi di grande artigianalità, spesso alle prese con Cannibal Movie (anche detti Mondo Movie), feroci e ai limiti della sopportazione, con quella metafora reiterata di critica al capitalismo, palese ogni volta che un uomo ‘divora’ un proprio simile smembrandone le carni. Gordiano nel suo saggio sottolinea la necessità (quasi vitale) delle immagini estreme di cui si compongono questi film a fini spettacolari. Peraltro Ruggero Dedodato può essere indicato come l’artefice principale (ed iniziatore) del filone cannibalesco, ma è stato autore di altri film importanti quali “La casa sperduta nel parco” (1980) e “Inferno in diretta” (1985). Umberto Lenzi invece, dopo aver ottenuto buona popolarità con una serie di Poliziotteschi negli anni ’70 (“Milano odia: la polizia non può sparare”, 1974, “Il giustiziere sfida la città”, 1975, “Roma a mano armata”, 1976, “Napoli violenta”, 1976, “Il trucido e lo sbirro” 1976, “La banda del gobbo” 1977, tra gli altri), ha diretto piccoli ‘cult’ come “Mangiati vivi!” nel 1980, “Incubo sulla città contaminata” (1980) e “Cannibal Ferox” nel 1981. «I quattro registi trattati, Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato e Umberto Lenzi – ha dichiarato Lupi in un’intervista – non hanno proprio nulla in comune ed è proprio questo il bello del cinema italiano di quel periodo storico! Tutti cani sciolti. Joe D’Amato è un grande contaminatore dei generi, ha fatto di tutto, dall’Horror al Porno, passando per Commedia Sexy e Thriller Erotico. Le sue poche pellicole Horror sono da antologia, soprattutto quando crea degli ibridi assurdi a metà strada tra erotismo e suggestioni orrorifiche. Il suo miglior Horror resta “La morte ha sorriso all’assassino”. Da vedere al più presto. Ruggero Deodato è un regista all’americana, un autore che ama il cinema avventuroso, il Thriller morboso, non è un regista Horror vero e proprio, ma è innegabile che il Cannibal Movie – almeno in parte – contamini l’orrore. Pupi Avati realizza un Gotico rurale padano, un cinema curato, ricco di particolari, certamente più colto e impegnato dei suoi colleghi, ma non meno interessante dal punto di vista dell’amante dei film Horror. Umberto Lenzi non ama l’Horror, invece, e quasi sempre lo spettatore se ne accorge, ma resta un buon autore di Polizieschi e di Noir all’Italiana. Nel Cannibal Movie ha fatto due film trash indimenticabili e come Horror non possiamo non citare “Incubo nella città contaminata” e “La casa 3”, un apocrifo discreto». Possiamo concludere con le parole dell’autore che traccia – direi – le linee guida di un approccio propositivo a questi generi di Serie B: «Il cinema italiano ha bisogno di essere storicizzato, anche il cinema popolare. Molti ragazzi crescono guardando solo Horror demenziali statunitense. In Italia abbiamo avuto dei maestri del ‘cinema de paura’ (per dirla alla Fulci) e mi esalto intimamente quando mi rendo conto che alcuni giovani oggi conoscono certi film quanto me che li ho visti al cinema, in prima visione!”.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Titolo: Storia del cinema horror italiano. Da Mario Bava a Stefano Simone. Volume 3: Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il Cannibal Movie.
Autore: Gordiano Lupi
Editore: Edizioni Il Foglio (www.il foglio letterario.it)
ISBN: 9788876063657
Pagine: 234
Anno di pubblicazione: 2012
Prezzo copertina: 15,00 €