Cinema

CARI, VECCHI, TENERI MOSTRI (UNIVERSAL) DI UNA VOLTA…!

 

 

L’etichetta Sinister Film ha di recente messo a segno un magnifico colpo rendendo disponibili agli appassionati alcuni film che da tempo erano andati fuori catalogo dopo essere stati pubblicati una prima volta dalla ‘Casa Madre’, la Universal, una decina d’anni fa. Si tratta di alcuni classici dell’orrore anni ’30 e ‘40, diventati autentici ‘Cult’ del cinema di genere.

 

Queste nuove release oltre a placare la sete cinefila di tanti appassionati ci offrono lo spunto per andare a indagare le origini di un genere tra i più amati dal grande pubblico in ogni epoca, poiché è in quei magnifici film in B&N ‘inventati’ dalla Universal che vanno ricercate le origini dei nostri incubi di celluloide che ancora oggi continuano a farci compagnia in nuovi contesti e con mezzi tecnici all’epoca impensabili. Indubbiamente i mostri classici producono ancora grande fascino e a distanza di ottanta anni e più (in qualche caso ‘meno’) questi film mantengono inalterata la loro bontà cinematografica. Quando questi film venivano pubblicati in DVD per la prima volta nel 2004 dalla Universal il lancio coincideva con l’uscita di “Van Helsing”, film omaggio dichiarato a questi capolavori pionieristici, che raccoglieva intorno alla figura del cacciatore di vampiri (nel romanzo di Bram StokerDracula”, del 1898, Abraham van Helsing è l’anziano scienziato che uccide il malefico vampiro, mentre nel film firmato da Stephen Sommers diventava una sorta di bounty killer con pastrano di cuoio e cappellaccio alla Indiana Jones) tutti gli affascinanti personaggi che li hanno popolati e che hanno fatto la fortuna della Major. Alla Universal va riconosciuto il merito di essere stata l’unica nel periodo ‘30/’50, a parte alcune buone iniziative della RKO (“King Kong” su tutte), a dare il giusto rilievo al filone horror/fantasy con produzioni come “La Mummia”, “L’Uomo Lupo”, “Dracula”, “L’Uomo Invisibile” e, naturalmente, “Frankenstein”, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del Cinema. Va anche sottolineato come questi film siano stati influenzati dall’Espressionismo mitteleuropeo e dal grande cinema horror tedesco anni ‘20, e non è marginale la constatazione che la Universal sia stata creata nel 1912 proprio da un immigrato tedesco, Carl Laemmle, che raccolse tra le sue fila numerosi registi, attori e tecnici germanici. Si può affermare che i film dell’Orrore siano nati con l’invenzione del cinematografo visto che fin dagli inizi del ‘900 iniziarono a fare la loro comparsa vampiri e personaggi come Frankenstein e il dottor Jekyll. Negli anni Trenta Hollywood per far meglio digerire al pubblico una realtà quotidiana fatta di miseria e disoccupazione, a seguito del crollo della Borsa di Wall Street, puntava sui generi cinematografici d’evasione, che perlomeno offrivano gli strumenti per sognare (con il Musical) oppure inducevano un processo di catarsi collettiva con i film dell’orrore, i quali, oltre a contenere antichi elementi favolistici, riflettevano la paura diffusasi durante la Grande Depressione. In essi era possibile leggere un desiderio di ribellione contro il regime sociale che non assicurava la felicità promessa in epoche precedenti. Ogni deviazione da una normalità omologata veniva interpretata come una mostruosità da estirpare. L’Horror era un genere già popolare ai tempi del Muto ma con l’avvento del sonoro (che assicurava il supporto di porte cigolanti, ululati inquietanti, urla di terrore o scale scricchiolanti) ebbe la sua definitiva consacrazione. E la Universal si distinse immediatamente per il fatto di dare spazio e continuità ai mostri di celluloide divenendo la ‘casa dell’horror’ per eccellenza ed incontrastata dominatrice del box-office: dai suoi studios nel 1931 vennero confezionati due film divenuti leggenda e destinati a fama imperitura, “Dracula” di Tod Browning, con Bela Lugosi, e “Frankenstein” di James Whale, con Boris Karloff. Successivamente dalle sue fucine presero vita anche “L’Uomo Invisibile”, “L’Uomo Lupo”, “La Mummia” e “Il Fantasma dell’Opera”.

 

DRACULA
Quello del vampiro è uno dei miti più imperituri di Hollywood. Il personaggio, si sa, è tratto dal romanzo di Bram Stoker che, riprendendo una leggenda popolare transilvana, parlava di un crudele principe di Valacchia del 15° secolo di nome Vlad sulle cui armi campeggiava un drago, in romeno ‘dracul’ che divenne il suo soprannome mentre della sua sete di sangue sappiamo quasi tutto dalle numerose versioni cinematografiche (una delle più recenti quella di Francis Ford Coppola). Ma al cinema il vampiro ha goduto di due diverse identità: il Nosferatu di Murnau, calvo, con gli occhi cerchiati di nero e le unghie lunghe e aguzze, dalla sottile e malinconica seduttività, nel quale si riflettevano le inquietudini della cultura tedesca del primo Novecento, ed il Dracula (di Tod Browning) celebre ed unico di Bela Lugosi (interprete anche della versione teatrale a New York prima di essere ingaggiato per il film e al quale il solo Christopher Lee ha conteso il primato in epoca successiva), entrato nell’immaginario collettivo. La caratterizzazione grottesca e perfetta dell’attore ungherese (l’accento, gli occhi scintillanti ed il volto da lupo, l’atteggiamento impassibile, una qual certa sfumatura di depravazione sessuale) diede a lui l’immortalità ma è stata anche la sua dannazione perché non riuscì più a liberarsi dalla figura del vampiro che fu costretto ad interpretare in innumerevoli film di serie B dal basso budget, nei quali contava la formula e poco importava che la vicenda fosse ben costruita. Molte delle scene gotiche ambientate nel tetro castello (con arazzi ammuffiti e ragnatele dappertutto) e nei dintorni sono pagine affascinanti di cinema come anche quelle nelle quali il Conte in compagnia delle sue ‘vampirizzate’ emerge spettrale dalla bara. Il successo stratosferico del film, pervaso da un senso di generale claustrofobia, impose alla Universal di dare inizio alla inevitabile serialità del personaggio; così nel 1936 si scopre che il Conte aveva una figlia (“La figlia di Dracula”, di Lambert Hillyer), e nel 1943 un figlio (“Il figlio di Dracula”, di Robert Siodmak). In quest’ultimo protagonista era Lon Chaney Jr. nei panni del Conte Alucard (Dracula letto all’incontrario), un piccolo pasticcio con l’attore fuori ruolo ed una sceneggiatura appena abbozzata e zeppa di incongruenze (non si comprende se Alucard sia effettivamente il figlio di Dracula come suggerisce il titolo oppure lo stesso vampiro). Lugosi prese tanto seriamente il ruolo che rifiuto nello stesso anno di calarsi nei panni di un altro degli archetipi dell’horror, Frankenstein, per il quale aveva già girato dei provini, e fu uno sbaglio clamoroso. Il carattere superbo e la certezza di dover affrontare una parte senza dialoghi, e che peraltro lo rendeva irriconoscibile, lo spinsero a rifiutare mentre un attore inglese di scarso successo e già ultra quarantenne, Boris Karloff, accettò con entusiasmo quale ultima chance di affermazione: grazie alla grande espressività e all’originalissimo ma faticoso trucco ideato da Jack Pierce per caratterizzare la creatura, diede vita al più famoso e riconosciuto Frankenstein della storia del cinema.

 

FRANKENSTEIN

Fu in una cupa notte di novembre che vidi la fine del mio lavoro. Con un’ansia che arrivava fino allo spasimo raccolsi intorno a me gli strumenti della vita per infondere una scintilla animatrice nella cosa immota che mi giaceva davanti. Era già l’una del mattino, la pioggia batteva sinistramente sui vetri e la candela era quasi tutta consumata quando, al bagliore della luce che andava estinguendosi, vidi gli occhi giallo opachi della creatura aprirsi, respirò ansando e un moto convulso gli agitò le membra”. Sono le parole con cui la scrittrice inglese Mary Wollstonecraft Shelley descrisse, per bocca dello scienziato Victor Frankenstein, la nascita di una delle figure più tragiche e inquietanti che la fantasia umana abbia mai potuto concepire e che il cinema, con la sua riduzione cinematografica, ha esaltato e reso icona immortale. Il romanzo, si sa, era nato sulle sponde del lago di Ginevra in una specie di gara fra il poeta Shelley, la sua consorte, Lord Byron e il dottor Polidori, i quali, per vincere la noia, si sfidarono a scrivere ciascuno una storia horror; la sola che portò a termine l’impresa fu Mary, pubblicando “Frankenstein o il moderno Prometeo” nel 1818. La vicenda è universalmente conosciuta: il dottor Henry Frankenstein (da sempre è invalsa l’abitudine di chiamare il Mostro con il nome del suo creatore), è pronto per mettere in atto un ambizioso progetto nel suo laboratorio nascosto in una vecchia torre: dare la vita ad un corpo umano che egli ha assemblato con parti diverse di cadaveri ed innestandovi un cervello trafugato all’università. Il folle trapianto ha successo ma la creatura, per un errore – il servitore deforme dello scienziato, Fritz, gli aveva procurato il cervello di un pericoloso criminale invece di quello di un uomo di intelligenza superiore – si rivela violenta, si ribella al suo creatore e fugge via seminando morte e terrore. Il regista James Whale poi ci ha regalato il più grande horror di tutti i tempi curando in modo perfetto la cupa fotografia in bianco e nero e gli scenari gotici, e cercando quasi di fissare nella memoria dello spettatore immagini poetiche e infinitamente sensibili: il mostro munito di bulloni d’acciaio che trapassano il collo, è un essere muto e patetico, stupito e meravigliato, dai commoventi tocchi di umanità che lo assimilano a tragica vittima dell’odio e dell’incomprensione umana. Ogni giorno sul set Pierce sottoponeva Karloff a lunghe sedute di trucco, e l’attore da parte sua contribuì non poco alla riuscita del film: suggerì l’idea degli strati di cera sulle palpebre e si fece rimuovere un ponte dentario per rendere le guance più incavate. Inoltre il truccatore adottò alcuni stratagemmi (le maniche della giacca accorciate per far sembrare le braccia sproporzionatamente lunghe e pantaloni irrobustiti con pezzi di ferro per far sembrare i suoi movimenti rigidi e goffi) per rendere perfetta la figura del mostro. Nella storia del cinema Frankenstein consacrava la nascita del contemporaneo film dell’orrore dopo i capolavori tedeschi dell’epoca del muto e la Universal Pictures, una volta appurato il grande successo della pellicola, si preoccupò di creare una vera e propria saga cinematografica sul soggetto che è andata avanti per ben 15 anni! Del 1935 è il secondo film della serie, “La moglie di Frankenstein”, diretto di nuovo in modo magistrale da Whale e con le superbe interpretazioni di Boris Karloff, Colin Clive ed Elsa Lanchester nella parte della creatura femmina. Qui il ‘mostro’ parla e rivolgendosi al suo creatore chiede: “Quello che ti chiedo è equo e ragionevole: ti chiedo una creatura dell’altro sesso, ma ripugnante come me; la richiesta è minima, ma è tutto quello che posso ottenere e mi accontenterò. Lo so, saremo dei mostri, tagliati fuori dal mondo, ma proprio per questo saremo ancora più attaccati l’uno all’altra. La nostra vita non sarà felice, ma sarà innocua e libera dalla disperazione che provo ora. Oh!, mio creatore, fammi felice; fai che senta gratitudine per te almeno per questo beneficio! Dimostrami che posso suscitare simpatia in un essere vivente; non negarmi questa richiesta!”. Il finale è noto agli appassionati: l’essere, vedendosi respinto anche da una sua simile, distrugge il castello del dottor Frankenstein urlando sconsolatamente al cielo, “Noi apparteniamo ai morti”. I successivi film sul soggetto persero di intensità; situazioni, personaggi e scenari vennero pedissequamente ripetuti; si puntò sulla continuità, che era quello che voleva il pubblico, a scapito dell’originalità. La terza pellicola della saga, “Il figlio di Frankenstein”, 1939, propone per l’ultima volta Boris Karloff nei panni della creatura. Da citare le ottime interpretazioni di Bela Lugosi nel ruolo di Igor, e di Lionel Atwill nel ruolo di un capo di polizia. Rowland Lee sostituì alla regia James Whale. Del 1942 è “Il fantasma di Frankenstein”, di Erle C. Kenton e per l’occasione Lon Chaney Jr. prende il posto di Karloff. I successivi “Frankenstein Meets The Wolfman” (“Frankenstein incontra l’Uomo Lupo”, 1943), “House of Frankenstein” (“La casa di Frankenstein”, 1944, e “La casa di Dracula” (1945, di Erle C. Kenton), con John Carradine protagonista, propongono riunite assieme, in una sorta di canto del cigno, tutte le figure gotiche di produzione Universal. “Frankenstein” di James Whale è stato inserito dall’American Film Institute all’87° posto della classifica dei 100 film migliori della storia del cinema.

 

LA MUMMIA

L’anno successivo a “Frankenstein” Boris Karloff ribadì la sua straordinaria bravura ed il magnetismo dei suoi occhi penetranti con un’altra interpretazione avvincente, “La Mummia”, un altro mostro di notevole appeal cinematografico, sintesi perfetta di malvagità e di macabro mistero (la sequenza in cui si rianima fa davvero venire i brividi). Il film rappresentava il debutto nella regia di Karl Freund, uno dei più brillanti direttori della fotografia di Hollywood (“Dracula”), che potè contare su un’ottima sceneggiatura e sul retaggio culturale assimilato nell’ambito dell’espressionismo tedesco. Inoltre il ritrovamento della tomba di Tuthankhamon nel 1922 e la maledizione ad esso legata gettavano un’ombra inquietante ed al tempo stesso attraente sulla civiltà dei Faraoni. Anche in questa occasione magistrale il trucco opera di Jack Pierce (per cui si aggiudicò un Oscar), sia per avvolgere l’attore nelle sue millenarie bende (si narra che Karloff dovesse essere portato sul set in barella) sia nel rendere l’idea di inoltrata vecchiezza con l’applicazione di strati alternati di cerone e cotone.

 

L’UOMO LUPO
Cercando un altro mostro al quale far ripetere il successo arriso a Dracula e Frankenstein, la Universal fece centro con un’altra figura mitica, il lupo mannaro. Al pari di quella del vampiro, anche la leggenda del licantropo è antica e radicata nel folklore di molti paesi (alcuni racconti risalgono addirittura a Erodoto). Per definizione, è un essere umano che, per effetto di una maledizione, nelle notti di luna piena si trasforma in una creatura mostruosa simile a un lupo. Lon Chaney fu il primo ad interpretare con successo il ruolo dell’uomo lupo nell’omonimo film del 1941 (poco seguito aveva avuto sei anni prima il tentativo di lanciare il mostro in “Il segreto del Tibet” con Henry Hull), dando vita a un personaggio ricco di suggestioni, al tempo stesso commovente e spaventoso, un uomo tormentato dotato di poteri straordinari, che cerca in ogni modo di combattere la sua natura animalesca. Un altro classico del cinema dell’orrore, una pietra miliare destinata ad esercitare un fascino duraturo sul pubblico ed a ispirare tanto cinema di genere contemporaneo. “Anche l’uomo che ha puro il suo cuore, ed ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar lupo se fiorisce l’aconito, e la luna piena splende la sera“. E’ la famosa poesia, scritta dallo sceneggiatore Curt Siodmak, fratello del regista Robert, e citata a più riprese. Possiamo però dire che nonostante il successo ottenuto “L’uomo lupo” non è all’altezza dei due capolavori prima indicati. Superfluo ricordare ancora una volta lo splendido make-up di Jack Pierce.

 

L’inglorioso finale…
Accadeva però che il genere horror, nella riproposizione continuativa di storie e stereotipi di vampiri, licantropi, mummie e creature variamente assortite, andava incontro ad una palese mancanza di originalità che sconfinava nel macchiettismo determinando così la sua fine precoce. Nei Cinquanta a dominare la scena del cinema di genere subentrava la Fantascienza, a fare paura provvedevano alieni provenienti dallo spazio e creature mostruose (e di grandi dimensioni) create in laboratorio che in qualche maniera provavano ad esorcizzare paure socio-politiche generate dalla Guerra Fredda e dalla paura di un’invasione ‘rossa’ negli Stati Uniti. Ma il genere horror di stampo gotico non era realmente ‘morto’ e alla metà degli anni Cinquanta, in Inghilterra, una piccola casa di produzione indipendente, la Hammer Film, rilanciava i vari Dracula, Frankenstein, Mummia & Co. con un look in parte rinnovato (e a colori). Ma questa è un’altra storia che racconteremo un’altra volta…!

 

I nuovi DVD
La Sinister Film per il momento ha pubblicato “Frankenstein” di James Whale e “L’Uomo Lupo” di George Waggner; per “Dracula” di Tod Browning e “La Mummia” di Karl Freund bisognerà aspettare ancora. Tutti i film citati precedentemente nell’articolo, già all’epoca della loro prima uscita, erano stati sottoposti ad un egregio lavoro di restauro e di pulizia delle immagini che esaltava lo splendido B&N nonostante per qualcuno di questi lavori i segni del tempo hanno lasciato qualche cicatrice. Quello che Sinister Film offre in più sono le edizioni integrali dei film (qua e là si intercettano pezzi di film in lingua originale sottotitolati in italiano), con la chicca (cinefila) del doppiaggio italiano originale dell’epoca accanto al discutibile ri-doppiaggio cui aveva provveduto la Universal nelle edizioni pubblicate nel 2004, e copia 35mm italiana. L’audio, presente in inglese e in italiano, viene riproposto nell’originale Dual Mono 2.0 ed ha una risposta sufficientemente nitida. Per entrambi i film oltre al trailer originale il commento dell’esperto Luigi Cozzi.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 


(immagini per cortese concessione della Universal Pictures)

 

SCHEDE DVD:
FRANKENSTEIN
Frankenstein
Usa, 1931, 67’ B&N
Regia: James Whale
Cast: Boris Karloff, Colin Clive, Mae Clarke, John Boles, Edward Van Sloan.
Video: 1.37:1  
Audio: Italiano (ridoppiaggio), Italiano (doppiaggio originale d’epoca, Ingles eDolby Digital 2.0 Dual Mono
Distributore: Sinister Film/CG Home Video

 

 

 

L’UOMO LUPO
The Wolf Man
Usa, 1941, 70’ B&N
Regia: George Waggner
Cast: Lon Chaney jr., Evelyn Ankers, Claude Rains, Warren Williams, Ralph Bellamy, Patric Knowles.
Video: 1.37:1  
Audio: Italiano (ridoppiaggio), Italiano (doppiaggio originale d’epoca, Inglese Dolby Digital 2.0 Dual Mono
Distributore: Sinister Film/CG Home Video