BRUCE SPRINGSTEEN: TUTTE LE CANZONI
La bibliografia relativa a Bruce Springsteen è copiosa, degna di quelle incentrate sui grandi della letteratura americana dell’ultimo secolo, innumerevoli sono i libri dedicati al Boss, che cercano di scavare nella poetica di uno dei grandi del rock ‘a stelle e strisce’, scritti sempre con genuina passione e sentita compartecipazione, molte volte – aggiungerei – con ripetitività, al punto che è difficile aggiungere qualcosa di veramente originale e/o significativo. Tanto più che al giorno d’oggi, per quel che riguarda fatti ed eventi, bisogna fare pure i conti con l’attesissima autobiografia di Bruce, “Born To Run” da poco in libreria.
Un mare magnum di pubblicazioni sconfinato; si passa dai libri biografici più o meno ufficiali, più o meno attendibili, a testi di natura giornalistica, a volumi critici, all’analisi della ricca produzione dei bootleg, a libri dal carattere enciclopedico, alle numerose raccolte di liriche tradotte che ‘raccontano’ in modi svariati il fenomeno Springsteen sotto differenti punti di visuale; molti comunque capaci di fornire interessanti chiavi di lettura. C’è poi da aggiungere che tra i fan – e tra costoro inseriamo ovviamente anche coloro che a Springsteen hanno dedicato un libro – vige una sorta di reciproca invidia autoreferenziale di esclusività del ‘sapere’ intorno al loro beniamino, e qualsiasi cosa venga scritto di nuovo viene sempre guardato con occhio critico e sospettoso. È un po’ quello che è accaduto a Paolo Giovanazzi, autore di “Bruce Springsteen. Tutte le canzoni”, tacciato di essersi ‘abbeverato’ qua e là da altri testi, ma che in fondo a mio avviso ha portato in libreria (grazie a Giunti Editore) un libro onesto e interessante per quello che propone, che magari non interesserà i tuttologi del Boss che ‘hanno-tutto-e-sanno-tutto’ ma che ha un suo senso nello specifico, tale da incuriosire i potenziali acquirenti, neofiti o fan non ‘integralisti’, ma nemmeno generalisti. Un brevissimo inciso, del tutto personale, che è un mio consiglio: diffidate dei commenti in rete, di qualsiasi cosa si tratti, o forse – meglio – prenderli con le pinze. Il libro, quasi fosse un catalogo, prende minuziosamente in esame tutte le canzoni di Bruce edite ufficialmente fino ad oggi nel corso d’una carriera avviata nel 1973 con “Greetings From Asbury Park”, raccontandone la genesi, l’approccio artistico e l’enfasi donata loro dal consenso popolare; il tutto arricchito da una serie di aneddoti (e qualche retroscena) che sono utili quali curiosità oltre che d’approfondimento. Si arriva fino al cofanetto “The Ties That Bind: The River Collection” (dello scorso dicembre 2015) che ha integrato con tanti inediti e filmati il fondamentale album “The River” del 1980. Giovanazzi, in molti casi ha recuperato le stesse parole pronunciate da Springsteen, riguardo i brani in questione, in tante interviste pubblicate sui magazine o estrapolate dalla biografia autorizzata d’un paio di anni fa “Bruce”, scritta da Peter Ames Carlin. Si passano in rassegna centinaia di canzoni e in moltissimi casi si tratta di veri e propri capolavori (“Born to Run”, “Badlands”, “The River”, “Thunder Road”, “Backstreets”, “Darkness on the Edge of Town”, “Racing in the Street”, “The Promised Land”, “Atlantic City”, “Rosalita”, “Tenth Avenue Freeze-Out”, “Jungleland”, “The Ghost of Tom Joad”, “The Promise”, “Prove It All Night”, “Nebraska”, “4th of July, Asbury Park”, “My Hometown”, “Dancing In The Street”), un patrimonio che è stato ineludibilmente saldato al grande canzoniere della musica popolare americana seppur in veste Rock. Ad integrare ciò ci sono le dichiarazioni di chi ha orbitato nell’universo più prossimo a Bruce, dal produttore storico Jon Landau (fu lui ad affermare nel 1975 “ho visto il futuro del rock&roll e il suo nome è Springsteen”) ai membri della fidatissima E Street Band. Così il libro riesce a superare la sua veste apparentemente catalogica (di analisi pezzo per pezzo, album dopo album in ordine cronologico) per diventare anche sorta di racconto biografico, di accurata ricostruzione quando tutti i pezzi del mosaico vanno al loro posto. Prima dell’analisi dei brani ogni album viene introdotto da un testo che dà misura storica al disco calandolo nel suo tempo e nel contesto dell’epoca. Bruce Springsteen, nelle sue canzoni, racconta l’America, il suo è un rock adulto e la sua opera affronta temi fondativi della cultura nordamericana, attingendo alla musica popolare della tradizione numerosi sono gli universi evocativi di riferimento (le influenze di Bob Dylan, Woody Guthrie e Pete Seeger sono facilmente individuabili come pure quelle della tradizione letteraria e cinematografica ‘a stelle e strisce’ da John Steinbeck & Co. a Martin Scorsese ai ‘beautiful loser’ di Sam Peckinpah) e ‘Musica & Parole’ del Boss creano (solidi) ponti con il passato. A proposito di “Born To Run” spiegò una volta: «Stavo suonando la chitarra sul mio letto quando d’un tratto le parole di Born to Run mi vennero in testa. Pensavo si trattasse del nome di un film o di qualcosa che avevo visto mentre guidavo. Mi piaceva la frase perché suggeriva un dramma cinematografico che si adattava perfettamente alla musica che avevo in testa per quelle parole». Dalla lettura del libro vengono fuori i temi cari della sua poetica, Springsteen è cantore della speranza, è viaggiatore instancabile di quell’America dei meno abbienti in cerca di realizzare un loro sogno o di tirasi fuori dalla palude delle difficoltà quotidiane nella Terra dell’Abbondanza che ha promesso benessere a tutti; tra mito e realtà si apre una voragine e «Il mio compito è di misurare la distanza fra le promesse e la realtà», come ha dichiarato in un’intervista; e senza accettare compromessi. I testi sono vitali, appassionati ed appassionanti, incentrati sulle vite dei proletari alla ricerca di una vita migliore. Sovente è il lavoro (o la ricerca di esso o la sua mancanza) a guidare la scrittura del rocker del New Jersey, altre volte è il ‘Sogno Americano’ (per molti, troppi) infranto e mai realizzato, altre ancora è la vita ‘on the road’, in cui i protagonisti sono giovani in fuga in cerca di riscatto. Più che un poeta Bruce è uno scrittore che dà una dimensione narrativa alle storie che affronta nelle sue canzoni e il sudore e la fatica che Bruce e la E-Street Band dispensano sul palco costituiscono la catarsi del rapporto con il proprio pubblico, rappresentano la volontà di condividere una visione collettiva. Canzoni straordinarie sul conflitto generazionale e sulle contraddizione americane. Il libro mette l’accento sul difficile rapporto intrattenuto con il padre che si evince dalla lettura di alcuni testi; «In questi il Boss è come se tenesse un dialogo a distanza col padre» ha spiegato l’autore, che era un veterano di guerra, poi arrangiatosi con mille impieghi per sbarcare il lunario.
Paolo Giovanazzi è un giornalista ‘free-lance’ già autore di volumi su Rolling Stones e Vasco Rossi.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
(immagini per cortese concessione della Columbia)
“BRUCE SPRINGSTEEN. TUTTE LE CANZONI”
di Paolo Giovanazzi
Collana: Bizarre (diretta da Riccardo Bertoncelli)
Dimensione: 17x24cm
Prima edizione: giugno 2016
Giunti – 384 pagine – 22,00 €
Brani estrapolati dal libro:
Born To Run
Messo di fronte alla possibilità di veder svanire il suo contratto discografico, Springsteen è ben consapevole del fatto che gli serve una canzone abbastanza forte da dissipare i dubbi dei discografici e rimettere in carreggiata una carriera ancora precaria. Il pezzo designato è “Born To Run” e anche i collaboratori in studio di Springsteen sono completamente convinti dell’importanza dell’occasione. Il fonico Louis Lahav ricorda bene il fervore con cui è stata affrontata l’impresa: «Era un po’ di più che registrare una canzone. Era qualcosa di particolare, nella quale credevamo tutti moltissimo, una specie di religione». Secondo quanto racconta Springsteen nel libro “Songs”, tutto è partito dal titolo: «Un giorno suonavo la chitarra seduto sul letto, lavorando su alcune idee per future canzoni, quando mi vennero alla mente le parole ‘nato per correre’ (born to run). All’inizio pensai si trattasse del titolo di un film o di qualche scritta che avevo letto su un’automobile ma non ne ero sicuro. La frase mi piacque perché mi fece pensare ad una sceneggiatura cinematografica e mi sembrava si sarebbe adattata bene alla musica che avevo in testa». Ci vorranno sei mesi per dare forma a quella prima intuizione. Nel 2013 è stato battuto all’asta da Sotheby’s un manoscritto di Springsteen con una bozza di testo risalente, secondo quanto dichiarato dalla cada d’asta, al 1974. Compare il verso ‘i vagabondi come noi sono nati per correre’, ma il titolo del testo è “Wild Angels”, il che farebbe supporre che per Springsteen inizialmente ‘nato per correre’ sarebbe stato solo uno spunto ma non l’idea centrale attorno a cui costruire un intero testo. […] La prova che “Born To Run” può davvero funzionare arriva nel novembre 1974 quando Appelrecapita un primo mixaggio mono del pezzo a una quindicina di radio, che lo mandano in onda. Il pubblico è incuriosito e sono in molti a telefonare alla radio per avere informazioni sul brano. Si rischia l’incidente diplomatico con la CBS, dove la sortita di Appel suscita malumore, tuttavia l’interesse per “Born To Run” finisce col creare una certa attesa per l’uscita del nuovo album. L’unico problema è che a novembre 1974 il lavoro sul disco è ancora in alto mare e serviranno altri mesi di sforzi e ripensamenti prima di arrivare a una conclusione. […]Sherry Darling
«Il rock’n’roll è sempre stato quella gioia, quella particolare felicità che è, a suo modo, la cosa più bella della vita. Ma il rock riguarda anche il dolore, la freddezza e la solitudine. In “DARKNESS” per me sarebbe stato difficile far coesistere le due cose. Come poteva una canzone allegra come “Sherry Darling” stare al fianco di “Darkness On The Edge Of Town”? Non ero pronto, per ragioni interiori, a provare quelle cose. Mi disorientava, era troppo paradossale. Ma è finalmente arrivato il momento di capire che la vita di paradossi ne ha tanti, e che bisogna conviverci». Springsteen spiega così l’esclusione di “Sherry Darling” dal suo album precedente. Durante le sedute di “DARKNESS” sono state registrate alcune takes della canzone (un paio circolano su bootleg) a giugno e luglio del 1977. Nel documentario sulla realizzazione dell’album (incluso nel box “THE PROMISE: THE DARKNESS ON THE EDGE OF TOWN STORY”) c’è una sequenza in bianco e nero in cui Springsteen e Van Zandt ne improvvisano al pianoforte una versione scherzosa. Trattandosi di una ‘party song’, Springsteen decide che è inadatta a “DARKNESS” ma “Sherry Darling” non finisce in archivio. Durante il tour di “DARKNESS” viene eseguita in diverse occasioni e il debutto live avviene il 4 agosto 1978 a Charleston, in Virginia. Il discorso di presentazione di Springsteen è interessante perché individua con precisione il filone musicale a cui la canzone appartiene: «Abbiamo registrato questa canzone live in studio circa due anni fa, all’inizio dell’estate, e in origine dove essere su “DARKNESS” ma era troppo strana, quindi l’abbiamo lasciata fuori… C’è un genere di musica, non molto conosciuto, noto come ‘fraternity rock’. Erano cose come “Louie Louie”, “Farmer John” dei Premiers… mmm, che altro? “Double Shot Of My Baby’s Love” degli Swingin’ Medallions… Merda, qui stasera sono un vecchio. Nessuno conosce queste canzone! Era tutto ad alto volume, rumoroso, e suonava come se vi foste fatte dieci birre di troppo. La canzone doveva essere una cosa del genere, e per questo dobbiamo iniziarla con rumori da festa… ed è permesso anche vomitare nella borsetta della vostra fidanzata durante questo pezzo». […]I’m On Fire
Non sempre le canzoni di Springsteen nascono dopo innumerevoli ripensamenti e riscritture: “I’m On Fire” è un fortunato esempio di ‘instant song’, pezzo scaturito da un’idea nata più o meno casualmente l’11 maggio 1982 ai Power Station, improvvisando su un pezzo di Johnny Cash non meglio identificato. L’arrangiamento è ridotto all’osso, probabilmente più per necessità del momento che per intenzione. Quando Springsteen ha l’intuizione giusta in studio, sono presenti solo Bittan e Weinberg, che improvvisano un accompagnamento; la combinazione tra chitarra, synth e batteria sembra subito adatta al pezzo e non si rendono necessarie altre aggiunte. Il testo recupera tre versi di “Spanish Eyes”, una delle molte canzoni scritte all’epoca di “DARKNESS”, che verrà pubblicata ufficialmente solo nel 2010 in “THE PROMISE”. I versi però sono inseriti in un contesto diverso: “Spanish Eyes” è una canzone sentimentale, mentre “I’m On Fire” parla dell’attrazione sessuale per una ragazza già impegnata in un’altra relazione. Il testo si risolve in un paio di strofe e il desiderio per la ragazza prende la forma di un’ossessione dolorosa nella seconda strofa; ma non ci sono eccessi di struggimento. L’arrangiamento e l’interpretazione di Springsteen suggeriscono l’idea di una tensione trattenuta che cova sotto un’apparente pacatezza di tono. […] “I’m On Fire” è rimasta una delle canzoni più popolari di Springsteen, che ha continuato a suonarla in buona parte dei suoi tour, anche se con frequenza variabile: nei concerti del 1999 e del 2003 è comparsa solo un paio di volte. Durante il tour ‘one man band’ di “DEVILS & DUST” è stata riarrangiata per voce e banjo. La versione pubblicata in “LIVE/1975-85” ha un finale più lungo, con i vocalizzi di Springsteen accompagnato dal synth, un arrangiamento che è stato una costante durante il tour di BORN IN THE U.S.A”. Fra le molte versioni incise da altri artisti spicca quella dell’ispiratore stesso del pezzo, Johnny Cash, che l’ha registrata come bonus- track per “BADLANDS”, un album tributo del 2000 in cui vari artisti riprendono per intero le canzoni di “NEBRASKA”.
The Ghost Of Tom Joad
Che “The Ghost Of Tom Joad” sia figlia del film di John Ford “Furore” è certo; invece non si sa quando esattamente Springsteen abbia letto il romanzo di John Steinbeck da cui il film è stato tratto. Nel 1995 ha dato questa versione: «Mi sono avvicinato al film molto prima di quanto mi sia avvicinato al libro. Avevo letto il libro alle scuole superiori, poi l’ho letto di nuovo dopo aver visto il film ma non sono cresciuto in una comunità intellettuale, dove puoi sederti e parlare di libri». Nel 2014 però ha dichiarato: «Ho letto “Furore” molto tardi, parecchio tempo dopo aver scritto “The Ghost Of Tom Joad”. Comunque, era proprio come speravo che fosse. Non ho ancora letto “La valle dell’Eden” e mi piacerebbe farlo». In ogni caso si tratta di una curiosità puramente accademica: il Tom Joad che Springsteen ha in mente è lo stesso che buona parte del pubblico americano ricorda e ha la faccia di Henry Fonda, che lo ha interpretato nel film. Per il resto la canzone di Springsteen rammenta le parole dette da Tom alla madre («Ovunque ci sia qualcuno che lotta per essere libero, guarda nei suoi occhi e mi vedrai»), sebbene il testo sia ambientato in uno scenario contemporaneo. […] Non si hanno informazioni sulla prima versione del pezzo: l’autore ha raccontato di aver provato un arrangiamento con la E Street Band senza trovare una soluzione soddisfacente ma non si sa quanti tentativi siano stati fatti, né se esistano registrazioni di queste sedute (sebbene sia ragionevole pensare che ce ne siano). La versione pubblicata nel 1995 è registrata con un arrangiamento acustico in cui Springsteen è accompagnato da Federici alle tastiere, Tallent al basso, Rifkin alla pedal steel e Mallaber alla batteria. Stavolta il risultato è giudicato soddisfacente, tanto da spingere Springsteen a lavorare a un intero album acustico. Il fallimento della versione rock di “Tom Joad” gli lascia però l’impressione di un’opportunità mancata, e la dimostrazione che il pezzo può funzionare anche in una veste più aggressiva arriverà un paio d’anni dopo da una band che in apparenza ha poco a che spartire con lo stile di Springsteen: i Rage Against The Machine. […] Controversie a parte, “Tom Joad” resta una canzone importante nel canone springsteeniano, con tanto di approvazione della famiglia di John Steinbeck. Il figlio del romanziere, Tom, ha voluto incontrare Bruce nel backstage del suo concerto al Wiltern Theatre di Los Angeles nel 1995 per ringraziarlo di avere risvegliato l’interesse del pubblico per il personaggio di Tom Joad e in quell’occasione gli ha donato un anello appartenuto al padre. La vedova dello scrittore, Elaine, si è dichiarata pubblicamente fan di Springsteen, un’ammirazione nata peraltro molto prima dell’uscita di “TOM JOAD”. Nel 1996 Elaine ha insignito Springsteen del primo John Steinbeck Award, un premio assegnato a scrittori, artisti e attivisti il cui lavoro riecheggia l’adesione dello scrittore ai valori della democrazia e l’attenzione per i diritti dei più deboli. […]
Da Bruce Springsteen. Tutte le canzoni – Diritti riservati ©2016 Giunti Editore, Firenze