LEONARD COHEN MANUALE PER VIVERE NELLA SCONFITTA di Silvia Albertazzi
“Leonard Cohen. Manuale per vivere nella sconfitta” di Silvia Albertazzi è un libro che aiuta a comprendere meglio l’opera di Leonard Cohen, geniale autore di canzoni, poesie e romanzi, ed è utile anche per cogliere il senso nascosto che c’è stato dietro la scrittura delle canzoni da parte del cantautore canadese. L’autrice del testo, Silvia Albertazzi, è docente di Letteratura inglese presso l’Università di Bologna ed ha all’attivo svariati progetti di approfondimento culturale e letterario; ci aiuta ad illuminare alcuni aspetti meno evidenti della poetica di Cohen. “Manuale per vivere nella sconfitta” si presenta suddiviso in tre parti che analizzano altrettanti aspetti dell’opera di Cohen, scavando principalmente nell’uomo. Leonard Norman Cohen è morto il 7 novembre 2016 a Los Angeles all’età di 82 anni e tutti coloro che lo hanno amato ancor oggi lo piangono. Era nato a Montréal, il 21 settembre del 1934, e nelle sue opere aveva affrontato temi assai disparati tra di loro, ma che sempre riconducevano all’essenza può profonda dell’animo umano e della spiritualità che ad esso è sottesa. Robert Kory, responsabile di un fondo creato dalla famiglia di Leonard Cohen, ha spiegato che “prima della sua morte Leonard ha voluto puntualizzare che il vero capolavoro della sua vita era il suo archivio, che ha conservato meticolosamente a beneficio di fan e studiosi”. È tempo che i suoi fan diano inizio ad un viaggio a tutto tondo sull’artista, anche attraverso questo testo. Una prima parte della vita Cohen l’ha vissuta nel segno degli eccessi, mentre la seconda è stata caratterizzata da una ricerca spirituale che lo ha portato a isolarsi per quasi 15 anni, trascorsi per gran parte in un tempio buddista sul Mount Baldy in California, un’assenza terminata solo con il ritorno sulle scene nel 2008. La prima parte del libro di Silvia Albertazzi è dedicata all’opera poetica di Cohen, con un’interessante riflessione sulle influenze che l’artista ha maturato e un’attenzione particolare al rapporto tra mitologia e vita, tra tradizione e invenzione poetica. Cohen decide ad un certo punto della carriera di calarsi completamente nella parte dell’artista e per questo si fa carico di fare i conti con la tradizione ebraica e con la mitologia greca. Importanti aspetti biografici arricchiscono di significato le riflessioni portate da Silvia Albertazzi. Era il 1967 quando il cantautore e poeta canadese pubblicava “Songs Of Leonard Cohen” e a siglare i quarant’anni di attività giungeva non solo una tournée mondiale di enorme successo ma pure l’ingresso dell’artista nella Rock And Roll Hall Of Fame. Leonard Cohen sta al cantautorato colto come John Lee Hooker sta a tutte le stagioni del Blues revival e Jimi Hendrix alla chitarra rock. È un punto di riferimento ineludibile per chiunque abbia in animo di amalgamare insieme musica e liriche ed il suo autunno poetico è stato preso a modello anche da schiere di adepti alt-country negli Usa come nel nord Europa. È da oltre quattro decenni il più importante ed influente songwriter, addirittura più cristallino e carismatico di Bob Dylan, con quella voce da basso profonda, cavernosa e toccante come poche, ma non solo: è anche poeta e scrittore, uno dei più grandi tra i contemporanei. Per quanto possa sembrare paradossale l’energia che è trasudata dai concerti tenuti da Leonard Cohen nell’ultimo decennio della sua vita non aveva mai trovato analogo riscontro, in precedenza, nella lunghissima carriera del cantautore. Una dimensione genuina, quella dal vivo, con il rapporto ravvicinato con il suo pubblico, per un artista per il quale il tempo è sembrato non passare mai, e si potrà comprendere cosa possa essere significato presentarsi sul palco alla sua età e non perdere un briciolo della propria luminosa grandezza, l’aver rinsaldato la forza del suo messaggio artistico e rinvigorito la sua figura tout-court, ben lungi da qualsivoglia autunno poetico. Ed il suo pubblico lì a respirare una magnifica atmosfera in comunione con l’artista. Avendo sofferto di depressione per lunga parte della propria esistenza deve essere sembrata per il canadese una sorta di rinascita compensatoria quella che lo ha portato a sprigionare una straordinaria vitalità artistica nell’approssimarsi degli ottant’anni. Energia e/o urgenza (dettata dall’avanzare degli anni) sancite dalle centinaia di concerti sold-out tenuti – instancabilmente – in tutto il mondo in due tour successivi. Negli anni in tour che lo hanno rivitalizzato anche sotto il profilo creativo, facendogli vivere una seconda (se non addirittura terza o quarta) giovinezza artistica, Cohen, Mister ‘Hallelujah’, ha inciso alcuni magnifici album di canzoni inedite assolutamente all’altezza delle migliori cose incise negli anni Settanta come “Old Ideas” (2012), arrivato a otto anni di distanza dal precedente “Dear Heather” ed inciso a 77 anni con l’estro, l’entusiasmo e l’ispirazione probabilmente trovati ‘on the road’. E poi “Popular Problems” (2014), “You Want It Darker” (2016), l’ultimo suo disco, pubblicato meno di un mese prima della scomparsa, ed incentrato su temi inequivocabilmente sensibili quali la morte e Dio. Ci piace sottolineare come la produzione artistica di Cohen sia stata una delle più solide e cristalline dell’intero panorama musicale internazionale. Vi si colgono i frutti di un’esperienza di vita intensa permeata di spiritualità, i testi raccontano dei grandi temi di sempre, la vita e la morte, il sesso e i rapporti umani, con la consueta veste poetica, l’approccio intimista, mutuato dagli chansonnier francesi, e l’ironia di sempre. La sua voce, il crooning – baritonale e dai toni notturni – è migliorata con il passare degli anni, così piena di sfumature e di intensità; le canzoni si son vestite di tonalità calde e autunnali. Il canadese è il capostipite riconosciuto di quella canzone d’autore che dagli anni Sessanta in poi ha fatto scuola tra i suoi discepoli e breccia nella sensibilità e nella considerazione di tanti appassionati. Nato nel 1934 alla periferia di Montreal in una famiglia medio borghese di origini ebraiche, Cohen arrivò tardi alla musica, intorno ai trent’anni, dopo la pubblicazione di diversi romanzi e raccolte di poesie, come la seconda “The spice box of earth“, che divenne un successo internazionale, e il romanzo Beautiful Losers che nel 1966 ottenne grande successo di critica. Coetaneo di Elvis Presley (aveva un anno di più) Cohen aveva fino ad allora suonato solo un po’ di country. Fu la cantautrice folk Judy Collins a convincerlo a scrivere canzoni e a esibirsi dal vivo e fu lei a voler interpretare due delle sue prime composizioni: “Suzanne”, che divenne subito un grande successo radiofonico ed è ancora oggi uno dei pezzi più noti del repertorio di Cohen. Il suo primo concerto lo tenne al Newport Folk Festival nel 1967 e nelle prime apparizioni televisive che vennero subito dopo, oltre alle canzoni, recitava le sue poesie, quasi a voler riaffermare la doppia veste in cui era percepito dal pubblico al suo esordio discografico. Ad emergere da questo bel saggio dedicato a Leonard Cohen è anzitutto il dettaglio di un uomo consapevole del ruolo importante dell’artista calato nel suo tempo. Si legge poi: «È ormai divenuto uno stereotipo definire Leonard Cohen un poeta della canzone e le sue canzoni, poesie in musica, svuotando con ciò gradualmente di significato entrambi termini, “poesia” e “canzone”». E qui altri significative riflessioni dell’autrice nel sottolineare come il lavoro di scrivere canzoni sia complesso come quello poetico, ma decisamente differente per metodo e meticolosità. Un incanto per il cuore e per la mente ritrovarsi in compagnia di un poeta così lucido nel muoversi tra memoria e consapevolezza, elegante, e dallo sguardo acuto e penetrante. Per la pregnanza dei suoi testi, delle sue poesie, Cohen avrebbe meritato il Nobel assai prima di Bob Dylan. «La poesia – ebbe a dichiarare, quasi schernendosi, in occasione del ricevimento di un premio – viene da un luogo in cui nessuno comanda, in cui nessuno vince. Così mi sento un pò come un ciarlatano ad accettare un premio per un’attività che non comando. In altre parole, se sapessi da dove arrivano le buone canzoni, mi piacerebbe davvero andarci più spesso». E proprio il ‘menestrello di Duluth’, il padre del Folk-Rock, a proposito di Cohen si è così espresso in ‘un’intervista al New Yorker: «Quando la gente parla di Leonard, si dimentica di ricordare le sue melodie, che per me, assieme alle sue parole, costituiscono il suo più grande genio».
“Tutti attendiamo il momento in cui potremo abdicare, svestirci di questi abiti da re, abbandonare il trono di queste vite. Nessuno vuole le vesti del re. Tutti vogliamo essere nudi l’un l’altro, perché è il modo migliore per dare se stessi”.
(Leonard Cohen, 1992)
Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Titolo: Leonard Cohen. Manuale per vivere nella sconfitta
Autore: Silvia Albertazzi
Editore: PaginaUno
Dimensioni : 14 x 21 x 1,4 cm
ISBN-10 : 8899699194
ISBN-13 : 978-8899699192
Pagine: 240
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo copertina: 19,00 €