STANLEY KUBRICK di Enrico Carocci
Sugli scaffali (virtuali o fisici) delle librerie da qualche mese è arrivato “Stanley Kubrick” curato da Enrico Carocci e pubblicato da Marsilio Editore; ideale da mettere sotto l’albero di Natale.
Su Stanley Kubrick si sono fatti scorrere fiumi d’inchiostro, la bibliografia riguardante il regista americano (ma naturalizzato inglese) è assai corposa, ma la complessità della sua arte si presta a continue, nuove e mai banali ‘riletture’ critiche. Come questa raccolta di saggi sul cineasta assemblata da Enrico Carocci, che si occupa di Teoria del Cinema e insegna Estetica del Cinema e dei Media e Interpretazione e Analisi del Film presso l’Università Roma Tre, pubblicata da Marsilio per il ventennale della scomparsa dell’autore di “2001 Odissea nello Spazio” e “Shining”. Così, anche a venti anni dalla sua scomparsa avvenuta il 7 marzo 1999, Kubrick continua ad essere oggetto (ben lungi dall’esaurirsi) di ricerche, studi e analisi che caricano il suo Cinema di significati e di valori, e i suoi film (tredici in tutto, girati con parsimonia e cura certosina tra il ’53 e il ‘99) continuano ad essere considerati autentici capolavori, anche quelli di inizio carriera che si sono fatti spazio nell’immaginario collettivo dopo esservi stati trascinati da opere iconiche e indiscusse entrate di forza nella cultura pop(olare) come “2001 Odissea nello Spazio”, “Arancia Meccanica”, “Barry Lyndon”, “Shining”, “Full Metal Jacket”. ===Consulta la Filmografia di Stanley Kubrick===. Il suo genio è indiscusso. però, come tutti gli artisti geniali, Stanley ha diviso il pubblico tra coloro che lo amano incondizionatamente e quelli che proprio non riescono a comprendere il senso delle sue pellicole. Un film di Kubrick può piacere o no, ma di certo non lascia mai indifferenti. Il suo cinema è stato qualcosa di davvero unico e irripetibile. Il regista è la dimostrazione che il cinema può essere uno strumento capace di stupire ed arricchire le menti, e se poi il tutto è giocato su sperimentazione, sceneggiature meravigliose, amore per lo ‘sguardo’ filmico, il risultato può ragionevolmente sfiorare la perfezione, e anche superarla. Allo spettatore non convenzionale che ama entrare nei meandri più tortuosi ed enigmatici della ‘moving art’ lo stile visivo del Cinema di Kubrick, con la sua vitalità, anche con la sua astrazione intellettuale, offre più livelli stratificati di interpretazioni e di ‘letture’, tutte emozionanti, tutte capaci di far riflettere, tutte capaci di rigenerarsi e di nutrire la cultura visuale contemporanea e, nell’intreccio delle tematiche affrontate, suscitare interrogativi in coloro che leggono. Il corpo cinematografico delle opere kubrickiane, negli ultimi 50 anni dell’ultimo millennio, è diventato parte di un immaginario condiviso che ha affascinato, e tuttora continua a farlo, spettatori generazionali. Come ignorare tra le altre cose la funzione fondamentale della musica nei film del regista, la meticolosa costruzione dei personaggi, le straordinarie invenzioni narrative. Impossibile non apprezzare i costanti richiami fra la letteratura, fonte primaria per molti filmi di Kubrick, e molte delle sue pellicole. Sono tutti temi che Carocci mette in evidenza nella raccolta di testi di cui si è fatto coordinatore, contribuendo ad aggiungere nuovi livelli di lettura, nuove interpretazioni, interessanti conclusioni. Si è molto discusso del rapporto di Stanley Kubrick con Hollywood. Sono state date varie interpretazioni e complesse spiegazioni. Una risposta plausibile è contenuta in questo libro. Scrive infatti Enrico Carocci: «Non si può dire che Kubrick sia rimasto al di fuori del sistema hollywoodiano, più di quanto non si possa dire che sia rimasto all’interno di esso: egli ha delineato un perimetro al cui interno i termini che troppo spesso vengono considerati opposti – l’arte e il mercato – si trovano affiancanti e non in contraddizione». L’attività da regista di Kubrick iniziò quasi per caso; a New York era fotografo per la rivista Look ma la passione per il cinema e per la macchina da presa lo spinse a perlustrare nuove strade e a mettersi in gioco come regista, avendo idee ben chiare in proposito. Non studiò mai per diventare regista, tutto ciò che ha messo in mostra è frutto di quanto appreso da autodidatta e soprattutto delle “Lezioni di Regia” di Sergej Ejzenštejn. In effetti il suo punto di partenza fu: qualsiasi cosa che possa essere scritta o pensata può essere anche filmata. Dopo aver diretto film che gli sono serviti ad ‘acclimatarsi’ nel mondo del Cinema (“Fear and Desire”, 1953, “Il bacio dell’assassino”, 1955, “Rapina a mano armata”, 1956, “Orizzonti di gloria”, 1957, quest’ultimo nel tempo ‘rieletto’ a capolavoro), e poi diretto due opere più importanti come “Spartacus” (1960) e “Lolita” (1962), delle quali però non poteva ancora manifestarsi nel pieno della libertà di espressione, lasciare il suo marchio, la sua affermazione arriva con il suo primo riconoscibile capolavoro, per il quale ebbe il pieno controllo su tutta la realizzazione: “Il Dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba” del 1964. Il film venne prodotto in piena Guerra Fredda e ironizzava con un preciso ‘black humor’ la questione relativa alla paura della bomba nucleare. Ma l’indiscusso marchio di fabbrica di Kurbick è dato dalla prospettiva rinascimentale mostrata nel rivoluzionario (per i tempi) “2001: Odissea nello spazio” (1968) e nell’ancor più spiazzante “Arancia Meccanica” (1971), con una ricerca scrupolosa dei colori e la perfezione assoluta nell’inquadratura. Film che sono viaggi verso dimensioni artificiali e che tuttavia appaiono familiari e destabilizzanti allo stesso tempo. “2001: Odissea nello spazio”, vero e proprio spartiacque nella carriera di Kubrick, è il giusto mix fra inquadrature perfette ed effetti speciali che fecero aggiudicare al film l’Oscar per il Migliori Effetti Speciali, oltre alle candidature per la Migliore Regia, la Migliore Sceneggiatura Originale e la Migliore Scenografia. Così si è espressa la critica in proposito: «Mai prima era stato tanto potentemente evocato l’ignoto che attende l’uomo oltre gli ormai più o meno disvelati “vicini” planetari del sistema interno […]. Mai prima l’uomo era stato così esplicitamente riconosciuto vero protagonista, e posto con decisione al centro della scena, soggetto ed oggetto al tempo stesso di una filosofica e quasi metafisica ricerca del significato della vita, e del suo posto e del suo ruolo in un universo largamente incomprensibile nella sua infinità. […] Kubrick realizza un’opera unica ed irripetibile, che si colloca subito e per sempre tra i capolavori immortali del cinema. […] Originalissimo nella scelta delle musiche, il film è anzitutto geniale ed innovativo nelle tematiche, tra le quali già individua, con moderna visione anticipatoria, il problematico rapporto con l’intelligenza artificiale. Scientificamente corretto, minuzioso e plausibile sino al più piccolo particolare di vita quotidiana nello spazio, visivamente elegante in ogni momento e con alcune sequenze davvero indimenticabili, 2001 rimane uno spettacolo affascinante e suggestivo, ed uno dei più grandi film di tutti i tempi». Grande lettore, Stanley Kubrick, oltre alla maestria dietro la macchina da presa, si è distinto dai suoi colleghi per la scrupolosa ricerca di testi atipici che egli ha trasformato in capolavori cinematografici a volte superando il significato del romanzo. Da “Shining” (1980), passando per “Full Metal Jacket” (1987) fino al suo ultimo capolavoro uscito postumo, “Eyes Wide Shut” (1999), ispirato al romanzo breve “Doppio sogno” di Arthur Schintzler. In questo film oltre ad una trama accattivate, incentrata sul mistero, il sogno e l’ossessione, giocano un ruolo fondamentale due strepitosi Tom Cruise e Nicole Kidman. Il finale ancora oggi è uno dei più apprezzati della storia del cinema. Importantissimo il rapporto fra il romanzo “Nato per uccidere”, scritto dall’ex marine Gustav Hasford, e “Full Metal Jacket”, forse la testimonianza più lucida e dura sull’atrocità della guerra. Certamente non è possibile esaurire qui il cinema di Kubrick, nessuno può averne la pretesa, si possono solamente fissare alcuni punti, importanti si, ma insufficiente a delineare compiutamente la figura di un regista ‘totale’; maniacale e perfezionista sì, ma anche visionario, poetico, eclettico, geniale e unico. Lo studio della ‘forma’ in Kubrick è inscindibile dalla densa natura della ‘sostanza’ che egli di volta in volta ci ha mostrato. In “Arancia Meccanica”, per esempio, il tema della violenza nei rapporti umani è declinato in un climax ascendente verso l’astrazione e, proprio per questo, nonostante la potenza delle immagini, studiate in tutti i terribili dettagli, la forma domina almeno quanto il contenuto. In alcuni film Kubrick è comunque più interessato al contenuto di quanto non sia alla forma (per esempio in “Eyes Wide Shut”, anche se parzialmente incompiuto è comunque ben rappresentativo del suo cinema) ma talvolta anche viceversa (“2001 Odissea nello spazio”). Quindi, già stabilire se lo stile sia più importante della poetica è chiaramente un’operazione implausibile. Il testo curato da Enrico Carocci sicuramente non è facile da assimilare, sia chiaro, non è una biografia, è invece un’opera complessa e stratificata, strutturata secondo un linguaggio molto tecnico, ma è assai utile per chi vuole approfondire lo studio del regista e per coloro che già sono entrati nell’orbita della ‘visione’ kubrickiana. Perché in esso troveranno informazioni, spunti e analisi indispensabili per approfondire, attraverso un’ottica non comune, ma mai distorta, il cinema di Stanley Kubrick, la cui ambizione «era quella di tenere insieme istanze che il senso comune considerava distinte». Già la copertina minimalista del libro predisposta per l’occasione, con quello sfondo rosa su cui si stagliano inquietanti le gemelline di “Shining”, con il loro vestitini azzurri cinti da nastrini rosa, offre la prima cifra stilistica ed interpretativa dell’opera. I diversi saggi che compongono il testo curato dal professor Carocci, dopo una sua accurata e lucida introduzione (ed una presentazione di Paolo Bertetto), sono assemblati in modo tale da ripercorrere le tappe fondamentali di un percorso artistico avvincente. I diversi capitoli celebrano film che sono giustamente considerati monumenti della storia del cinema, vere e proprie leggende. In Kubrick stile e contenuto sono due facce inscindibili di una medaglia che non può essere considerata se non come una totalità. Ha scritto qualcuno: «Kubrick è come un dipinto di Picasso o una composizione di Stockhausen; sulle prime non lo si comprende appieno ma, alla fine, rimane e per sempre». Si parte dai primi passi nel mondo del cinema, dopo aver svolto il lavoro di fotografo, fino a “Eyes Wide Shut”, l’epilogo d’una carriera quarantennale, passando per tutti i capolavori realizzati. Leggendo il libro curato da Enrico Carocci viene davvero voglia di rivedere ogni fotogramma delle opere del regista americano, guidati e scortati da questo prezioso, indispensabile strumento. Completano il libro Note al testo, la Filmografia di Kubrick e una Bibliografia accurata.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
“STANLEY KUBRICK” a cura di Enrico Carocci (Marsilio Editori, Collana Elementi, 2019, 192 pagine, 12,50 €)