In evidenzaLibri

VERTIGO – 1969-1976 DISCOGRAFIA COMPLETA di Franco Brizi

 
 
 
 
Un bel libro frutto di passione, conoscenza e competenza, e dedicato ad una delle etichette discografiche più significative degli anni Settanta, la leggendaria Vertigo, approda nelle librerie fisiche e virtuali, confezionato da Iacobelli Editore, concepito ed assemblato da Franco Brizi.

Vertigo – 1969-1976 Discografia Completa” con l’ausilio di copertine, ritagli di giornali, memorabilia, schede di tutti i dischi, flyer degli annunci dei concerti apparsi sul settimanale Melody Maker, poster, le recensioni dell’epoca e quant’altro, racconta la storia breve ma quanto mai intensa della label fondata da Olav Wyper nel 1969, e nata da una costola della Philips, e divenuta in breve la più iconica degli anni ‘70. Un lavoro certosino e dettagliato che ha tutti i crismi della completezza tanto da assumere i contorni di una vera e propria Bibbia per appassionati, per collezionisti di dischi, per storiografi della Musica, per i cultori della Graphic Art in particolare e, più in generale, per curiosi e nuovi adepti acquisiti alla causa. Quale premessa, e ad integrazione di quanto appena affermato, è bene dire che le suggestioni che si sprigionano alla consultazione di questo libro sono pur sempre legate – forse è superfluo sottolinearlo – alla fascinazione di molti per il vecchio caro Long Playing, per quella ‘chimica’ del vinile che in passato ha fatto molti seguaci e ‘colorato’ l’esistenza di molti. C’è da aggiungere poi, che dalla metà degli anni ’80 i dischi in vinile, troppo frettolosamente, sono stati dati per estinti, ‘surclassati’ dall’emergente e più funzionale CD digitale. La sorprendente rinascita del vinile, in atto da qualche anno, rappresenta un’inversione di tendenza che non è legata solo al fideismo di sparuti nostalgici ma anche a nuove generazioni di appassionati che vanno (ri)scoprendo il gusto per il grande formato analogico a 33 giri. A suo tempo, nell’epoca d’oro dei dischi in vinile (che possiamo circoscrivere tra i Sessanta e gli Ottanta), di pari passo con l’affermazione degli LP si è distinta la realizzazione grafica delle loro copertine che oramai viene riconosciuta come autentica forma d’Arte, indicata sinteticamente con il termine di Cover Art. L’artwork ha rappresentato una vera e propria creazione artistica, uno step importante per dare identità, donare sfumature importanti all’opera e suggerire un primo importante riscontro delle atmosfere che la musica contenuta era destinata ad emanare. L’immagine ha segnato un punto di partenza per il viaggio intrapreso dall’artista, una guida per l’ascoltatore affinché potesse seguirlo nel suo percorso artistico. La composizione grafica aiutava il fruitore finale a catturare meglio il mood del disco o dell’artista in quel particolare momento artistico, materia che non sempre risultava di immediata comprensione. Agli inizi del mercato discografico, nei ’40, i dischi erano inseriti in semplici custodie protettive di cartone con il nome della casa discografica e nient’altro; i negozi li tenevano dietro il bancone e l’acquirente doveva chiedere espressamente il titolo del disco che cercava. Poi però non ci è voluto molto perché le copertine si trasformassero in autentiche espressioni artistiche via via sempre più raffinate e credibili, fino a raggiungere picchi straordinari negli anni ‘70 e ‘80, i decenni di massima popolarità degli album prima dell’avvento ‘rivoluzionario’ del digitale. Così curate e studiate (e a volte perfino costose) da diventare in alcuni casi importanti tanto quanto la musica stessa contenuta nei dischi, una maniera efficace per far sognare gli appassionati e ‘vendere’ musica. Di certo, nel diventare parte integrante dell’album con il significato culturale ad esso sotteso, le copertine hanno ricevuto attenzioni ‘cult’ dagli appassionati e suscitato un’ampia gamma di emozioni. È sintomatico il fatto che, nell’immaginario collettivo, molti dischi siano ricordati per le loro iconiche copertine prima ancora che per la musica. Si pensi ad esempio, in estrema sintesi, ad Abbey Road dei Beatles oppure Alladin Sane di David Bowie o ai due capolavori concepiti da Andy Warhol, “Velvet Underground featuring Nico”, su cui campeggia la mitica banana ‘sbucciabile’, e “Sticky Fingers” dei Rolling Stones, con quella chiusura lampo ‘fisicamente’ posta sui pantaloni; e ancora il rigore stilistico di “A Love Supreme” di John Coltrane o “Kind Of Blue” di Miles Davis, la fascinazione di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, “In The Court Of The Crimson King” dei King Crimson o di “Aqualung” dei Jethro Tull, l’impatto culturale di “Horses” di Patti Smith o “Heroes” di David Bowie, “Nevermind” dei Nirvana o “London Calling” dei Clash. Si tratta di immagini (grafica o fotografia o mix di entrambe) che hanno fatto la storia della musica, vere e proprie opere d’arte visiva, entrate dalla porta principale nell’Olimpo della Musica Rock, ed inoltre icone culturali e generazionali addirittura in grado di beneficiare di una propria vita autonoma. Ditemi in quale altro contesto una copertina completamente bianca come quella del “White Album” dei Beatles avrebbe mai avuto lo stesso significato e la stessa impressiva virulenza concettuale? L’artwork di una copertina creava i presupposti dell’approccio alla musica e preparava l’atmosfera in cui immergersi prima ancora che la puntina di un giradischi cominciasse a ‘perlustrare’ la prima traccia. Ed è forse inutile sottolineare che l’avvento dei CD, con copertine pure ricche di appeal e spesso confezionate con cura e in maniera originale, non è mai riuscito a restituire il fascino delle copertine dei Long Playing, dei ‘dischi neri’ in vinile. Le cover degli album non hanno perso il loro fascino ‘antico’ e l’inatteso risveglio che si è concretizzato sul mercato ha portato al miracolo d’una ‘new life’ per gli album in vinile. Gli anni ’70 sono stati assai proficui per il settore discografico nell’epoca del massimo fulgore della musica su 33 giri, un periodo denso e ricco di segnali innovativi nel campo delle copertine dei dischi in cui si è raccolto quanto seminato nei ’60 e si è andati anche oltre, con il boom della musica dal vivo, l’affermazione di una musica sempre più concettuale e complessa, ricca di citazioni colte, del Rock Progressivo, del virtuosismo chitarristico e di gruppi che hanno fatto epoca come Pink Floyd, Led Zeppelin e Yes. Al centro delle tematiche soprattutto scenari immaginari e fiabeschi impregnati di figurazioni medievali, epiche o mistiche. Fondamentale in questo senso è stata la figura ed il lavoro seminale dell’artista britannico Roger Dean il cui nome è associato ‘in primis’ alle copertine dei dischi degli Yes ma anche ad altri gruppi di Progressive Rock (Badger, Uriah Heep, Gentle Giant, Asia etc.). Parallelamente all’opera di Dean anche lo studio Hipgnosis ha avuto un forte impatto mediatico sui destini della musica del tempo, si è rapidamente affermato nel settore dell’arte concettuale e i designer britannici Storm Thorgerson e Aubrey Powell, con il contributo dello scomparso Peter Christopherson, ne sono stati l’anima. Lo Studio ha combinato in maniera pressoché perfetta la ‘visione’ di Powell nel costruire una compagnia specializzata nella creazione di copertine per dischi con l’assoluta inclinazione di Thorgerson a creare una art-house moderna ed innovativa. Il nome scelto per la company non solo aveva un’affinità sonora con ‘ipnosi’ ma era pure la combinazione di due termini significativi e di tendenza; ‘hip (nuovo, trendy) e ‘gnosis’ (consapevolezza). I loro lavori hanno trovato terreno fertile in un’epoca in cui la musica Rock Progressive era in fortissima espansione ed i musicisti, d’altro canto, per le copertine apprezzavano le soluzioni cariche di fantasia ed originalità. Alcuni dei progetti della Hipgnosis sono diventati icone indelebili della musica del XX° secolo. Si assunsero toni surreali e visionari, e l’iperrealismo concorreva a creare una sensazione di straniamento. Hipgnosis sta ai Pink Floyd come Roger Dean sta agli Yes. La collaborazione avuta con i Pink Floyd ha generato momenti mirabili come quella mucca che campeggia in “Atom Heart Mother” (1970) o il gigantesco maiale gonfiabile sulla Battersea Power Station di Londra che ha caratterizzato la cover di “Animals” (1977). Ma la copertina più iconica tra quelle pensate per il gruppo inglese, “The Dark Side of the Moon” del 1973, è tuttora considerata una delle più belle di tutti i tempi, e ha dato gloria, successo e credibilità a Hipgnosis sulla scena musicale. La luce che passa attraverso un prisma e ne esce come un arcobaleno voleva celebrare il famoso spettacolo di luci sul palco della band e dare un significato alle liriche dei brani. Un’immagine minimalista ma fortissima: il prisma è diventato sinonimo stesso di Pink Floyd. Ed è in questo contesto così creativo che si è inserita la Vertigo Records, con quella ipnotica spirale in bianco e nero (la ‘swirl label’) collocata senza fronzoli sulle etichette dei dischi in vinile (logo che i più attenti avranno notato in una scena di “Arancia meccanica” di Kubrick ambientata in un negozio di dischi), a promuovere e distribuire musica di Progressive Rock e Hard Rock. Il corposo volume di 512 pagine, scritto da Franco Brizi ed edito da Iacobelli Editore, è una sorta di ‘Definitive’ sulla Vertigo è un tuffo nell’iconografia musicale degli anni Settanta, racconta l’epopea della storica etichetta fondata nel 1969 dall’olandese Olav Wyper il quale ha spiegato meglio il suo intento quando ha dichiarato: «Quello che volevo era creare un’etichetta per una musica in evoluzione; ho fatto in modo che la Vertigo, con ognuno dei suoi dischi, offrisse musica contemporanea e all’avanguardia ad una vasta platea di ascoltatori». Non solo, anche l’accuratezza nella realizzazione grafica e nel packaging delle cover dei dischi sono stati motori trainanti di una nuova era. Nel catalogo della Vertigo troviamo dischi di Colosseum, Patto, Juicy Lucy, Uriah Heep, Gravy Train, Gentle Giant, Manfred Mann, il lavoro d’esordio solista di Rod Stewart, “An Old Raincoat Won’t Ever Let You Down”, del 1969 (ma anche “Gasoline Alley”), i primi album dei Black Sabbath a partire dall’omonimo esordio del 1970, e più avanti anche i Dire Straits a partire dal 1978; quasi tutti nomi di artisti e gruppi che sono stati lanciati dalla Vertigo in un’epoca particolare in cui i fermenti e la ricerca musicali erano assai elevati. Qui, l’avventuroso tragitto tracciato dalla Vertigo viene scandagliata disco per disco (oltre centoventi in tutto), gruppo per gruppo, documentato con accuratezza strabiliante; troviamo le riproduzioni di tutte le copertine degli album con relative etichette, un puntuale lavoro redatto sui numeri di catalogo, e inoltre foto degli artisti e dei gruppi chiamati in causa. Poi anche le recensioni comparse sulle riviste specializzate inglesi (Melody Maker, New Musical Express, Record Mirror) e italiane (Ciao 2001, Super Sound, Sound Flash, Muzak, e altre fanzine), e svariate fanzine. L’autore, Franco Brizi, è conosciuto da molti come profondo conoscitore, studioso e catalogatore del Rock Progressive, ha messo insieme tutte le copertine dei dischi pubblicati dalla Vertigo, distinguendo con fare certosino le disparate discografie, da quella inglese a quelle estere, e regalando ai lettori anche una inedita e corposa intervista rilasciata da Olav Wyper appositamente per questo libro. Wyper aveva affidato il compito importantissimo di realizzare il ‘concept’ delle copertine a Marcus Keef, un fotografo conosciuto al Royal College of Art di Londra, il quale si è distinto nel fondamentale lavoro di tradurre in immagini i contenuti musicali dei dischi offrendo un contributo fondamentale all’affermazione della Vertigo nell’immaginario musicale collettivo dell’epoca e dell’iconografia discografica tout-court. Scrive Brizi nel suo libro: «Dalla fine del 1969 assistiamo ad un deciso tentativo di rinnovamento totale con soluzioni armoniche, travolgenti, fascinose, spettrali, orchestrali, decisamente originali. […] Per la prima volta la musica Rock assume l’appellativo di musica ‘colta’, ‘nobile’, nata per essere consumata, ma ‘geneticamente’ modificata nell’arte più popolare e importante del Novecento». Per la cronaca (e per la storia) è stato “Valentyne Suite” dei Colosseum il primo album pubblicato dalla Vertigo Records nel novembre 1969.

Luigi Lozzi)                          © RIPRODUZIONE RISERVATA

Titolo: Vertigo – 1969-1978 discografia completa
Autore: Franco Brizi
Editore: Iacobelli Editore
Dimensioni ‏ : ‎ 24 x 3.6 x 30 cm
ISBN-10 ‏ : ‎ 886252725X
ISBN-13 ‏ : ‎ 978-8862527255
Pagine: 512
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo copertina: 78,00 €