IL MISTERO DEL FALCO di John Huston in 4K ULTRA-HD
Per celebrare i 100 anni della sua storia la Warner Bros. ha iniziato a pubblicare i capolavori del suo catalogo (e del Cinema ‘tout-court’) in eleganti ed imperdibili edizioni che faranno la gioia degli appassionati di Cinema e dei collezionisti. Uno dei primi è il capolavoro Noir di John Huston, “Il mistero del falco”, del 1941 pubblicato in una impeccabile edizione steel book e formato 4k Ultra-HD + DVD con il titolo originale di “The Maltese Falcon”.
È bene introdurre in qualche modo il genere Noir prima di passare a delineare l’importanza di un film come “Il mistero del falco”. Il Noir è uno dei più amati generi del cinema a ‘stelle e strisce’ ma non è cosa immediato formulare una definizione di ‘film noir’; poiché per alcuni si tratta di una tipologia sui ‘generis’, piuttosto che di un genere ben definito. Esso è spesso visto come un sottogenere del ‘giallo’ che si intreccia e/o si sovrappone ad altri sottogeneri quali il thriller, (o, in forma più sofisticata, mystery), il poliziesco, la detective-story, il gangster-movie, al punto da suscitare legittimo l’interrogativo se esso vada considerato un ‘genere’ oppure uno ‘stile’. Affermava il critico Schrader: “Il noir non è un genere: la sua definizione non si basa su convenzioni che riguardano l’ambientazione e il conflitto (western – gangster movie), ma piuttosto su caratteristiche più sottili: il tono e l’umore.” In modo certamente attendibile il ‘noir’ può essere visto come una dilatazione del ‘gangster-movie’, il suo naturale proseguimento, caratterizzato da elementi stilistici singolari ed originali. Senza ombra di dubbio però le sue origini vanno ricercate in Europa, nell’Espressionismo tedesco, poiché molti registi (di origine ebrea) in fuga dal vecchio continente, nell’approdare ad Hollywood, influenzarono con il loro talento e la loro tecnica l’industria cinematografica americana in maniera decisiva. Così registi quali Fritz Lang prima, e Jean Renoir, Julien Duvivier, Jacques Tourneur successivamente prima o durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno influenzato autori del calibro di John Huston, Orson Welles e Alfred Hitchcock. La singolarità delle tecniche di ripresa risiede nell’uso del chiaroscuro: quella insistita ricerca dei contrasti di luce (violenti ed eccessivi, di derivazione espressionista) accentua l’ambiguità nelle facce dei protagonisti, oppure rende inquietante una rampa di scale, o trasforma una qualsiasi strada cittadina in uno scenario minaccioso. Si possono definire facilmente i ‘topoi’ e gli archetipi a livello di intreccio narrativo, di motivi filmici e tematici. Essi sono costituiti dall’inquietudine, l’insicurezza, l’angoscia, la componente deviante della realtà, la dominante del nero, là dove si incrociano il ‘mistery’ e la ‘detective story’, la presenza di protagonisti vulnerabili, incapaci di controllare gli eventi. Ecco quindi un assunto incontrovertibile: l’uso del ‘bianco & nero’ necessario a dare corpo al ‘noir’; tant’è, non a caso, l’avvento del colore ha segnato, in America, il tramonto del ‘film noir’, sebbene sia possibile rintracciare splendidi esempi di film realizzati nello spirito del ‘noir’ anche tra quelli a colori degli ultimi decenni (“Chinatown”, “L.A. Confidential”; solo per citarne un paio) e poi, si può sottolineare, come gran parte dei registi che vanno attualmente per la maggiore si siano cimentati con il genere ai giorni nostri. Non sono forse ‘noir’ esemplari alcuni film di Martin Scorsese, dei fratelli Cohen, di John Woo? Gli elementi visivi costituiscono l’essenza principale del genere; e l’ambiguità (dei personaggi, figurativa, narrativa), cioè l’adozione di forme dotate di una pluralità di significati, è il suo tratto più distintivo. Nel noir gli elementi visivi sono dunque più importanti dei fattori sociali, il noir è più interessato allo stile che alle tematiche, il fatto di essere stato considerato a lungo un B-movie ha favorito una maggiore libertà di sperimentazione a livello stilistico. La tipologia del personaggio principale del noir è un eroe che vive sempre di fronte alla minaccia della morte, che egli vive come evento ineluttabile. Nei film noir troviamo un uso frequente del flash-back, delle dissolvenze e della narrazione in prima persona. Si tratta di un meccanismo narrativo che consente di accentuare la soggettività della narrazione “vissuta” e testimoniano la sua tendenza a privilegiare l’azione rispetto alla successione razionale degli eventi. Nel 1946 il critico francese Nino Frank usò per la prima volta il termine ‘noir’ per indicare alcuni film americani importati in Francia (‘noir’ era la copertina dei “gialli” francesi) ma secondo l’opinione di gran parte degli studiosi si può considerare come il primo e più importante film ‘noir’ “Il mistero del falco” (“The Maltese Falcon”) di John Huston ===Consulta la Filmografia=== del 1941, seguito poi dalla maggior parte dei film hollywoodiani realizzati negli anni Quaranta e nella prima metà degli anni Cinquanta. I precedenti più importanti si possono individuare nei film di gangster della Warner degli anni Trenta (da “Nemico pubblico” di Wellman a “Scarface” di Howard Hawks a “Piccolo Cesare” di Le Roy), nei pulp magazines in voga all’epoca, nel realismo poetico francese di Carnè e Duvivier, e, più indietro, nell’espressionismo tedesco di Fritz Lang (“Il dottor Mabuse”, 1922, “Metropolis”, 1927) e di altri autori tedeschi quali Robert Wiene (“Il gabinetto del dottor Caligari” del 1920) e Friedrich Wilhelm Murnau (“Nosferatu” del 1922). Particolarmente significativo era stato il ruolo dei Pulp magazines con i quali nasceva un genere narrativo che mutuava l’eroe dalla frontiera americana ad un più inqiuetante contesto urbano. Già nel 1920, sulla rivista Black Mask scriveva Dashiell Hammett (ex detective alla Pinkerton) il quale, utilizzando un linguaggio crudo ed immediato, dava origine al prototipo letterario hard-boiled con la definizione delle coordinate del genere a livello di dialoghi, di tematiche e di personaggi, ben oltre il tradizionale approccio di intreccio ad enigma di autori come Agatha Christie, Dick Van Dine, Rex Stout. Il successo che questa letteratura (Chandler, Cain, Woolrich) ottiene negli anni ’40 presso i lettori convince la Warner Bros. ad adattare alcuni dei temi per il grande schermo. Vari fattori storico-politici contribuirono all’affermazione del genere: in pieno periodo bellico e/o post-bellico, Hollywood era attraversata da una seria crisi, da cui derivava la necessità di produrre film a basso costo. Il pubblico manifestava una certa stanchezza rispetto a film consolatori ed emergeva l’esigenza di un ritorno al realismo, che poteva essere garantito dai molti registi tedeschi che erano emigrati in America (Lang, Siodmak, Wilder, Preminger, Sirk, Litvak, Polonsky, Ulmer). Essi erano appena sfuggiti all’incubo del Nazismo e portavano con loro l’insicurezza e il terrore dell’Europa. Bisogna ricordare, inoltre, come l’America agli inizi degli anni Cinquanta fosse percorsa dal fantasma della ‘caccia alle streghe’ in piena guerra fredda: dappertutto si scorgeva il pericolo comunista. Era sufficiente avere idee un po’ radicali per rischiare di perdere il posto di lavoro; bastava avere in casa certi libri o fare certi discorsi per essere accusati di connivenza con il nemico comunista. Molti scrittori, attori, registi, videro la propria carriera stroncata. “Il mistero del falco” viene universalmente riconosciuto come il capostipite del genere noir. La Warner aveva deciso di adattare per il Cinema un romanzo scritto da Dashiell Hammett, che era in pratica già una sceneggiatura scritta. Il film, già portata due volte sullo schermo senza successo, venne affidato, per limitarne i costi, ad un regista esordiente, John Huston e per la parte del protagonista, dopo il rifiuto di George Raft, si opto per Humphrey Bogart, considerato all’epoca sul viale del tramonto e che invece darà inizio ad una nuova, importante carriera con questo lavoro. In termini produttivi il film era quindi di seconda serie: 300 mila dollari di budget e otto settimane di lavorazione, tutte in interni. Huston elaborò una sceneggiatura fedele al romanzo, ma soprattutto allo spirito di Hammett. Egli tracciò gli archetipi del genere su diversi livelli: dall’intreccio alla narrazione, dallo stile filmico a quello tematico. Soprattutto gli ultimi due livelli risultano essere i più interessanti, in quanto la caratterizzazione dei personaggi diventava più importante della coerenza del plot narrativo e la continuità delle atmosfere proposte più incisiva dell’attenzione posta nei riguardi dell’evoluzione dell’indagine. Il Sam Spade impersonato da Humphrey Bogart è senza ombra di dubbio la sua migliore interpretazione di sempre, e proiettava l’attore nell’immaginario collettivo con il suo impermeabile e la sigaretta all’angolo della bocca, la smorfia sul volto a sancire un malinconico distacco dalle vicende in cui veniva coinvolto. Bogart ripeterà questo cliché interpretando il Marlowe di Raymond Chandler ne “Il grande sonno” di Howard Hawks. Ma lo straordinario cast che animava il film non si ferma a ‘Bogey’. Mary Astor, l’interprete femminile, diventa il modello di molte dark-ladies che popoleranno il noir americano: pericolosa, ambigua e patetica; ed un terzetto di caratteristi come quello composto da Sydney Greenstreet, Peter Lorre (che aveva interpretato “M, il mostro di Dusseldorf” di Lang) e Elisha Cook, con la componente latente di omosessualità, è di quelli che non si dimenticano facilmente. Si trattava di un film molto dialogato, con una prosa asciutta e fluida alla Hammett, ma è difficile rendersene conto, tanto il suo ritmo è stringato e calzante. Dal punto di vista filmico il film è stato fotografato con gusto espressionista (angolazioni dal basso, profondità di campo, uso aggressivo del grandangolo, ombre e veneziane nell’ufficio di Spade) e gode di un montaggio quanto mai incisivo. È importante anche delineare un profilo di Humphrey Bogart, nato a New York il 23 gennaio 1899, scomparso ad Hollywood il 14 gennaio 1957. Bogart incarna il mito cinematografico immortale per eccellenza. Intrigante, tenebroso, ineguagliabile. È figlio di una agiata famiglia di professionisti: il padre fa il chirurgo, la madre l’illustratrice. Viziato e irrequieto, viene espulso da scuola e si arruola giovanissimo nella marina. Alla fine della guerra prova la strada del teatro e del cinema in ruoli principali molto raffinati, ma di poca presa sul pubblico. Poi nel 1936 firma un contratto con la Warner per essere subito impiegato come il “duro” dei film noir, in linea con la sua vera personalità: nella parte di Duke Mantee è il protagonista del poliziesco “La foresta pietrificata” (accanto a Bette Davis e Leslie Howard), e la sua faccia diventa uno stereotipo del gangster (“Strada sbarrata” di William Wyler, 1937, “Angeli con la faccia sporca” di Michael Curtiz, 1938, “The Roaring Twenties” di Raoul Walsh, 1939). Recita fino a sei film all’anno: non tutti di primo piano ma sempre con ottimi riscontri al botteghino; al punto che la sua fama comincia ad oscurare quella di altre star hollywoodiane come James Cagney ed Edward G.Robinson. I suoi ruoli sono quelli tipici dell’angelo caduto, del dissoluto, del gangster spesso privo di spessore. Ma nel 1941 ecco la svolta della sua carriera: viene chiamato a sostituire George Raft sia in “Una pallottola per Roy” che “Il mistero del falco”. Nel primo film il suo personaggio è ancora una volta quello un gangster ma dotato di sfumature diverse dal solito; e Bogart gli aggiunge personalità carismatica in virtù del suo stile sobrio. È un ‘loser’ vittima di un passato che non è in grado di esorcizzare, schiavo della mala alla quale si è asservito. Nell’altro film tratteggia la figura del detective privato Sam Spade uscito dalla penna di Dashiell Hammett, e questo ruolo è la sua fortuna: l’investigatore tutto Borsalino e impermeabile, sguardo che conquista e sigaretta in bocca, ha una morale sua, è caustico e spietato, affascinante ma nessuna donna potrà mai conquistare il suo cuore solitario. Ha carisma da “duro” sardonico e maledetto, la sua maschera è gelida ma soffertamente umana, il suo personaggio anti-conformista, insofferente dell’autorità costituita, nemico dell’ipocrisia. “Bogey” impose un nuovo cliché del giustiziere senza macchia e senza paura, un cliché adeguato alla violenta realtà della sua epoca. L’icona perfetta del bad-good boy. Nel 1943 entra nel mito con “Casablanca” di Michael Curtiz, al fianco di una straordinaria Ingrid Bergman. “Casablanca” è oggi un film di culto in cui la sua interpretazione fatalista del loser nel clima apocalittico della guerra è la quintessenza dell’esistenzialismo. Il film in realtà ha la struttura identificabile di un noir: la durezza del protagonista, l’ambientazione, i caratteri dei personaggi alla deriva. L’etica diventa un fatto personale, il trionfo coincide spesso con la sconfitta, la generosità con il cinismo. Bogart crea il primo personaggio del cinema veramente complesso, fatto di sfumature e di contraddizioni. Il repertorio dei suoi mezzi espressivi si riduce ad una smorfia e ad uno sguardo, in violazione di tutte le regole classiche di recitazione. Con lui ha inizio il rinnovamento di Hollywood. Poco dopo, con il colpo di fulmine che lo indusse al terzo divorzio e al quarto matrimonio, sposa 45enne la 18enne Lauren Bacall, dolce e sentimentale. Accanto alla Bacall interpreta “Acque del sud” (1945), “Il grande sonno” (1946), “La fuga” (1947), “L’isola di corallo” (1948). Proprio ne “Il grande sonno”, Bogart dà vita ad un altro investigatore privato entrato nella storia: Philippe Marlowe, figlio del genio di Raymond Chandler. Un personaggio di certo più raffinato di Sam Spade. La sua vita è una sfida dove le regole del gioco quotidiano le fissa lui stesso. Bogart è un mito e Marlowe incarna il meglio dei personaggi fino ad ora interpretati dall’attore. Vince l’Oscar nel 1952 per “La Regina d’Africa”, dov’è un alcolista che si trasforma per amore di una donna. E poi, maturo ma sempre affascinante, a fianco dell’indimenticabile Audrey Hepburn, recita in “Sabrina”, del 1954. Il cancro si presenta all’improvviso nel 1956 e dopo un anno di agonia, egli muore. Il Philip Marlowe uscito dalla fantasia di Raymond Chandler deve molto al Sam Spade de “Il Falcone Maltese” di Hammett, e portato sullo schermo da Bogart, ma con alcune sostanziali differenze. L’approccio di Chandler con la materia è più immediato, la rappresentazione della corruzione e del male è diretto, con un assunto di colpevolezza (e/o di ingiustizia) delineato fin dall’inizio della narrazione; mentre al contrario Hammett lasciava emergere le componenti distintive tra il ‘bene’ e il ‘male’ solo nel corso della narrazione, lasciando il lettore libero di enunciare il proprio giudizio morale. Marlowe (che aveva fatto la sua prima comparsa nel 1939 ne “Il grande sonno”) è una specie di eroe senza macchia né paura – ‘duro’ e misogino ma fondamentalmente onesto. Nel corso della storia del cinema altri interpreti si sono cimentati con il personaggio di Marlowe; ricordiamo Dick Powell (L’ombra del passato”), Robert Montgomery (“La donna del lago”), George Montgomery (“La moneta insanguinata”), James Garner (“Marlowe l’investigatore privato”), Elliot Gould (“Il lungo addio”), Robert Mitchum (“Marlowe il poliziotto privato” e “Marlowe indaga”). Il Jack Nicholson di “Chinatown” è parente stretto del Marlowe di Chandler – lo stesso personaggio (il detective Geddes) riproposto 15 anni più tardi con “Il grande inganno” – come pure il Paul Newman di “Detective Story” e “Harper acqua alla gola” o il Gene Hackman di “Bersaglio di notte”.
TECNICA
“Il mistero del falco” arriva sul nostro mercato per la prima volta nel formato 4k-Ultra-HD (con incluso nella confezione disco in DVD), ed in aggiunta in una imperdibile edizione steelbook (a tiratura limitata) da collezione. Inutile aggiungere che il film diretto da John Huston appartiene indissolubilmente alla storia del Cinema e questa edizione, non solo è migliorativa di tutte quella precedentemente pubblicate, ma aggiunge brillantezza visiva all’avvincente racconto poliziesco di Dashiell Hammett, con un video sublime e un audio eccellente (per l’epoca in cui il film era stato presentato al pubblico). Il codec video è 2160p/HEVC H.265 con HDR e l’audio (almeno per la traccia originale inglese) è DTS-HD Master Audio 2.0 mono. Non credo che sia stato creato un nuovo master per questa versione, ma Warner Home Video ha ottimizzato la sorgente esistente per l’Ultra HD ottenendo così una edizione (potremmo dirla ‘definitive edition’) che trabocca di magnifici dettagli e di profondità di campo prima mai raggiunti. La struttura della grana rimane intatta e, come la maggior parte dei rendering 4K dei film dell’età dell’oro del Cinema, la trama a volte è un pò più evidente rispetto ai dischi a bassa risoluzione. L’immagine 4K appare molto più vibrante, possiede una definizione delle ombre e delle parti scure molto maggiore, e appare meglio bilanciata nei livelli di contrasto rispetto alla sua controparte Blu-ray. I neri sono densi, i bianchi nitidi, e i grigi meravigliosamente calibrati vanno ad aggiungere peso specifico e ne aumentano l’impatto visivo. Nel Blu-Ray alcune scene meno illuminate sembrano oscure e alcuni scatti diurni esterni sembrano un po’ sbiaditi, ma ciò non appare in questa edizione. Ogni dettaglio – da una goccia di sangue sulla camicia bianca di Cairo alla trama di pelle su un portafoglio alla stampa su un biglietto – è nitidissimo, così come sono strabilianti i dettagli dei volti in primo piano (ma anche il sudore sulle guance di Greenstreet e i capelli ricci e unti di Lorre) e le trame degli abiti. La traccia DTS-HD Master Audio 2.0 suona praticamente allo stesso modo del precedente Blu-Ray. Il dialogo è facile da comprendere (nonostante alcune frasi pronunciate da Lorre e Greenstreet), gli accenti sonori come spari, urla, telefoni che squillano e colpi di fiammifero sono ben distinti, e la colonna sonora musicale di Adolph Deutsch gode di una robusta pienezza di tono. Un’ampia scala dinamica gestisce tutti gli alti e bassi senza distorsioni e senza sibili, schiocchi o crepitii. Tra gli Extra oltre ad una biografia di Humphrey Bogart troviamo il Commento audio del biografo dell’attore, Eric Lax, con momenti di approfondimento e alcuni aneddoti divertenti; in verità il tutto piuttosto noioso perché disarticolato e confusionario.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
NOTE TECNICHE
Il Film
THE MALTESE FALCON / IL MISTERO DEL FALCO
(The Maltese Falcon)
Usa, 1941, 100’
Regia: John Huston
Cast: Humphrey Bogart, Mary Astor, Sydney Greenstreet, Peter Lorre, Elisha Cook.
Informazioni tecniche del 4K ULTRA-HD / Blu-Ray
Aspect ratio: 1,37:1 2160p/HEVC
Audio 4K Ultra-HD: Inglese DTS-HD Master Audio 2.0 / Italiano, Tedesco, Spagnolo Dolby Digital 1.0
Audio DVD: Italiano, Inglese Dolby Digital 1.0
Distributore: Warner Bros. Entertainment Italia