TRAVELS IN THE DUSTLAND dei Walkabouts
ARTISTA: WALKABOUTS
TITOLO: Travels In the Dustland
ETICHETTA: Glitterhouse Records/Goodfellas
ANNO: 2011
Il progetto Glitterhouse Records – l’etichetta tedesca che ha provato a ricostruire nella nostra vecchia Europa le atmosfere d’Americana (tra Alt-Rock e Alt-Country), con particolare attenzione alle realtà del nord del continente – procede spedito e grande attesa c’era intorno al nuovo progetto dei Walkabouts di Chris Eckman e Carla Togerson, che mancavano all’appello di un appuntamento discografico da ben sei anni (“Acetylene” quello precedente). Il gruppo di culto proveniente da Seattle (ma Chris da tempo risiede in Slovenia) è attivo dalla metà degli anni Ottanta ed ha inanellato una quindicina di album in quest’arco di tempo, e nonostante la lunga attesa imposta per il nuovo disco c’è da dire che i suoi componenti non sono stati in vacanza o hanno vissuto una crisi d’ispirazione, e in questo periodo apparentemente ‘morto’ si sono dedicati a progetti musicali a latere: lo stesso leader ha sfornato un disco solista (“The Last Side Of The Mountain” nel 2009) ed uno con la compagna Carla (“Fly High Brave Dreamers” nel 2007), ha preso parte ai raffinati progetti legati ai nomi di Dirtmusic e L/O/N/G, oltre a produrre le prove dei Tamikrest e Willard Grant Conspiracy. Ma il nome Walkabouts ha di per sé un così forte impatto mediatico che da solo è sufficiente a veicolare l’interesse spasmodico degli appassionati più attenti. Il sound distintivo della band riconquista d’un colpo il proscenio, fin dalle battute iniziali con il vocalismo dolce e malinconico della Torgesson (in “My Diviner“), fugando i timori – peraltro fuori luogo – che qualcuno aveva sollevato sull’eventualità che la lunga inattività potesse aver nuociuto alla creatività e ai destini musicali del gruppo. Il sodalizio tra Chris e Carla è di quelli solidi e proficui, autoriale e di gran classe, a nostro avviso ancora più credibili che in passato. Riescono a disegnare arabeschi folk-rock di ‘polvere e provincia americana’ con atmosfere cupe e misteriose, grazie al suono incisivo delle chitarre ed una qualità dei testi che è semplicemente straordinaria. I due cantano un’America minore e marginale, lontana dai grandi agglomerati urbani, l’oggetto di tanta letteratura (William Faulkner & Co.) e cinema indipendente. Al loro fianco troviamo musicisti affidabili come Michael Wells al basso, Glenn Slater alle tastiere e Terri Moeller alla batteria, più la new entry Paul Austin (ex Willard Grant Conspiracy) alla chitarra. Vero leader è ovviamente Chris che guida le scelte della band: “Ogni volta che ho chiara in mente l’idea per un disco – racconta – mi immergo nella lettura di libri e nella visione di film che possano aprirmi nuove prospettive sul mondo che ho deciso di esplorare”. Questa la tecnica adottata. Al centro dello strepitoso disco – come suggerisce anche il titolo – vi è la tematica del viaggio (si pensi a “Long Drive In A Slow Machine” o a “Horizon Fade“), ma anche del deserto, in senso simbolico per rappresentare l’inaridirsi dello spirito in tempi cupi e disperati come quelli che stiamo vivendo. Ci si muove fra il blues metropolitano ipnotico di “Rainmaker Blues” ed una classicamente rock “No Rhyme, No Reason“, tra una “Soul Thief” incalzante ed “Every River Will Burn” che veleggia in territori Velvet Underground, ma alla prova dei fatti ognuno degli 11 brani presenti in scaletta è un piccolo gioiello d’Americana.