YOU CAN’T USE MY NAME di Curtis Knight & the Squires feat. Jimi Hendrix
ARTISTA: CURTIS KNIGHT & the SQUIRES feat. JIMI HENDRIX
TITOLO: You Can’t Use My Name
ETICHETTA: Experience Hendrix/Legacy/Sony Music
ANNO: 2015
Si è a lungo deprecata – e lo si continua a fare tuttora – la pratica dello sfruttamento di materiali più o meno inediti di alcuni beniamini della musica Rock & Blues & Pop dopo la loro scomparsa; e Jimi Hendrix, fin dall’epoca della sua morte e successivamente, è stato tra tutti il più tartassato. E, fatta salva qualche eccezione, non cambieremo opinione ora solo perché l’operazione di pubblicazione di queste incisioni si ammanta dei crismi dell’ufficialità, con la Experience Hendrix (gestita dalla sorella del chitarrista scomparso) che prova a mettere ordine alle cose dopo il selvaggio sfruttamento del repertorio hendrixiano. Jimi era artista che amava registrare tutto quello che suonava e che gli passava per la mente, ma soprattutto è stato un musicista che sperimentava; ha avuto sempre un’indole irrequieta, anche e soprattutto negli anni (pochissimi) in cui ha cercato la sua strada, inanellando esperienze su esperienze in formazioni nelle quali si sentiva ingabbiato, non appagato, limitato nei movimenti e nel desiderio di esprimere il suo enorme talento da autodidatta. Agli inizi, bisognoso di approvvigionarsi di denaro, ha suonato al servizio di Solomon Burke, Wilson Pickett, Ike & Tina Turner, Little Richard, gli Isley Brothers, suonando musica routinaria, boogie di maniera privi di reale empatia. Abbandonati gli Isley Brothers Jimi alla fine del 1964 si aggregava alla formazione Curtis Knight, gli Squires, un passaggio che segnava l’esperienza umanamente più concreta vissuta dal giovane Hendrix fino a quel momento, anche perché Knight gli permise di mettere in evidenza negli spettacoli, nei piccoli locali di New York e dintorni, le sue qualità chitarristiche maturare nel tempo nel contesto di un repertorio piuttosto mediocre. Jimi ha preso parte a diverse session di registrazione con Knight. Per un certo periodo di tempo Jimi è stato succube del produttore Ed Chalpin che nell’ottobre 1965 gli aveva fatto firmare un contratto capestro con il quale si assicurava i diritti delle registrazioni dei tre anni successivi (in cambio di un dollaro simbolico e del 3% degli introiti). Chalpin si rese responsabile della pubblicazione (con scalette e copertine diversamente rimaneggiate) di alcuni materiali cui Hendrix aveva cercato inutilmente di opporsi (anche disconoscendone la paternità) ritenendoli informali e non all’altezza del suo prestigio, jam di scarso valore artistico. Fatto è che queste registrazioni circolano ancora oggi in album pubblicati in tantissime edizioni e con titoli sempre diversi. Ci sono, tra questi, le session effettuate tra il ’65 e il ’66 come componente degli Squires di Curtis Knight. Il lungo contenzioso seguito, già quando Jimi era in vita, si è chiuso solo nel 2003 con l’acquisizione dei materiali da parte della famiglia e questa compilation è di fatto il primo tentativo di presentare quella musica nel suo contesto originale. Un repertorio in realtà piuttosto mediocre – “How Would You Feel” sembra un rimasticamento di “Like A Rolling Stone” – nonostante ci siano sprazzi in fieri delle geniali intuizioni del chitarrista ma nulla di più, si distinguono l’assaggio psichedelico di “Hornet’s Nest”, “Strange Things” e lo strumentale “Knock Yourself Out“ oltre a “Station Break” perché inedito; l’unico valore riconoscibile è quello storico a beneficio esclusivo dei fan integralisti. Una curiosità: “You Can’t Use My Name” è una frase che Hendrix pronuncia in studio nel 1967 in una conversazione che precede una prova di “Gloomy Monday“; Jimi chiede ripetutamente a Chalpin di non usare il suo nome se mai quei nastri fossero stati poi pubblicati. Altri album relativi a questi materiali sono previsti nel prossimo futuro.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA