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THE DANISH GIRL di Tom Hooper in Blu-Ray

 

 

 

 

 

È la storia del pittore danese Einar Wegener che, negli anni Venti del Novecento, ha cambiato sesso grazie alla prima operazione chirurgica che la storia ricordi; prima artista affermato a Copenhagen, sposato, poi transgender a Parigi con il nome di Lili Elbe.

Il tutto raccontato attraverso il travaglio vissuto per il mutamento (anzitutto caratteriale) quando il protagonista, nello scoprire il fascino d’indossare abiti femminili e di esibire atteggiamenti da donna, avverte il risvegliarsi di un’altra identità che progressivamente va ad assumere. Calato nella sua epoca Einar deve affrontare non pochi ostacoli dovuti alle convenzioni sociali e alla impreparazione della medicina corrente che guarda a quest’uomo come a uno schizofrenico e un pervertito che non può che essere internato. Nella sua presa di consapevolezza e metamorfosi, e prima di affidarsi nel 1930 alla chirurgia sperimentale per un’operazione rischiosa ma rivoluzionaria grazie alla quale potrà avere un corpo adeguato al suo alter-ego femminile, Einar trova nella moglie Gerda Gottlieb, pittrice anch’ella – lui dipinge paesaggi oscuri e tormentati, lei fa ritratti -, un sostegno intelligente, filtrato dalla sensibilità d’artista, in una nuova veste da amica: deve accettare che suo marito non la ami più e prende coscienza del dramma interiore che lui sta vivendo. Tutto prende avvio un giorno quando, in assenza d’una modella, Gerda spinge il marito a indossare un abito femminile; quasi per gioco ma anche per una fantasia erotica questo risveglia nell’uomo qualcosa che era profondamente sopito nel suo profondo. Da quel momento, malgrado abiti un corpo maschile, Einar avverte di sentirsi una donna – «La palude è dentro di me» dice nel film; specchio dell’anima ma anche del corpo oggetto della mutazione – e come tale decide di vivere fino in fondo la sua reale identità. Più tardi si sottoporrà ad un paio di interventi di ‘riassegnazione sessuale’ mai eseguiti precedentemente per il completamento del suo percorso di riappropriazione femminile. Il biopic, un melò struggente e tragico sui mutamenti della ‘carne’, su una sceneggiatura di Lucinda Coxon ispirata al romanzo “La danese” (2000) di David Ebershoff, è stato adattato per lo schermo da Tom Hooper ===Consulta la Filmografia=== dopo che al progetto si erano succeduti gli svedesi Tomas Alfredson e Lasse Hallström. Il regista inglese, il cui Cinema è contrassegnato da una certa e rassicurante eleganza formale – lo ricordiamo vincitore dell’Oscar per “Il discorso del re” e artefice anche de “Les Miserables” -, ha scelto di raccontare la storia di questa coppia legata reciprocamente da un sentimento profondo in cui la donna esercita il ruolo di guida per il marito alla ricerca della sua identità sessuale. Una materia certamente incandescente ma che viene pure addomesticata tra le mani di Hooper che evita sapientemente di cavalcare l’onda lunga contro le forme il pregiudizio o di avviarsi sui binari fin troppo frequentati della facile trasgressione, ma così va pure a detrimento dell’autorialità di un film niente affatto consolatorio che rimane assai ben confezionato ma un poco ‘freddo’ e ‘distante’. Il regista riesce poi a cogliere l’atmosfera dell’epoca ‘riempiendo’ lo schermo di interni patinati ricostruiti con sapienza, di paesaggi dalla pronunciata ricchezza cromatica ben servito dalla fotografia di Danny Cohen e di splendidi costumi d’epoca. Alle rinunce di Alfredson e Hallström per la regia vanno aggiunte pure quelle delle varie interpreti femminili in un primo momento contattate per essere protagoniste per i due ruoli (Nicole Kidman, Charlize Theron, Gwyneth Paltrow, Marion Cotillard e Rachel Weisz), ma il film non ne ha risentito, anzi, quelli che sono stati scelti, seppur con minore appeal mediatico, si sono rivelati perfetti. Eddie Redmayne e Alicia Vikander sono stati entrambi candidati all’Oscar nella cinquina dell’Academy, il primo come Miglior Attore e la seconda come Migliore Attrice Non Protagonista. Redmayne, peraltro, aveva trionfato nella precedente edizione della Notte degli Oscar, nel 2015, grazie all’incredibile ritratto che ci ha regalato dello scienziato Stephen Hawking in “La teoria del tutto”, per cui nonostante la nuova straordinaria prova di metamorfosi fisica offerta in questa occasione, disegnando un personaggio prima smarrito poi via via sempre più determinato, era difficile ipotizzare per il 34enne attore londinese un nuovo successo. A vincere invece l’ambita statuetta è stata Alicia Vikander, nei panni di Gerda, cui va stretto il premio Oscar di Non Protagonista visto che nell’economia del film, il ruolo rivestito è di fondamentale importanza, lascia un’impronta ed è l’autentico motore propulsivo della vicenda melodrammatica narrata: la moglie che subisce una trasformazione ben diversa ma altrettanto radicale, ma rimane accanto a colui che un tempo era suo marito con grande sensibilità. La Vikander, per nulla appariscente – né carnale, né procace, né diva – è stata la rivelazione assoluta al punto che si sono subito fatti paragoni impegnativi; c’è chi l’ha definita la ‘Audrey Hepburn degli anni Duemila’ chi ha scomodato addirittura Ingrid Bergman. Altre due ‘Nomination’, ma senza premio finale, sono andate alla Migliore Scenografia (Eve Stewart) e ai Migliori Costumi (Paco Delgado).
Il trasferimento in High-Definition è impeccabile in tutte le sue componenti visive e sonore, anche se è palese che trattandosi di un dramma interiore il comparto audio ha ben poco su cui edificare una qualità ‘importante’. In un quadro video solido e ricco di dettaglio,fa bella mostra una fotografia attenta a ricreare (e distinguere pure cromaticamente) le atmosfere di Copenhagen prima, poi di Parigi, le città in cui si svolgono le due parti della narrazione. Tra gli Extra la featurette “Il Making of di The Danish Girl”.


(immagini per cortese concessione della Universal Pictures)

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA