Cinema

IL SIGNOR DIAVOLO di Pupi Avati

 

 

 

 

 

RITORNO AL PASSATO: L’HORROR PADANO PER PUPI AVATI
 
Il nuovo film di Pupi Avati, “Il Signor Diavolo”, riporta in primo piano uno dei generi cui il regista bolognese ha dedicato diversi lavori della sua nutritissima filmografia, l’Horror in salsa gotico-padano, che tanto seguito di appassionati gli ha garantito fin dai tempi del ‘cult’ “La casa dalle finestre che ridono” del 1976. Dal 22 agosto sugli schermi grazie a 01 Distribution.
 
 
 

 

Un’operazione intelligente, oltre che il ritorno ad un genere assai amato da Avati, perfettamente in linea con un certo climax letterario e culturale della provincia italiana, ma soprattutto scevra da contaminazioni anglosassoni che ne possano svilire il respiro autorale. Un pezzo importante della carriera di Pupi Avanti ===Consulta la Filmografia=== – da sempre coadiuvato dal fratello Antonio in veste di produttore e di co-sceneggiatore – infatti è fortemente caratterizzata da film di genere (si pensi, oltre al già citato “La casa dalle finestre che ridono” (ambientato nel 1950), con il quale ha codificato il filone del cosiddetto ‘horror padano’, ai vari “Tutti defunti… tranne i morti” del 1977, “Zeder” del 1983, “L’arcano incantatore” del 1996, fino a “Il nascondiglio” del 2007 girato in esterni negli Usa), ed un briciolo di horror si ritrova perfino nei suoi due primissimi lungometraggi, “Balsamus, l’uomo di Satana” (1968) e “Thomas e gli indemoniati” (1970). Non solo quindi le commedie che gli hanno dato fama, dal retrogusto agrodolce che hanno saputo cogliere magnificamente la natura umana e i sentimenti che la animano, ma anche i film di genere hanno permesso, e permettono ancora oggi, ad Avati di dispensare (poeticamente) riflessioni e racconti sugli incubi personali relativi a quel ‘male assoluto’ che si insinua pericolosamente in ogni essere umano; e per far emergere la dimensione ‘diabolica’, e per nulla consolatoria, egli immerge i suoi racconti dentro la Chiesa e il Cristianesimo. Al punto da far crescere il rimpianto tra gli estimatori sul perché non si sia dedicato più spesso al genere, per quanto belli e affascinanti siano stati i suoi film più importanti. A questi, nella filmografia di Avati, si aggiungono anche quegli angusti drammi ‘dipinti di nero’ – com’è per esempio “Il papà di Giovanna” – nei quali il regista esplora con arguzia e ricchezza di particolari l’inquietante profondità di quel ‘nero’. A mio modesto parere Avati, nel corso di tutta la sua carriera, è stato fortemente sottovalutato e penalizzato dalla critica dominante nel nostro paese – un critico di cui non faccio il nome si vantava di essere tra colore che in passato gli hanno dato ‘tante bastonate’ – che non deve avergli ‘perdonato’ i trascorsi televisivi ed una mancata assuefazione a modelli americani; mentre invece proprio in quella determinata volontà di raccontare un’Italia minore e ‘recondita’ si cela l’originalità e la bontà del suo Cinema. “Il Signor Diavolo” affonda le radici nel mondo in bianco e nero dell’Italia degli anni Cinquanta, all’epoca in cui il regista era un adolescente e faceva il chierichetto in una chiesa nella campagna emiliana; è tratto dal romanzo omonimo del regista, che spesso ci cimenta con la scrittura, e si distingue per un finale assolutamente spiazzante – che eviterò rigorosamente di illustrare a chi ha la bontà di leggermi -, e per di più diverso da quello del romanzo, per cui anche coloro che conoscono il contenuto del libro avranno un ulteriore motivo per ‘gustarsi’ il film. Da par suo Pupi, grazie alla straordinaria qualità del suo cinema che in tanti conosciamo ed apprezziamo, alla sapiente gestione della macchina da presa e con la precisione dei dettagli, riesce a dare toni cupi e di forte tensione al racconto, intorno alla paura atavica del buio e la soggezione nei confronti della sacralità e delle manifestazioni demoniache. E l’avvio del film è scioccante, procurando un repentino sussulto nello spettatore: una neonata viene azzannata nella sua culla da una figura umana mostruosa e deforme, dai canini ben pronunciati. L’ambientazione della vicenda narrata ci riporta indietro negli anni Cinquanta, all’autunno del 1952, in un’Italia che non c’è più, contadina e di provincia, un mondo nel quale c’era tanta superstizione e si fondava sull’ignoranza. Un’Italia da poco uscita dai rigori fisici, morali e psicologici della Guerra, e in fase di assestamento, laddove la Democrazia Cristiana aveva l’egemonia del pensiero pubblico dominante. Nel nord-est del nostro paese, in una zona imprecisata tra l’Emilia e il Veneto (notoriamente roccaforte cattolicissima d’Italia e regione dispensatrice di voti) nella bassa padana, si sta procedendo all’istruttoria di un delicato processo per omicidio nei confronti di un adolescente che ‘voce di popolo’ considera ‘indemoniato’: la Curia romana vuole vederci chiaro, si cerca di evitare che la Chiesa venga ancora accostata ad antiche pratiche oscurantiste legate al demonio, e si avvicinano pure le elezioni. Dal Ministero di Grazia e Giustizia a Roma, ad evidente guida democristiana, viene inviato un solerte funzionario, Furio Momentè (Gabriele Lo Giudice), che in treno, diretto a Venezia, inizia a leggere i verbali degli interrogatori fino a quel momento effettuati. Attraverso la lettura di questi gli spettatori fanno la conoscenza di Carlo, il ragazzo quattordicenne indicato come esecutore dell’omicidio, che racconta della sua amicizia per Paolino Osti, di quella con Emilio, un giovane deforme dalla dentatura inconsueta, che – si dice – avrebbe sbranato la sorellina a morsi, figlio unico di una possidente terriera (Chiara Caselli), erede di una potentissima famiglia del luogo. In una occasione Paolino umilia Emilio suscitando la sua ira ed accade qualcosa di assai strano nel corso della cerimonia delle Prime Comunioni: Paolino quando sta per ricevere l’ostia consacrata viene sgambettato da Emilio ed involontariamente calpesta il ‘Corpo di Cristo’. Da questo momento ha inizio una serie di sconvolgenti accadimenti, ‘in primis’ la morte di Paolino, che chiamano in causa il conflitto sempiterno tra il Bene e il Male; Carlo è convinto che l’amico sia morto per una maledizione mentre i medici parlano solo di malattia… Il resto lo scoprirete alla visione del film. “Nella cultura contadina dice uno dei personaggi – il diverso, il deforme vengono associati al demonio”. La scena in cui viene calpestata l’ostia consacrata è da antologia; magnifica! Lo scorso anno, il 2018, è stato assai importante per Pupi Avati che ha compiuto 80 anni, ha festeggiato i 50 di carriera (“Balsamus, l’uomo di Satana” il suo esordio cinematografico nel 1968), è stato il ‘Guest Director’ del Torino Film Festival e ha dato alle stampe il suo nuovo libro, dal titolo “Il signor diavolo. Romanzo del gotico maggiore”, pubblicato da Guanda, il romanzo da cui è stato tratto il film in questione. “Il signor Diavolo”, storia nera e ritratto di provincia intrisa di superstizione, di quelle che son sempre piaciute ad Avati, è stato sceneggiato dallo stesso regista con la collaborazione del fratello Antonio e del figlio Tommaso, ed è stato prodotto da Duea Film in collaborazione con Rai Cinema. Un nutrito e variegato cast costituisce la ciliegina sulla torta di quest’opera; sono presenti alcuni degli attori cari ad Avati (Lino Capolicchio ===Consulta la Filmografia===, Gianni Cavina, Massimo Bonetti, Chiara Sani), anche solo per brevi ruoli di supporto (Alessandro Haber, Andrea Roncato): tutti hanno voluto omaggiare il loro ‘Maestro’ e mettersi a sua completa disposizione. Una particolare nota di merito va senza dubbio a Chiara Caselli, straordinaria nel ruolo della madre di Emilio, che è riuscita a convincere Pupi a lasciarle costruire il personaggio con una certa autonomia ferme restando alcune indicazioni ineludibili fissate dal regista, mentre Gabriel Lo Giudice è molto bravo a rendere l’incertezza e la determinazione dell’ispettore protagonista. I due ragazzi al centro della vicenda narrata, Carlo e l’inquietante Emilio, sono interpretati rispettivamente dal giovanissimo Filippo Franchini e dal 29-enne Lorenzo Salvatori. Quest’ultimo, peraltro simpaticissimo come abbiamo potuto appurato nel corso della conferenza stampa di presentazione del film (a Roma, al cinema Adriano), è affetto dalla sindrome di Noonan, ha interpretato diversi ruoli a teatro e dal 2012 frequenta l’accademia L’Arte nel Cuore. «E’ stato molto bello interpretare questo personaggio – ha detto -, ho cercato di calarmi in esso mettendone in risalto gli aspetti più complessi». Gli effetti speciali sono curati dallo specialista Sergio Stivaletti, mentre la pregnante fotografia è firmata da Cesare Bastelli, altro collaboratore abituale di Avati e padano doc (è nato a Modena e risiede nelle campagne tra Bologna e Ferrara). Nella conferenza stampa Avati ha esordito dicendo: «La storia di questo film meritava di essere raccontata, e voleva esprimere la paura del buio e la superstizione che dominavano la religione dell’epoca». Nell’immaginario popolare, il sacerdote che saliva sul pulpito per pronunciare omelie minacciose, e metteva in guardia i parrocchiani parlando del diavolo, suscitava proprio quella paura per il sacro che il regista ha voluto far emergere nel suo film. Ha poi spiegato meglio la differenza del suo modo di lavorare come regista e come scrittore: «Quando scrivo la tastiera del mio computer è come se avesse due modalità, film e libro. Se scrivo per il cinema parte un’applicazione in cui tutti valori quantitativi vengono segnalati con un ‘bip’: 150 cavalieri ‘pib’, ‘pib’ che diventano sempre meno fino a quando non rientro nel budget. Se invece sto scrivendo un romanzo faccio come mi pare con assoluta libertà creativa. Nel caso specifico della storia qui affrontata, nel passaggio tra romanzo a film, ho dovuto innestare l’applicazione soprattutto per quello che riguardava la vita del funzionario ministeriale nella Roma degli anni Cinquanta, che sarebbe stato troppo costoso ricostruire. Ciò che per me contava era che fosse un film gotico, ‘padano e rurale’, volevo rifare un cinema così, come lo avevo fatto tanti anni prima. La mia creatività si fonda sulla paura e sulla timidezza, che sono stati gli elementi fondamentali della mia formazione: ero timido e quindi stavo in disparte e osservavo. Così ho raccolto moltissime informazioni e poi ho imparato a raccontare. Ho voluto rappresentare il Diavolo come un’entità che può essere ovunque e annidarsi in chiunque, anche negli animi più insospettabili». Ed ha aggiunto: «a ottant’anni compiuti provo grande nostalgia per quell’epoca che mi riporta all’infanzia. Provo una forte seduzione per quel mondo di allora, mi ritrovo proiettato verso il passato mentre forse dovrei prepararmi per il futuro: fare testamento. Io non ci riesco e quindi vengo redarguito da mia moglie, divento sempre più infantile. Regredisco». I film di ‘genere’ negli anni Settanta – ha sottolineato – hanno regalato grande visibilità al cinema italiano; basti pensare a Sergio Leone, uno nato e vissuto a Trastevere, che è diventato un autore riconosciuto e rispettato nel mondo grazie al ‘Western’, un genere ritenuto ancor più di nicchia, se possibile, rispetto all’horror. Oggi, invece, realizzare un film di genere nel nostro paese è quasi una scommessa poiché le produzioni nostrane preferiscono puntare sempre e solo sulle commedie. Così “Il signor Diavolo” è un horror purissimo, alla ‘Pupi Avati’ – è proprio il caso di dirlo – e non semplicemente ( e genericamente) all’italiana, d’autore e per di più ben riuscito. È denso, carico di spunti e di suggestioni, macabro quanto basta per essere genuino e, senza il bisogno di ricorrere a particolari effetti raccapriccianti, mantiene l’inconfondibile cifra stilistica del suo autore.

 

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 


(immagini per cortese concessione di 01 Distribution)

 

 

 

 

 

 

Il signor Diavolo
(Italia, 2019) 
Regia: Pupi Avati 
Cast: Filippo Franchini (Carlo Mongiorni), Lino Capolicchio (Don Zanini), Cesare S. Cremonini (padre di Carlo), Gabriel Lo Giudice (Furio Momentè), Massimo Bonetti giudice Malchionda), Ludovica Pedetta (infermiera Laura), Alessandro Haber (l’esorcista), Ariel Serra (Liù), Andrea Roncato (prof. Rubei), Gianni Cavina (sagrestano), Chiara Caselli (Vestry Musi), Lorenzo Salvatori (Emilio), Chiara Sani (madre di Carlo), Enrico Salimbeni, Alberto Rossi, Fabio Ferrari, Eva Antonia Grimaldi, Iskra Menarini, Alessandro Stucci, Claut Riccardo, Luigi Monfredini, Emilio Martire.
Produttore: Antonio Avati – Duea Film con Rai Cinema
Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Tommaso Avati.
Direttore della Fotografia: Cesare Bastelli
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Maria Fassari
Musica: Amedeo Tommasi
Montaggio: Ivan Zuccon
Effetti Speciali: Sergio Stivaletti, Just Eleven
Suono: Pompeo Iaquone
Line Producer: Charlie Owens
Organizzatore: Antonio Gallo
Genere: Drammatico/Horror padano
Durata: 86’ min.
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 22 agosto 2019