Cinema

I GRANDI REGISTI: TERRENCE MALICK

 

 

Il percorso artistico di Terrence Malick nel mondo del Cinema ha tutti i crismi per apparire esemplare agli occhi degli appassionati più puri, quelli, cioè che guardano ad esso come ad un’arte, un qualcosa che non si può imbrigliare con le logiche commerciali che regolano l’industria cinematografica, né ottenere a comando, ma deve rispondere ad un reale, impellente bisogno da parte dell’artista (in questo caso il regista) di raccontare qualcosa, di esprimere attraverso lo strumento cinematografico quell’esigenza di comunicazione che è alla base di ogni manifestazione d’arte.

 

 

Ecco le motivazioni che hanno spinto Terrence Malick rimettersi dietro una macchina da presa ben 20 anni dopo l’ultimo film diretto. Una mosca bianca, potrete ben capire, nel panorama generale del Cinema mondiale che da troppo tempo ha smarrito la strada che conduce all’arte, compresso com’è dalla necessità di recuperare gli investimenti e di gettare un occhio ansioso agli esiti del Box-Office nel primo week-end di uscita nelle sale. Terrence Malick, nato a Wako (Texas) il 30 Novembre 1943, ha consegnato alla storia del Cinema due film, tra il 1973 e il 1978, che hanno fatto gridare al capolavoro (“La rabbia giovane” e “I giorni del cielo”), che hanno convinto tutti di trovarsi dinanzi a qualcosa di più di una semplice promessa – erano gli anni nei quali su Hollywood spiravano i venti propizi di un felice rinnovamento, una stagione di nuove prospettive dopo gli anni bui della regressione dei Sessanta, nella quale si imposero nuovi talenti alla regia e volti nuovi erano destinati a soppiantare gli imbalsamati protagonisti degli ultimi lustri (La cosiddetta ‘New Hollywood’) -, salvo poi sparire repentinamente, senza una ragione plausibilmente ‘gridata’ ai media. Della sua scomparsa ce ne accorgemmo con il passar degli anni quando non registrammo l’uscita di un suo terzo ‘attesissimo’ film. Un alone di mistero ha circondato la sua figura ed il trascorrere del tempo ne ha accentuato l’aspetto mitico. Due film di bellezza assoluta ed eterea, costruiti su sceneggiature ‘fresche’ sui temi dell’amore e della morte ed illuminate dalla regia di Malick con piglio originale e con la rara maestria che si addice ad un veterano del Cinema. In entrambi i film, ambientati nella profonda provincia rurale americana, si rintracciano elementi autobiografici per Malick che per lunghi anni aveva lavorato come bracciante agricolo. Laureato ad Harvard in Filosofia, poi giornalista, poi insegnante infine allievo in un corso universitario di cinematografia, sfociato alfine nella selezione (nel 1969) per un ambito corso all’American Film Institute. Malick si finanziò gli studi revisionando (non accreditato) le sceneggiature di film come “Ispettore Callagher il caso Scorpio è tuo!” e “Yellow 33 – Drive, He Said” (diretto da Jack Nicholson nel 1972). Il primo lavoro di sceneggiatura retribuito fu, al termine degli studi, “Per una manciata di soldi” di Stuart Rosenberg (con Paul Newman e Lee Marvin) mentre nel contempo egli cominciava a lavorare al suo film d’esordio. Lo spirito indipendente del regista si manifestò fin da questi primi passi nel mondo del Cinema quando rifiutò qualsiasi offerta da parte degli ‘studios’ per finanziare il suo film e preferì servirsi di una cordata  di piccoli investitori: riuscì a girare il suo film con 350 mila dollari, una cifra irrisoria rispetto agli standard dell’epoca ed addirittura ridicola per quelli odierni. “Badlands” (del ’73), ambientato nel Sud Dakota durante i ’50, era interpretato dalla coppia di emergenti formata da Martin Sheen e Sissy Spacek, più lo straordinario Warren Oates ed ispirò Bruce Springsteen per una delle sue più celebri canzoni. La storia, ispirata ad un fatto di cronaca,  di una giovane coppia di ‘loser’ (poco più che una ragazzina lei) in fuga attraverso il Sud Dakota ed il Montana dopo essersi macchiati di un delitto; continuano a lasciare una scia di sangue al loro passaggio senza alcuna giustificazione mentre lui cerca di assumere gli atteggiamenti da duro del suo idolo James Dean, fino ad un inevitabile epilogo drammatico. Un racconto senza compiacimento né partecipazione emotiva, ma con il crudo e distaccato realismo verso l’assurdo della situazione ed una provincia americana descritta come un luogo nel quale si è smarrita la serenità del tempo antico. L’esiguo budget non trasparì assolutamente dalla visione del film che venne considerato un vero capolavoro. Nonostante ciò passarono ben cinque anni prima che il regista si mettesse nuovamente dietro una macchina da presa. “I giorni del cielo” (“Days of Heaven”, 1978), che venne accolto da elogi ancora più fragorosi, è ambientato nel Texas agli inizi dello scorso secolo, elegiaca rappresentazione del passato degli Stati Uniti, una terra oramai corrotta dall’avidità e dal progresso. Il film poteva contare sull’interpretazione di Richard Gere, Brooke Adams e Sam Shepard, su una mirabile fotografia opera di  Nestor Almendros (premio Oscar per questo film) e su una colonna sonora di pregevole fattura del nostro Ennio Morricone (mentre gli ‘assolo’ di chitarra sono di Leo Kottke), e su uno straordinario senso del paesaggio e della ineluttabilità del destino, che avevano caratterizzato anche il primo film del regista. Malick si aggiudicò il premio per la Miglior Regia al Festival di Cannes poi la sua scomparsa con direzione (anonima)  Parigi. Trascorsi molti anni d’improvviso la notizia che Terrence Malick, il regista che aveva aperto il cuore e la passione di tantissimi ‘aficionados’ del Cinema era tornato dietro la macchina da presa per l’adattamento di un romanzo di James Jones, “La sottile linea rossa”. Film che, se anche non è il capolavoro a lungo atteso, si distingue nettamente dalla produzione cinematografica imperante e reca con sé evidente il timbro autoriale che aveva guidato Malick nei suoi due film dei Settanta. È stato accolto positivamente dalla critica, non entusiasticamente dal pubblico; si sa, i tempi sono profondamente mutati. Ma se c’è gente ancora in grado di vibrare o emozionarsi per un film, di goderselo fino in fondo per tutte le sue molteplici sfaccettature, di tuffarsi in una ‘full immersion’ negli anfratti della psiche umana, allora questo film fa per loro: spettacolare quanto basta, diretto con mano sicura, interpretato da un folto gruppo di attori ‘all-star’ che (pare) pur di lavorare con il regista ha accettato una retribuzione sindacale per permettere di giungere alla fine delle riprese. Ha ottenuto numerose ‘nomination’ all’Oscar tra cui quelle per il Miglior Film, il Miglior Regista e la Miglior Sceneggiatura non Originale, senza ottenere alcun premio. “La sottile linea rossa” è un film epico sulla II^ Guerra Mondiale che è uscito sugli schermi americani quasi in contemporanea con un altro grande evento cinematografico sullo stesso argomento come “Salvate il soldato Ryan”. Due modi antitetici di rappresentare la guerra, più cerebrale, disincantato, quasi onirico, quello di Malick; sofferto, spettacolare, cruento quello di Spielberg. Due grandi film qualsiasi sia il punto di vista dal quale li si voglia giudicare. Tutto incentrato sul dubbio che attanaglia i soldati circa la bontà e la necessità del proprio operato, sulla paura che si impossessa di loro mano mano che il momento della battaglia si avvicina, sulla necessità di raccogliere le forze e il coraggio necessari ad andare avanti, in una guerra che si dimostra essere più grande di essi, destinati (molti di essi) ad un sacrificio umano senza ragione. E’ il dramma umano dei protagonisti a tener banco più dell’azione militare che pure c’è. Ma d’altra parte il cinema di Malick si è sempre preso cura dei personaggi anzitutto, sovente disperati ed indifesi, protendendosi verso la ricchezza dei loro ideali spesso frustrati ed adottando (caratteristica di ognuno dei suoi film) un ‘io’ narrate fuori campo che assicura maggiore tensione drammatica. Tratto da un romanzo di James Jones (l’autore di “Da qui all’eternità”), e già girato nel 1964, il film può contare su un cast stratosferico composto da George Clooney, Woody Harrelson, John Cusack, John Travolta, Nick Nolte, Sean Penn, John Savage, Bill Pullman, Elias Koteas, Jared Leto e (protagonisti principali) James Caviezel, Adrien Brody e Ben Chaplin. E’ ambientato durante la seconda guerra mondiale in occasione della battaglia, contro i giapponesi,  per la conquista strategica di Guadalcanal, nel Pacifico meridionale. Si segue la vicenda di una compagnia di soldati americani che deve conquistare una collinetta sotto il controllo dei giapponesi, a cominciare dal loro sbarco nell’isola fino alla partenza dell’ultimo sopravvissuto. Una delle battaglie chiave della seconda guerra mondiale, che riuscì a cambiare le sorti della guerra nel Pacifico, ma che fece registrare un numero enorme di perdite. Nel 2011 Terrence Malick ha portato a Cannes il suo quinto film in una carriera quanto mai parsimoniosa lunga quarant’anni; “The Tree of Life” è un film ambizioso ed affascinante, straordinario e complesso, una sorta di poetico ‘amarcord’ del tempo che fu intorno alla storia di una famiglia (forse, ma non è certo, dal sapore autobiografico) che assurge ad emblema universale di tutte le storie familiari, tanto da essere stato premiato con la Palma d’Oro al festival internazionale più importante che si tenga, quello francese. Qualche critica ha accolto il film per via della sua difficile interpretazione, ma di certo le note positive sono affidate in gran parte alla poeticità della messa in scena, al formidabile impatto visivo delle immagini. Il film, nel raccontare l’infanzia del piccolo Jack negli anni 50 in una religiosa famiglia di Waco (Texas), con un padre autoritario ed una madre dolce e comprensiva, si muove col passo d’una sinfonia nel tempo e nello spazio, cercando di dare un senso al dolore e alla morte. Lo spettatore deve munirsi di pazienza e di grande disponibilità per entrare nell’universo maestoso e stupefacente proposto da Terrence Malick e dal suo film. Al Festival di Venezia 2012 è invece approdato “To The Wonder” (ancora inedito sui nostri schermi, uscita prevista il 27 giugno 2013), un film che come spesso è accaduto ultimamente ha diviso la critica.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA