Soundtracks

COLLECTOR’S EDITION Vol.1 & Vol. 2 di Howard Shore

 

 

 

 

ARTISTA: HOWARD SHORE
TITOLO: COLLECTOR’S EDITION Vol.1 & Vol. 2
ETICHETTA: Howe Records/Ducale
ANNO: 2012

 

 

La naturale evoluzione di un percorso artistico che ha visto crescere a dismisura nell’ultimo decennio la considerazione nei suoi confronti, da parte di pubblico e di critica, è stata per Howard Shore la creazione di una personale etichetta discografica, la Howe Records. Il primo obbiettivo che si è posta la nuova label (attiva già da un certo lasso di tempo) è stato quello di pubblicare autonomamente (supervisionandone e tenendone sotto controllo tutte le fasi realizzative) gli score elaborati dal compositore negli ultimi tempi; e ci riferiamo alle colonne sonore di “Hugo Cabret” (di Martin Scorsese), “A Dangerous Method” e “Cosmopolis” (entrambi firmati da David Cronenberg) e a un’esecuzione sinfonica de “Il Signore degli Anelli”, la trilogia-capolavoro di Peter Jackson cui Howard Shore ha servito musiche di altissimo valore espressivo. Su un altro fronte invece si è proceduti al recupero dei materiali composti da Shore nell’arco della sua carriera che siano stati trascurati dal mercato, e/o dagli appassionati di musica per il Cinema, o addirittura mai pubblicati su disco. Rarità, outtake, versioni ‘oscure’ e deluxe, che sono andati a comporre le due distinte raccolte approntate dalla Howe Records e che vanno sotto il nome di “Collector’s Edition Vol. 1 & Vol.2”. Un’operazione che si è resa necessaria guardando indietro negli anni alla carriera di Shore. Non sono bastate in passato le collaborazioni importanti e (in alcuni casi simbiotiche e continuative) con David Cronenberg, Jonathan Demme, Tim Burton, Martin Scorsese, David Fincher a innalzare Howard Shore nell’Olimpo delle musiche per il Cinema ed è stato giocoforza necessario attendere la trilogia del “Signore degli Anelli” di Peter Jackson (tre Oscar in totale attribuiti a Shore, di cui uno per la Miglior Canzone”) per sdoganare nel modo più meritato, adeguato e roboante il compositore canadese tra i più grandi oggi in circolazione. Strada in discesa quindi per il quasi 67-enne compositore che si è così potuto permettere il lusso di creare la propria etichetta, la Howe Records, così come aveva fatto a suo tempo, prima di lui (e restando nello stesso ambito), gente del calibro di Philip Glass, Lalo Schifrin e Michael Nyman. Attività, questa, collaterale a quella primaria che consente a Shore o chi come lui la possibilità di avere piena autonomia sulle decisioni da prendere in relazione a quello che sia opportuno pubblicare o meno sul mercato; così egli ha messo mano ai suoi archivi,  iniziando a pubblicare materiali del passato trascurati dalla discografia o inediti o rari che di certo faranno gola alla schiera cospicua dei suoi fan e di coloro che ne studiano l’opera omnia. Questi sono i primi due volumi di una seria che probabilmente sarà lunga contenenti registrazioni curate e prodotte personalmente dall’autore (con la preziosa collaborazione di Jonathan Schulz). È vero che Shore nell’ultimo decennio ha imboccato la strada di un sinfonismo wagneriano dal maestoso respiro epico verificabile nella saga tolkieniana (e pure nel recente “The Hobbit”) ma non dobbiamo dimenticare lo spirito sperimentale e disturbato, ma ricco di fascinazioni dotte, che aveva caratterizzato il periodo meno popolare della sua carriera. Nel primo disco sono contemplate due collaborazioni cinematografiche – “Fuori orario” di Martin Scorsese dell’85 e il documentario “Heaven” firmato da Diane Keaton dell’87 – ed alcuni (cosiddetti) “Coffee Break”, tali per la natura e il climax proposto (una sofisticata veste jazzistica) delle composizioni ma ancor più per il curioso nome assegnato ai diversi brani (“Espresso”, “Macchiato”, “Robusta”, “Decaf”, “Turkish”, “Instant”, “Cream & Sugar”). Vale la pena ricordare che i primi lavori di Shore nel campo delle Musiche da Film sono stati il frutto della collaborazione (storica, di reciproca fiducia e tuttora in essere) intrattenuta con il connazionale, il regista canadese David Cronenberg che l’ha voluto per scrivere le partiture di “Brood – La covata malefica” (1979), “Scanners” (1981) e “Videodrome” (1983). In effetti con “Fuori orario” (1985) siamo alla metà degli anni Ottanta ed il nome di Howard Shore era ancora poco considerato. Alla luce di quanto abbiamo imparato ad amare del compositore, all’ascolto del cd emergono distintive alcune influenze jazz ed i toni di una ricerca sperimentale che agli esordi gli era consentita, sentieri che oggi Shore non può più permettersi di battere con continuità per lo status raggiunto (in quanto a notorietà) e per quella maestosa evoluzione sinfonico-visionaria determinatasi con la trilogia dell’Anello; e tutto ciò nonostante il compositore di Toronto sia ancora oggi capace di produrre le atmosfere spiazzanti e sperimentali (si pensi a “Cosmopolis” di Cronenberg) che lo rendono riconoscibile agli appassionati di lungo corso della sua musica. Il CD è accompagnato da un booklet che reca una nota introduttiva di Schulz e la riproduzione di alcuni quadri del pittore canadese Stephen Lack.

Il secondo disco reca come titolo “Soul Of The Ultimate Nation: Collector’s Edition Volume 2”. Nel 2005 Howard Shore era stato sostituito all’ultimo minuto nella stesura dello score di “King Kong”, di Peter Jackson, per il disappunto dei suoi fan che già pregustavano il piacere di ascoltarlo alle prese con un’opera così importante. I materiali sonori allora predisposti sono stati in parte utilizzati da Shore per un video-game coreano del 2007, “Soul of the Ultimate Nation”. Sappiamo bene come nell’ultimo decennio i videogame abbiano conquistato spazi importanti, suggerendo spesso all’industria del Cinema spunti su cui lavorare, per cui il lavoro di Shore per il settore non è altri che un naturale sbocco alla reciproca sinergia. Frutto anche di un significativo ripensamento sull’effettivo contributo che le musiche – in precedenza trascurate e sottovalutate – possono donare ai videogame. Tant’è che oggi l’universo degli score può contare su alcuni compositori (per esempio Michael Giacchino o Christopher Lennertz) che prima di esordire nel mondo cinematografico si sono fatti le ossa in quello dei video-giochi. Tra le tracce musicali non troviamo l’epico incedere delle musiche che Shore ha dedicato ai blockbuster di Peter Jackson ma lo stile del compositore è perfettamente ravvisabile tra le pieghe musicali, e per molti versi sembra addirittura di trovarci al cospetto di un’evoluzione delle musiche proposte per “Il ritorno del re”. Anche se i pezzi sono numerosi, ed molti di questi durano meno di tre minuti, ognuno mostra un’insospettabile identità espressiva, foriera peraltro di interessanti e innovative idee da sviluppare eventualmente in  un prossimo futuro.

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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