Cinema

COGAN – KILLING THEM SOFTLY: il Film

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CLONI TARANTINIANI

 
Il successo stratosferico dell’innovativo “Pulp Fiction” nel 1994 portava (inevitabile) con sé l’insidia di dare la stura ad un florilegio di opere analoghe e/o figliastre. Più o meno riuscite, però parte di un genere tra i più seguiti da pubblico e critica.

 

 

E così e stato; abbiamo registrato certamente un nuovo modo (‘Pulp’) di intendere il flusso narrativo con cui prima non avevamo troppa dimistichezza, si è offerta l’opportunità ad una schiera di registi emergenti di misurarsi con materiali originali, sovente fungendo questi da vero e proprio banco di prova nella loro crescita artistica. Molti sono stati i film da quel lontano 1994 che ci hanno appassionato ma sono stati tanti anche quelli deludenti e velleitari. “Cogan” purtroppo appartiene più alla schiera dei lavori non riusciti e pretenziosi che a quella eletta delle opere del genere da ricordare. Troppo lento, molto verboso (e questo non sarebbe nemmeno un elemento negativo, vista la natura stessa di tanti film alla “Pulp Fiction”, ma i dialoghi sono davvero eccessivi da risultare alfine noiosi), con pochissimi momenti di umorismo (che del genere è uno dei segni distintivi), ancor meno di ironia, e – nei momenti topici – una violenza estetizzante e sublimata al ralenty cara a tanto cinema di Sam Peckinpah, e forte è la sensazione di deja-vù che si respira. Grande assente è proprio il ritmo della narrazione.

Si racconta la vicenda di due balordi, di quelli cari all’universo ‘noir’ dei fratelli Coen; uno, Frankie (Scoot McNairy), cerca la sua occasione fortunato, l’altro, Russell (Ben Mendelsohn) per il momento ruba i cani che gli vengono affidati come ‘dog-sitter’ in attesa di trasformare gli introiti di questi furtarelli ‘mordi e fuggi’ in un’attività assai più lucrosa come spacciatore. I due, manovrati dal malavitoso gestore di una lavanderia, Johnny Amato (Vincent Curatola), mettono a segno una rapina in una di quelle bische clandestine di poker protette dalla mafia, a casa di Markie Trattman (Ray Liotta). Amato è sicuro che verrà accusato del colpo lo stesso Trattman, già responsabile in passato di un’identica truffa (di cui si era vantato in privato), e che riusciranno a farla franca.

Come sempre – film come “Fargo” di Joel e Ethan Coen o “Soldi sporchi” di Sam Raimi ‘docet’ – qualcosa non va per il verso giusto. Da quel momento l’Organizzazione (un’azienda a tutti gli effetti, nella cura meticolosa della sua gestione) si mette in moto per rientrare in possesso dei propri denari e dare la giusta punizione agli artefici dello sgarro. Brad Pitt (che del film è anche coproduttore) interpreta il ruolo di un sicario a pagamento, Jackie Cogan, ingaggiato per rintracciare gli autori della rapina… E a fare da trait d’union – senza dare nell’occhio – tra le famiglie mafiose e il killer è il profilo basso di un Richard Jenkins come sempre bravissimo. La presenza di Brad serve ovviamente ad accrescere l’appeal per il lavoro ed in effetti la sua performance è – assieme a quella di uno strabiliante James Gandolfini (nei panni di un killer alcolista e malato di sesso) – la cosa migliore del film: cinico e risoluto il suo personaggio di killer prezzolato. I due sprovveduti rapinatori suscitano la simpatia del pubblico – un po’ meno chi li manovra – perché appaiono fin da subito i ‘vasi di coccio’ di manzoniana memoria, vorrebbero riuscire ad ottenere una opportunità per reinserirsi nel tessuto sociale ma sono troppo fragili e poco rabbiosi per sopravvivere alle intemperie della vita.

Regista il neozelandese Andrew Dominik, che aveva diretto Pitt in “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” e qui non riesce davvero a spiccare il volo dal pantano noioso in cui si è arenato. Dominik è anche autore della sceneggiatura adattata ai giorni del 2008 da un romanzo noir di George V. Higgins (“Cogan’s Trade”), del ’74, ambientato nella Boston dei Settanta. Sullo sfondo si agitano i fantasmi della recessione (che si oppone al Capitalismo spinto ma dominante di una minoranza), evocati da immagini di Obama e di Bush (all’epoca dell’imminente cambio di guardia alla Presidenza degli Stati Uniti) che passano (non casualmente) sugli schermi televisivi, mentre dispensano le loro promesse elettorali, ed in qualche modo le battute finali (il sicario che noncurante, in tempi di crisi economica anche per la malavita, pretende senza batter ciglio il pagamento fino all’ultimo cent di quanto gli è dovuto per il lavoro svolto: le tariffe sono quelle!, «Non siamo una nazione – dice Cogan -, siamo un business») suonano come paradigma di un ‘Sogno Americano’ irrimediabilmente andato in frantumi per il prevalere della ‘solitudine’ dei personaggi su un’idea di afflato condiviso nella direzione di una comunione d’intenti. Si poteva senz’altro fare meglio su un’idea di partenza come questa. Interessante e funzionale la colonna sonora con brani di Nico (“Wrap Your Troubles in Dreams”), Velvet Underground (“Heroin”), Carl Stone (“Moon Dance”), James Wilsey (“The Man Comes Around”), Kitty Lester (“Love Letters”), Jack Hylton & His Orchestra (“Life Is Just a Bowl of Cherries”), Barrett Strong (“Money – That’s What I Want”), Cliff “Ukulele Ike” Edwards (It’s Only a Paper Moon”) e The Wreckery (“I Think This Town is Nervous”).

 

(Luigi Lozzi)                                                     © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

(immagini per cortese concessione della Eagle Pictures)

 

Cogan – Killing Them Softly

(id., Usa, 2012)
Regia: Andrew Dominik
Cast: Brad Pitt, Ray Liotta, James Gandolfini, Richard Jenkins, Vincent Curatola, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn, Trevor Long, Max Casella, Sam Shepard.
Sceneggiatura: Andrew Dominik
Fotografia: Greig Fraser
Musica: Marc Streitenfeld
Genere: Noir
Durata: 97 min.
Produzione: Plan B Entertainment, Chockstone Pictures, Annapurna Pictures, 1984 Private Defense Contractors
Distribuzione: Eagle Pictures
Data di uscita: 18 Ottobre 2012
Sito ufficiale: http://killingthemsoftlymovie.com