WHITE NOISE di Noah Gundersen

 

 

 

 

ARTISTA: NOAH GUNDERSEN
TITOLO: White Noise
ETICHETTA: Cooking Vinyl/Edel
ANNO: 2017

 

Con il suo terzo album indie-rock, “White Noise” Noah Gundersen amplia ancora di più la considerazione di critica e di pubblico che lo avevano messo nel mirino già con i precedenti “Ledges” (2014) e “Carry The Ghost” (2015). Il giovanotto di Seattle prosegue nel suo progetto musicale maturo, edificato su ballate acustiche d’altri tempi, dal songwriting sofisticato e immaginifico, e con il sostegno d’una vocalità emozionante e (talvolta estasiata) in falsetto. Un tocco del sintetizzatore, poi – in alcuni casi più incisivo e presente -, dona echi nordici all’album. Caratteristiche distintive che si colgono già dal brano d’apertura, “After All (Everything All The Time)”, con il suono di quel basso sintetico e distorto, e ancor meglio si definiscono in “Sweet Talker”, perfettamente modellati su un impianto sonoro d’atmosfera folk, rarefatto ed etereo. Tredici i pezzi contenuti in un album onesto e cristallino che raccontano amore e desiderio, ansia e paure esistenziali, e vulnerabilità, del titolare con toni pacati ma appassionati, blend perfetto di intimità e universalità dell’umana condizione. All’ascolto è perfetto il bilanciamento tra i toni più accesi e vigorosi e altri più riflessivi e meditabondi, tra ballate sperimentali e più complesse, momenti più melodici, e altri più oscuri. “The Sound” – che è anche il primo singolo pilota – suona più rock di altri pezzi, “New Religion” è una ballata introdotta da un pianoforte magnifico prima di cambiare atteggiamento, “Heavy Metals” è tra le cose che meglio risaltano, anche per qualità delle liriche oltre che per impianto sonoro e vocale: i suoi riverberi percussivi e la voce di Gundersen ci ricordano una certa impostazione alla Peter Gabriel; e in “Fear & Loathing” (in assoluto la canzone migliore del lotto) ancora abbiamo perfino colto qualche estemporaneo ed evocativo cenno al coro finale sospeso di “Biko” dello stesso Gabriel. “Number One Hit of the Summer (Fade Out)” potrà diventare di sicuro un hit radio indie per vivacità e ritmo upbeat, ma, a dire il vero, non ci è sembrato tra i brani migliori. “Cocaine Sex and Alcohol (From a Basement in Los Angeles)” è piuttosto dark per liriche e musica, “Dry Year” è pulita ed acustica, ed esemplare, “Send the Rain (To Everyone)” invece la chiusura perfetta per un album che lentamente, e a ripetuti ascolti, ci ha conquistati. E Noah Gundersen non è peregrine cominciare ad inserirlo tra i grandi moderni songwriter americani, tra i vari Springsteen, Dylan e Buckley (Tim e Jeff indifferentemente).

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA