Cinema

TOMAS MILIAN, ADDIO!

 

 

 

 

 

Dobbiamo purtroppo registrare l’ennesima scomparsa (per noi) dolorosa di un personaggio di culto del cinema popolare italiano, amato dal grande pubblico e a volte maltrattato dalla critica, quella del cubano Tomas Milian che, naturalizzato italiano, ha trovato (e voluto fortemente) nel nostro paese la sua patria autentica.

Tomás Quintin Rodriguez (il suo nome per intero) aveva 84 anni, ed è stato trovato senza vita a Miami, dove viveva da tempo, il 22 marzo, a causa di un ictus; nella sua carriera aveva recitato per Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Michelangelo Antonioni, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, ma la celebrità l’aveva ottenuta grazie al ruolo di ‘er Monnezza’ nei poliziotteschi all’Italiana. Tomas era nato il 3 marzo del 1933 da una agiata famiglia cubana in un villaggio nei pressi dell’Avana.
IL CAMALEONTE TOMAS.
Singolare destino quello di Tomàs Milian ===Consulta la Filmografia===, attore cubano approdato in Italia alla fine degli anni Cinquanta e subito utilizzato in film impegnati (per la regia di Maselli o Visconti) e poi finito ad interpretare con grande successo popolare il ruolo di un poliziotto borgataro tutto parolacce e ceffoni. Un ruolo determinante devono averlo rivestito, certamente, le sue doti camaleontiche se è vero che è stato uno dei pochissimi (se non addirittura l’unico) interpreti ad essersi contaminato trasversalmente con tutto il cinema di genere italiano negli anni ’60 e ’70 (e buona parte degli ’80) non tralasciandone alcuno: dal Western Spaghetti a quello Picaresco (inaugurato dalla coppia Bud Spencer & Terence Hill), dal Poliziesco all’Italiana alla caratterizzazione Trash all’Amatriciana, dal Thriller ‘alla Dario Argento’ alla Commedia Sexy. Ma oggi è ricordato come figura mito del cinema trash italiano per aver impersonato sia la figura dell’ispettore Nico Giraldi, maresciallo romano della Polizia, figlio di un truffatore e di una prostituta, sia (e soprattutto) quella di ‘Monnezza’ (soprannome del poliziotto Sergio Marazzi) doppiato da un Ferruccio Amendola in versione ultracoatta, il poliziotto che dopo un passato malavitoso era entrato in polizia per ergersi a paladino della giustizia dai metodi alquanto ‘bruschi’ ed ‘inurbani’. Sebbene i due personaggi si somiglino molti nel look, nel linguaggio e nelle maniere assai spicce, non vanno confusi, anche perché appartengono a due filoni cinematografici diversi. Tra inseguimenti, battutacce volgari e schiaffoni affibbiati al povero Bombolo è entrato nel cuore degli appassionati che lo hanno eletto a personaggio ‘cult’, tenendolo ben distante da qualsiasi vocazione intellettualistica. Battute spesso (è dir poco) colorite, meglio se le definiamo ‘becere’ – In “Delitto a Porta Romana” ‘Monnezza’ si rivolge al suo superiore apostrofandolo con un goliardico «Guardi che io non vojo fà er demagogo, ma non vojo fà neanche er demastronzo!» -, ma che sono così amate dagli aficionados al punto da esser diventate linguaggio comune e, pure, circolare su Internet in file audio che in tanti vanno a scaricarsi. Oggi più che mai, mentre è un dato di fatto consolidato l’affermazione dei supporti video (DVD e Blu-Ray) per il recupero della memoria storica del cinema di genere, del quale si sono riscoperte qualità trascurate all’epoca delle uscite sul grande schermo, i film interpretati da Tomàs Milian sono tra i più venduti e più ricercati, ed assicurano ancora grossi introiti a chi ne detiene i diritti. Film spassosi sotto il profilo comico, davvero approssimativi invece per quel che riguarda il ‘plot’ narrativo del poliziesco d’azione. Un Cinema, è bene dirlo, corredato anche da una galleria di indimenticabili caratteristi (Bombolo, Enzo Cannavale su tutti) che sono diventati vere e proprie icone di un certo modo di guardare alle sorti della Settima Arte, e autentici idoli degli amanti del trash.
Biografia
Tomàs Quintin Rodriguez, nasce da una famiglia aristocratica a Culono, un piccolo villaggio nei pressi de L’Avana il 3 marzo 1932 (la data non è certa). Il padre era il generale Rodriguez, al servizio del dittatore Gerardo Machado. Nel 1952 un colpo di stato portava al potere Fulgencio Batista ed il papà di Tomàs venne arrestato, con gravi conseguenze sul suo spirito, tant’è che rimase ricoverato in un ospedale psichiatrico per cinque lunghi anni prima di uccidersi in casa, proprio sotto gli occhi del figlio. Un temperamento ribelle (da bambino ha frequentato le scuole Salesiane), ed il desiderio di gettarsi alle spalle un passato così tragico inducono il giovane ad abbandonate Cuba all’età di 23 anni per approdare a Miami e tentare la carriera d’attore. Si iscrive all’Università dell’Accademia Teatrale della Florida, dove affina le sue qualità recitative prima di trasferirsi a New York dove si iscrive al mitico Actors Studio condotto da Lee Strasberg ed Elia Kazan. Sono anni di duro studio, ma anche di immediate grandi soddisfazioni, perché lo nota Jean Cocteau che, d’accordo con Giancarlo Menotti, lo porta in Italia nel 1958, a Spoleto, per il Festival dei Due Mondi – dove recita in un lavoro del giovane Franco Zeffirelli, “Il poeta e la musa” – ed assumendo il nome d’arte col quale lo conosciamo. Forte di un talento naturale e della capacità di adattarsi con estrema duttilità a parti diverse, qualità assimilate negli anni della formazione, egli si guadagna subito nel nostro paese gloria e fortuna iniziando a lavorare con i nomi più importanti del Cinema italiano; nello stesso anno c’è l’esordio (un piccolo ruolo) nel film di Mauro Bolognini “La notte brava” e la stipula di un contratto con la Vides di Franco Cristaldi. Lavora con Maselli (“I delfini”, 1960), Bolognini “Il bell’Antonio”, 1960), Loy (“Un giorno da leoni”, 1961), Visconti (protagonista di un episodio di “Boccaccio ’70”, 1961), Lattuada (“L’imprevisto”, 1961), Vancini (“La banda Casaroli”, 1962), Puccini (“L’attico”, 1962), Pasolini (l’episodio “La ricotta” dal film “Rogopag”, 1963), Castellani (“Mare matto”, 1963), tanto per citare alcuni dei registi prestigiosi con cui ha a che fare in un periodo fecondo e ricco di mutamenti epocali. Ingaggiato prevalentemente in ruoli intellettuali ed un pò nevrotici di giovane ambiguo e un po’ vile. Grazie all’interpretazione ne “Gli indifferenti” (ritratto spietato dell’alta borghesia romana degli anni Venti), di Francesco Maselli, si aggiudica nel 1964 il premio come miglior attore al Festival di Mar de la Plata. Nella seconda metà degli anni Sessanta, con l’affermarsi degli Spaghetti Western, Milian conoscere il grande successo popolare con una serie di personaggi picareschi e farseschi che hanno segnato la storia del genere. Interpreta prima (quasi inosservato) il discreto “Il Bounty Killer“, dello spagnolo Eugenio Martin, in cui veste i panni del cattivo, poi l’interessantissimo cult-movie di Giulio Questi, “Se sei vivo spara“, pesantemente colpito dalla censura – è infatti uno dei recuperi in DVD più apprezzati dai collezionisti – per le sue scene di violenza; ma è sostanzialmente la celebre trilogia di Sergio Sollima (“La Resa dei Conti”, “Faccia a Faccia” e “Corri, uomo, corri” tra ’67 e ’68, dalle connotazioni socio-politiche date che rimandano al periodo caldo della contestazione), con l’attore nella parte del rivoluzionario peone Cuchillo, a decretarne il successo (da noi come nei paesi latini). Tre film che costituiscono pure alcuni tra i migliori esempi di Western all’Italiana. Ma Milian interpreta anche un altro ‘cult-movie’ come “Vamos a matar, companeros” (1970) di Sergio Corbucci, “O’ Cangaceiro”, e i semiseri “A volte la vita è molto dura, vero Provvidenza?”, “Ci risiamo, vero Provvidenza?” (in cui s’inventa il personaggio di chapliniana memoria del contabile con tanto di ombrello e bombetta), “La banda J. & S. – Cronaca criminale del Far West”, “Il bianco, il giallo, il nero“. L’attore intanto non rinuncia a lavorare comunque, anche in altre opere, come nel metaforico “I cannibali” (1969) di Liliana Cavani, nella commedia di intrattenimento “Dove vai tutta nuda?” (1969) di Pasquale Festa Campanile, nel filone gangsteristico con “Banditi a Milano” (1968) di Carlo Lizzani, nell’impegnato “L’amore coniugale” (1970) di Dacia Maraini, nel giallo di “La vittima designata” (1971) di Maurizio Lucidi, abilmente ispirato al “Delitto per delitto” di Hitchcock, un’incursione, poi, nel Thriller all’Italiana avviene con un altro cult, “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci, accanto a Barbara Bouchet e Florinda Bolkan. Una volta scemato l’interesse del pubblico per il Western alla metà dei Settanta, per quella vitalissima capacità di certo cinema nostrano di riciclare i modelli già consolidati in nuovi generi (era già accaduto una cosa simile all’inizio del decennio precedente con il passaggio dai Peplum ai Western-Spaghetti), accade che cresca la popolarità del filone poliziesco; che altri non è se non la prosecuzione, in scenari metropolitani, degli elementi codificati nel Western. Milian arriva al poliziesco nel 1974 con due film: “Milano odia: la polizia non può sparare”, di Umberto Lenzi, in cui interpreta il ruolo di un killer psicopatico, e “Squadra volante”, di Stelvio Massi; in quest’ultimo è il poliziotto Tomas Ravelli determinato e vendicativo. In rapida successione, la coppia Lenzi-Milian firma una serie di altri cinque lavori che oggi sono diventati dei ‘cult-movie’: “Il giustiziere sfida la città”, “Roma a mano armata”, “Il trucido e lo sbirro”, “La banda del gobbo” e “Il cinico, l’infame, il violento“. Milian ricopre ruoli da cattivo contrapposto ad altre icone del genere poliziesco come Maurizio Merli, Luc Merenda o Claudio Cassinelli. Ma si impone concretamente solo due anni dopo, interpretando l’ispettore Nico Giraldi, poliziotto anticonformista e contestatore (ispirato in parte al Serpico di Al Pacino),  in “Squadra Antiscippo”, primo di una serie di undici episodi che tratteggiano la figura dell’ex-ladruncolo passato dall’altra parte della barricata, trasformando (analogamente a quanto avvenuto con Trinità nei confronti dei western di Sergio Leone) il tutto in commedie giallo-poliziesche. E’ un successo clamoroso che impone un immediato sequel, “Squadra antifurto” e via via tutti gli altri. Tra il regista Bruno Corbucci e l’attore si instaura un perfetto meccanismo di reciproco sostegno, con il primo ad affermare che a lui spetta il compito di individuare canovacci di vicende su cui costruire i film mente all’altro viene lasciata tutta la libertà di elaborare l’esuberante personaggio attraverso la gesticolazione del corpo al limite della macchietta, i lunghi e incolti capelli, la mimica facciale e il linguaggio (spesso) scurrile da adottare (con l’accento romanesco delle borgate reso stupendamente accattivante anche grazie al doppiaggio di Ferruccio Amendola) trovano definitiva consacrazione pure nel personaggio del ‘Monnezza’; un campo nel quale Corbucci considera Tomàs ineguagliabile. L’attore cubano ottiene un clamoroso successo al box office e vince il premio Rodolfo Valentino per l’attore più creativo mentre riceve nel 1980 il premio Antonio de Curtis per la commedia. Attorno al commissario Giraldi e del ‘Monnezza’ ruotano le presenze dei magnifici caratteristi di cui parlavamo in precedenza, come Massimo Vanni nella parte del collega Gargiulo, lo straordinario Enzo Cannavale, ma soprattutto l’indimenticabile Franco Lecher in arte Bombolo, nei panni del ladruncolo Franco Bertarelli, più noto col nomignolo di ‘Venticello’, vittima sacrificale dell’incontrollabile desiderio di menar ceffoni di ‘Monnezza’. Vengono poi “Squadra antitruffa”, “Squadra antimafia” e “Squadra antigangsters“; e una volta esaurite le ‘squadre’, arrivano i ‘delitti’, a cominciare da “Assassinio sul Tevere“, per poi passare a “Delitto a Porta Romana“, “Delitto al ristorante cinese”, “Delitto sull’autostrada“, “Delitto in Formula 1“. Col passare degli anni però il filone si inaridisce ed anche il personaggio mostra segni di stanchezza ed all’attore vengono meno gli stimoli per andare avanti (anche l’età non più giovanissima comincia a farsi sentire); così nel 1984 viene siglata la parola fine alla serie (con “Delitto al Blue Gay”) e a un’epoca unica nel cinema popolare italiano. Il personaggio di ‘Monnezza’ diventa per il suo interprete un vero e proprio marchio di fabbrica che gli permette di traslarlo di sana pianta in altri film ed in altri contesti (le commedie di costume) senza smarrire un briciolo del suo appeal. Così registriamo “Il lupo e l’agnello” (Francesco Massaro, 1980), “Manolesta” (Pasquale Festa Campanile, 1981), “Uno contro l’altro… praticamente amici” (1981) e  “Cane e gatto” (1982, dove però si esprime in un divertente ispano-napoletano), “Il diavolo e l’acquasanta” tutti e tre di Bruno Corbucci. Sul come sia nata la figura di ‘Monnezza’ si racconta che il produttore Galliano Juso ed il regista Bruno Corbucci si trovassero a Napoli per girare un film e che proprio Juso rimanesse vittima di uno scippo da parte di due giovinastri a cavallo di una Kawasaki, con una dinamica tale da meravigliare positivamente un uomo di spettacolo come lui che immediatamente ha scritto una sceneggiatura che è diventata il corpo del primo film di Milian-Giraldi. L’attore ci mette di suo l’idea di vestire in modo eccentrico il commissario con scarpe da tennis, un berretto multicolore perennemente infilato in testa ed il linguaggio delle borgate romane. E’ utile ricordare che, nonostante il doppiaggio di Amendola, Milian era in grado di recitare in un romanesco impeccabile (una lingua popolare che egli amava moltissimo e trovava molto musicale) e, inoltre, che proprio lui è stato autore di gran parte delle battute del personaggio. Tra i film realizzati in questi anni vi sono anche “La luna” (1979) di Bernardo Bertolucci e “Identificazione di una donna” (1982) di Michelangelo Antonioni, ma successivamente, al tramonto dello stellone del fortunato filone, l’attore torna sempre più spesso negli Stati Uniti dove viene impiegato in film più o meno importanti, ma sempre di grosso richiamo; “King David” (1985, di Bruce Beresford), “Cat Chaser – Oltre ogni rischio” (1989, di Abel Ferrara), “Revenge – Vendetta” (1990, di Tony Scott), “Havana” (1990, di Sidney Pollack), “JFK – Un caso ancora aperto” (1991, di Oliver Stone), “Amistad” (1998, di Steven Spielberg), “Traffic” (2000, di Steven Soderbergh). Nel 2014 aveva ricevuto il Marc’Aurelio d’Oro, il premio alla carriera della Festa del Cinema di Roma ed aveva presentato l’autobiografia “Monnezza amore mio”. L’ultima sua fatica è stata il documentario autobiografico “The Cuban Hamlet”, del regista Giuseppe Sansonna. Negli ultimi anni – va detto, ma già dal 1990 quando lo abbiamo visto tornare, trasformato fisicamente, in “Revenge-Vendetta” di Tony Scott – Tomas Milian era quasi del tutto irriconoscibile nell’aspetto fisico, ingrassato e privo di capelli, ma non sufficientemente anonimo da non essere ricordato dai suoi fan che hanno continuano a celebrarlo e a ringraziarlo sentitamente, ed ancora di più oggi che ci è venuto a mancare, per gli splendidi momenti che ha regalato loro.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 


(immagini per cortese concessione della CG Entertainment/Mustang Entertainment)

 

 

 


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