THE RHYTHM OF THE SAINTS di Paul Simon in Vinile
ARTISTA: PAUL SIMON TITOLO: The Rhythm Of The Saints
ETICHETTA: Legacy/Sony Music
ANNO: 1990
Nel processo di rilancio dei dischi in vinile da qualche tempo in atto torna disponibile sul mercato, grazie a Sony Music, “The Rhythm Of The Saints”, l’album che Paul Simon incise nel 1990 quale ideale seguito del suo capolavoro “Graceland”. Vale la pena di riscoprirne le qualità (in Vinile) che all’epoca, al primo impatto, vennero sottovalutate.
Prima nel leggendario duo composto in coppia con l’amico di infanzia Art Garfunkel poi da solista a partire dal 1972, Paul Simon è di fatto unanimemente riconosciuto come uno dei più importanti autori americani di canzoni popolari del secolo scorso, il Novecento. Dopo aver celebrato un paio d’anni fa i cinquant’anni di carriera, ha annunciato il ritiro dalle scene e indicato l’album da poco uscito, “In The Blue Light”, quale ultimo della sua straordinaria carriera. Due epoche da incorniciare del percorso artistico di Paul: prima quei splendidi cinque album che siglarono i sei intensi anni di attività di Simon & Garfunkel, calati in una dimensione Folk-Rock così pregnante nell’America di fine anni Sessanta, poi i quindici che lo hanno definitivamente collocato nell’Olimpo dei più grandi di sempre; con i Settanta e gli Ottanta quali decenni più prolifici. Nonostante la grande popolarità raggiunta presso almeno un paio di generazioni di appassionati di musica, va sottolineato che l’indiscusso suo talento, l’alto profilo da songwriter e le doti da compositore, la facilità di scrittura in dischi sempre pregni di liriche di alto livello ed i differenti stili sperimentati in tanti anni, insieme con l’innovativa apertura alle sonorità afro (di cui si è reso artefice con l’album “Graceland”), nell’insieme l’artista (nato a Newark il 13 ottobre del 1941) merita un’attenzione del tutto particolare che va oltre l’immediatezza orecchiabile degli evergreen più conosciuti. “The Rhythm of the Saints”, sfumato verso atmosfere brasiliane, apriva alla grande gli anni Novanta del nostro che successivamente, però, in quel decennio e per gli unici due altri dischi pubblicati, sarebbe incappato in un flop come “Songs From The Capeman”, del 1997, ed in un disco buono ma passato inosservato come “You’re the One”, del 2000. “Graceland” nel 1986 era stato un autentico colpo di genio con gemme autentiche quali “The Boy In The Bubble”, la title-track, “You Can Call Me Al”, “Under African Skies”, “Diamonds On The Soles Of Her Shoes”, e, in quegli anni, Simon si aggiungeva a Peter Gabriel e David Byrne quali esponenti della music pop & rock occidentale sensibili alla rivalutazione e al rilancio su ampia scala di ritmi e stilemi di musica etnica ‘altra’, afro o latina che fosse. “The Rhythm of the Saints” cronologicamente è l’ottavo album della discografia solista di Paul Simon (senza considerare i ‘Live’ “Live Rhymin’”, del 1974, e “Graceland: The African Concert”, del 1987) e veniva messo in commercio il 16 ottobre del 1990, all’epoca su etichetta Warner Bros., e – attesissimo – faceva seguito allo stratosferico successo ottenuto nei quattro anni che l’hanno preceduto da “Graceland”, un capolavoro cross-culturale, un disco che aveva rivoluzionato l’approccio della musica occidentale alla Etno-World, ed era rimasto nelle classifiche per oltre due anni. E Paul, oramai, imboccata la strada della riscoperta e spinto dalla curiosità per nuovi climax sonori, si mostrava molto attento a percorrere nuove strade e sviluppare nuove esperienze alla ricerca di nuovi e più genuini sound, senza farsi invischiare in un facile e (forse) fin troppo scontato “Graceland II”. Dopo il magistrale sdoganamento dei suoni africani inseriti ad arte nella tradizione del sound americano, Paul Simon volava in Brasile a registrare il corpo principale del nuovo album, “The Rhythm Of The Saints”, un disco pieno di sfumature e colori, ricco di suoni e musicisti. Armonizzando un sound carico di percussioni con le impareggiabili liriche d’autore frutto del proprio talento. “The Rhythm of the Saints” è decisamente un album non pop-oriented e in verità è stato molto sottovalutato all’epoca della sua uscita, la critica e il pubblico con ne colsero la complessità dell’impianto – troppo facile (e ‘perdente’) fare confronti con “Graceland” che aveva beneficiato di un successo globalizzato – ma il disco, come potrete verificare all’ascolto odierno grazie alla sua nuova pubblicazione in vinile, ha dalla sua cura e qualità enormi. Con “The Rhythm of the Saints” Simon ha portato avanti la sperimentazioni (e la ricerca) in ambiti d’idioma World-Beat, concentrandosi, con un accorto e pregevolissimo lavoro in studio, sullo stile chitarristico West African pop e sui ritmi rituali del candomblé, un aspetto di sincretismo Afro-Brazilian che si è formato in un lontano passato nell’America del Sud quando i nativi dell’Africa occidentale (i cosiddetti West African) trovarono lì un approdo. Per comprendere meglio ricordiamo che per diaspora africana si intende quella migrazione dei popoli africani (e dei loro discendenti) ridotti in schiavitù prima verso le Americhe, e successivamente in Europa e in altri parti del mondo; i loro discendenti si trovano in tutto il mondo e una gran parte di essi vive in Brasile. Simon in questa occasione ha mescolato le radici folk della sua formazione, le sue canzoni pop con il ritmo d’un samba, accentuato e fortemente percussivo, conosciuto in Brasile col nome di Batugada, utilizzando una settantina di session-man del luogo. Paul ha inoltre recuperato le primitive radici religiose che ha esaminato con visionaria bellezza e tocco d’autore, ed utilizzato come ispirazione per un nucleo di canzoni poi proposte all’attenzione del mondo intero. Il disco allora apparve di ‘difficile’ lettura rispetto a “Graceland”, ma oggi, a bocce ferme e giudizi che si sono meglio sedimentati nella generale opinione della critica, “The Rhythm of the Saints” viene considerato almeno all’altezza di “Graceland”. Simon ha avuto modo di dichiarare poi in un’intervista a Bilboard del 2011: «il disco fu molto sottovalutato all’epoca, la gente (e anche la critica, aggiungiamo noi; N.d.R.) venne in parte spiazzata perché non era un album immediato ed accessibile. Lo capisco. “Graceland” si percepiva come molto prossimo, idealmente, al rock ‘n’ roll degli anni Cinquanta: tre accordi, tempo in 4/4, “Rhythm of the Saints” invece era prevalentemente percussivo, la struttura ritmica polivalente molto diversa, ed io ci misi del mio per introdurre variazioni avventurose e sperimentali rispetto ai tre accordi del materiale sud-africano. C’è voluto del tempo per apprezzare il mio lavoro nell’ampia comunità dei musicisti con i quali posso confrontarmi e misurarmi – percussionisti, chitarristi e infine songwriter -, e alla fine tutti hanno convenuto che il disco è valido tanto quanto “Graceland”». Dopo aver registrato alcune delle basi ritmiche in Brasile, a Rio de Janeiro, dove si era recato in quattro occasioni tra il 1988 e il 1989, Simon tornava a New York e, assistito da Vincent Nguini, un nativo del Camerun, sovrapponeva un vivido e distintivo corpo chitarristico sulle cadenze percussive delle basi, soprattutto in brani quali “The Coast”, “She Moves On” e “Proof”; missaggio che avveniva alla metà del 1990 negli studi Hit Factory di New York. Per le registrazioni Simon si servì di musicisti brasiliani oltre dei consueti collaboratori americani. A completamento del lavoro Paul provvedeva ad aggiungere liriche, melodie, arrangiamenti e influenze pop più tradizionali. «Ho aspettato – ha dichiarato all’epoca – di avere a disposizione le basi percussive prima di aggiungere la musicalità delle liriche». Il risultato ‘suona’ leggermente meno energetico, gioioso e coinvolgente del magistrale fluire sonoro di “Graceland”, ci sono meno linee di basso e solo un misurato utilizzo della fisarmonica, ma il mosaico assemblato dall’artista è di assoluto valore. E come per “Graceland” aveva scoperto, servendosene, il gruppo vocale dei Ladysmith Black Mambazo di Hugh Masekela, per “The Rhythm of the Saints” è stata la volta del Grupo Cultural Olodum, un collettivo composto da dieci percussionisti provenienti da San Salvador, che lo hanno assecondato a meraviglia nel pezzo d’apertura dell’album, la brillante “The Obvious Child”. Proprio una nutrita serie di percussioni apre nella maniera più adeguata il brano, una delle migliori cose mai scritte in carriera da Paul, dove la complessità dell’impianto si sposa a meraviglia con il ritmo. Il beat percussive, di stampo militaresco, venne registrato live, all’aperto, in una piazza, creando un affascinate contrasto alla vocalità di Paul e al suono della sua chitarra acustica. N.B. potete trovare il video-clip della canzone su YouTube all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=9HKNAhAxMAk
Nella deliziosa e ipnotica “Can’t Run But” è intervenuto quale ospite J.J. Cale; il pezzo è costruiti su un ritmo più discreto, liquido e sensuale, con uno xilofono in primo piano, un basso poco invasivo ed una pennellata bluesy della chitarra di J.J., a sostenere la voce distintiva di Simon, mentre le liriche evocano l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 1986. “The Coast” si apre con un elementare suono della batteria con un jungle rhythm sullo sfondo, nel quale poi si fanno largo una briosa chitarra elettrica, un’insinuante sezione di fiati (condotta da Michael e Randy Brecker) e quindi un coro di percussioni. “Proof”, canzone sofisticata e di gran classe, costruita su una ritmica complessa, è pregna di quelle sonorità caraibiche che l’artista non ha mai disdegnato e che ricordiamo fin dall’esordio solista (“Mother And Child Reunion” da “Paul Simon” del ’72) ed è arricchita dal suono degli ottoni, da deliziose variazioni delle parti vocali e interessanti interludi strumentali. “Further To Fly” è un intrigante miscela tra melodia classica del canzoniere americano e ritmi carioca, vi si coglie la presenza di Hugh Masekela e le liriche recitano: “A broken laugh a broken fever/Take it up with the great deceiver/Who looks you in the eye/And says baby don’t cry”. “She Moves On”, dedicato all’ex-moglie (e compianta) Carrie Fisher, la mitica principessa Leila di “Star Wars”, è il primo brano dell’album a far leva sulle radici folk di Simon, ma contiene pure un basso jazzy, i fiati di Michael e Randy Brecker che si insinuano tra le percussioni senza invasività, il suono morbido di una chitarra, un coro femminile di forte impatto e (‘of course’) un insieme di percussioni in azione. “Born at the Right Time” si avvale di nuovo del tocco chitarristico di J.J. Cale, è certamente uno dei brani di più immediata assimilazione del disco, giocato sul suono di chitarra, basso, fisarmonica e accompagnato da una melodia accattivante. Al contrario “The Cool, Cool River” è tra i brani più suggestivi dell’intero album, suona tremendamente moderna e avanti coi tempi, nei testi e in alcuni passaggi musicali. Così recitano le liriche: “Anger and no one can heal it/Slides through the metal detector/Lives like a mole in a motel/A slide in a slide projector/The cool, cool river/Sweeps the wild, white ocean/The rage of love turns inward/To prayers of deep devotion”, e che completa con parole di speranza: “And I believe in the future/We shall suffer no more/Maybe not in my lifetime/But in yours I feel sure”. “Spirit Voices”, con la presenza (e la collaborazione nella stesura del testo) del leggendario Milton Nascimento è magia pura, poiché nella tradizione brasiliana la musica e la poesia sono intrinsecamente legate tra di loro, marciano a braccetto, e vi spicca la bizzarra voce di Paul. In chiusura troviamo la title-track, una magnifica ballata dalle liriche New Age introdotta da esuberanti congas in stile Santana, e, come il titolo suggerisce, è dominate dal suono percussive di un vero e proprio ensamble, che soverchia nettamente i contributi di chitarra, basso, melodia e parte vocale. Altri che hanno preso parte alle registrazioni: Greg Phillinganes, fidato collaboratore di Eric Clapton e dei Toto, Adrian Belew di King Crimson e David Bowie, oltre al batterista Steve Gadd e il vocalist Kim Wilson, leader dei Fabulous Thunderbirds. Il disco per la verità richiede numerosi ascolti prima che emerga con forza lo spirito che ha mosso la vena creativa e viscerale di Simon nella sua astratta concezione, arricchita da connotazioni peraltro autobiografiche; ma una volta entrati in possesso della chiave di lettura (e di ascolto, ‘of course!’) più efficace la fruizione del vinile si trasforma in una impareggiabile esperienza sonora.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
(immagini per cortese concessione di Legacy/Sony Music)
The Rhythm of the Saints [44:34]
Tracklist
Side 1
1. The Obvious Child – 4:10
2. Can’t Run But – 3:37
3. The Coast – 5:00
4. Proof – 4:39
5. Further to Fly – 5:33
Side 2
1. She Moves On – 5:02
2. Born at the Right Time – 3:48
3. The Cool, Cool River – 4:33
4. Spirit Voices – 3:54
5. The Rhythm of the Saints – 4:13
Pubblicato 16 ottobre 1990 su etichetta Warner Bros.
Recorded: Rio de Janero, Brazil / New York, Usa, December 1989–June 1990
Discografia solista di Paul Simon:
Album studio
The Paul Simon Songbook, 1965
Paul Simon, 1972
There Goes Rhymin’ Simon, 1973
Still Crazy After All These Years, 1975
One-Trick Pony, 1980
Hearts and Bones, 1983
Graceland, 1986
The Rhythm of the Saints, 1990
Songs from The Capeman, 1997
You’re the One, 2000
Surprise, 2006
So Beautiful or So What, 2011
Stranger to Stranger, 2016
Live
Paul Simon in Concert: Live Rhymin’, 1974
Paul Simon Graceland: The African Concert, 1987
Paul Simon’s Concert in the Park, 1991
Live in New York City, 2012
Raccolte (selezione)
Greatest Hits, Etc., 1977
The best Of Paul Simon 1971-1986, 1986
Negotiations and Love Songs, 1986
The Paul Simon Anthology, 1993
Paul Simon 1964/1993, 1993 [boxset]Greatest Hits: Shining Like a National Guitar, 2000
The Essential Paul Simon, 2007