Musica

THE FAMILIAR STRANGER di Udde

 

 

 

 

ARTISTA: UDDE
TITOLO: The Familiar Stranger
ETICHETTA: PRN
ANNO: 2017

Qualcuno si chiederà se possa avere un senso una via italiana al synth pop di matrice britannico/europea, quel genere che ha imperversato negli anni Ottanta ed oltre (nei Novanta a fomentare la scena underground), ed ha lasciato dietro di sé scie di affezionati seguaci; e la risposta (affermativa, perché ci sono segnali di una ‘rinascita’) viene dalla Sardegna (solo geograficamente perché il movimento ha una sua precisa identità internazionale) per mano ed iniziativa di Udde. Un musicista, polistrumentista, autodidatta di Sassari che ci viene descritto come appassionato di musica elettronica nelle sue svariate declinazioni (dalle sonorità legate alla scena di Canterbury fino al Metal e al Dark Wave passando per il Baroque-Pop) e che ama – almeno per il momento – lavorare in solitudine. Questo probabilmente perché deve essergli pesato (e non poco) il naufragio del progetto a più mani e teste pensanti che lo ha visto, a partire dal 2001, per circa un decennio fondatore e componente (a suonare chitarra e sintetizzatori) della band Psychedelic-Prog Wave Soyland Green, discioltasi alla fine come neve al sole perché non gestita a dovere, con la necessaria intensità, dai componenti tutti; di quell’esperienza ne rimane una sola traccia, un Cdr promo diffuso autonomamente, “Final Superstereo”, nemmeno l’ombra di un album. “The Familiar Stranger” costituisce (finalmente) l’album di debutto per il musicista sardo, dopo che nel 2012 era stato dato alle stampe un EP esemplare, “Fog”, con tre brani (assolutamente) foriero di buone sensazioni. L’artista si rituffa negli anni ottanta con tutta la passione e il coinvolgimento per quei suoni che hanno caratterizzato un’epoca; Depeche Mode, Ultravox, OMD o Human League, e perfino schegge di Cure, sono punti di riferimento ineludibili, così come Gary Numan e la scuola tedesca con i pionieri ‘padri putativi’ Kraftwerk in primis. New Wave e Synth-Pop, elementi electro-dark e contaminazioni sonore a tutto tondo, prendono forma all’orecchio di chi ascolta ed è inequivocabile il rimando alla splendida stagione musicale degli anni Ottanta; si ascolti ad esempio “Facelift”. “Same Old Song” è il pezzo guida, il più significativo, quello che è stato diffuso per primo anticipando l’uscita del disco; perché ha fluidità e ritmo sostenuto che conquistano i sensi nei quasi cinque minuti del suo sviluppo. Ma vanno segnalate anche “Our Boundaries”, dalle melodie dark e sinuose, e “Summertown (And The Living Deseases)”, quest’ultima intinta nel climax danzereccio in stile Depeche Mode in voga negli anni ’80, e un identico appeal accompagna “Gloomy Friday”, “Tough Girls” è così vicina a tante istanze british. Musica pulsante, in qualche frangente, dissonante, ipnotica e tetra, in cui dominano – ‘of course’ – sintetizzatori e drum machine. Udde compone in solitudine (le undici tracce le ha composte e mixate nel suo studio privato, per il mastering poi si è affidato a Carl Saff, del Saffmastering di Chicago), isolato dal mondo e ‘lontano dalla civiltà’, ci tiene a ribadirlo, e le atmosfere nebbiose, il clima gelido, i cieli plumbei e le nubi minacciose che lo circondano molti mesi l’anno non gli sottraggono nulla, anzi, la Sardegna, con i suoi silenzi carichi di rumori evocativi, resta comunque sullo sfondo a suggerire temi e ispirazione. Udde compone liriche in inglese, i testi hanno pieghe intimiste e sono carichi di autoironia, e trattano argomenti variegati sul ‘sociale’ e sul ‘privato’. Si avvale poi di un vocalismo gothic ben efficace, con cui accompagna le evoluzioni sonore e strumentali di suoni che ondeggiano come il fluire dei marosi. Ha numeri buoni dalla sua il musicista turritano, questo disco può servirgli soprattutto per definire le coordinate sulle quali far muovere la sua musica. Una via ‘alt-‘ italiana? Si può fare!

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA