Musica

THE CRY OF LOVE di Jimi Hendrix

 

 
 
 
ARTISTA: JIMI HENDRIX
TITOLO: The Cry Of Love
ETICHETTA: Experience Hendrix /Legacy/Sony Music
ANNO: 1971/2014

Dopo la scomparsa di Jimi Hendrix, avvenuta il 18 settembre del 1970, i primi album postumi dell’artista ad essere pubblicati furono “The Cry Of Love” e “Rainbow Bridge” che diedero la stura ad una lunga serie di pubblicazioni non ‘licenziate’ da Jimi che ancora oggi ne fanno uno degli artisti più sfruttati per numero di dischi inediti messi in commercio dopo la morte. L’uscita di questi due il 16 settembre, in versione rimasterizzata (con artwork e tracklist originali) e quasi in concomitanza con il 44° anniversario della morte di Hendrix, ci offre l’occasione per approfondire la conoscenza di opere che hanno un qual significato nella discografia dell’artista e di rivalutarne il valore artistico. In realtà per lungo tempo si era rimasti folgorati da quei primi tre straordinari album in studio di Hendrix (“Are You Experience?”, “Axis: Bold As Love”, “Electric Ladyland”) al punto che è stato sottovalutata la portata di un disco postumo – mi riferisco principalmente a “The Cry of Love”, etichettato allora irrimediabilmente come una mera operazione commerciale – che però racchiudeva in nuce un’idea di grande cambiamento cui Jimi aspirava da qualche tempo; in una direzione forse non ancora del tutto chiara nemmeno allo stesso artista, figurarsi se poteva esserlo per i suoi fan e per la critica più in generale. E proprio per questo l’album merita di essere amato come i capolavori che l’hanno preceduto, perché il tempo gli ha dato. “The Cry Of Love” era da molto tempo fuori catalogo mentre per “Rainbow Bridge” si tratta della ‘prima volta’ in assoluto su CD; trovano spazio in virtù dell’accordo allacciata tra la Experience Hendrix, la società di famiglia che detiene i diritti di sfruttamento di tutto il materiale musicale & video di Jimi, e Legacy Recordings, divisione della Sony Music Entertainment, che si prende cura del catalogo storico della major. Il lavoro di rimasterizzazione è stato messo a punto da Bernie Grundman, apprezzato tecnico del suono (tra i tanti al suo attivo, ha messo mano a suo tempo a dischi di straordinaria importanza quali “Thriller” di Michael Jackson e “Sign ‘O’ The Times” di Prince e di recente ai “Complete Studio Albums Collection” di Leonard Cohen e Ry Cooder oltre che al “CSNY 1974” di Crosby, Stills, Nash & Young), da lungo tempo sulla breccia avendo lavorato con la crema della scena rock, pop, fusion e soul dell’ultimo trentennio. Grundman ha operato sui nastri analogici originali per ottenere un sound che fosse il più fedele possibile a quello concepito all’epoca. “The Cry of Love” usciva il 5 marzo 1971, a sei mesi di distanza dalla scomparsa di Hendrix, su etichetta Polydor (negli Usa invece venne distribuito dalla Reprise Records), utilizzando quale copertina un magnifico schizzo raffigurante il volto di Hendrix. Curato dall’allora fidatissimo amico e ingegnere del suono Eddie Kramer e dal batterista della Experience, Mitch Mitchell, conteneva principalmente session di registrazioni effettuate tra il dicembre ‘69 e l’estate del ‘70 agli Electric Lady, i leggendari studi newyorchesi di proprietà di Jimi. Abbiamo appreso nel corso del tempo che l’idea primaria del chitarrista era quella di pubblicare un ambizioso album doppio dal titolo “First Rays Of The New Rising Sun” (che poi ha visto la luce ‘discografica’ solo nel 1997). Il titolo dato al disco, “The Cry Of Love”, pare sia derivato da una scelta di Kramer e Mitchell che hanno voluto celebrare il nome della tournée americana che Jimi stava portando avanti all’epoca delle sessioni di registrazioni dei brani. L’album, sulla scia emotiva della morte di Hendrix, ottenne un grande successo commerciale (#3 negli Usa e #2 in Gran Bretagna) ma, agli occhi dei tanti che erano a conoscenza della meticolosa cura con cui il chitarrista selezionava i pezzi da mandare sul mercato, questo sembrò un progetto incompleto, monco, che non avendo avuto l’OK finale di Jimi non poteva considerarsi ‘ufficiale’. La storia emersa negli anni, i retroscena tutti, ci hanno invece rassicurati sulla bontà delle scelte effettuate da Eddie Kramer, antico ingegnere del suono di Jimi, e da Mitch Mitchell a tal punto che il disco può considerarsi a tutti gli effetti parte integrante della discografia ufficiale, perché il risultato finale è assolutamente degno degli altri lavori in studio del chitarrista. C’è da dire che i brani contenuti sia in “The Cry Of Love” che in “Rainbow Bridge”, fin dagli anni ’90 erano entrati a far parte di varie pubblicazioni discografiche compilatorie, quali “First Rays of the New Rising Sun” (che è interessante per le ovvie e comprensibili ragioni filologiche), “South Saturn Delta” e il box “The Jimi Hendrix Experience”. Accanto ai musicisti che all’epoca delle registrazioni ruotavano intorno al chitarrista nato a Seattle (e parlo di Mitch Mitchell, Billy Cox, Buddy Miles e Noel Redding), qui si segnala la presenza come ospiti di Steve Winwood, Chris Wood e Buzzy Linhart. Jimi, per un’abitudine consolidatasi in quei pochi anni di carriera così fervidi di creatività e di esibizioni dal vivo, in sala di registrazione amava realizzare molto cose, soprattutto sperimentando nuove soluzioni sonore per quell’ambizioso progetto di rivoluzionare la musica, di offrirgli nuovi indirizzi, che traspare chiaro dalla lettura del libro/biografia a lui dedicato, Jimi Hendrix: Zero – La mia storia ===Leggi la Recensione=== (Einaudi, 2014, 246 p., € 18,70). Non tutto poi veniva riversato nei dischi da pubblicare sul mercato; per questo motivo gli archivi si sono riempiti di materiale che poi negli anni è stato reso disponibile in maniera più o meno ufficiale per soddisfare la ‘sete’ di conoscenza omnicomprensiva dei fan del chitarrista. I pezzi compresi in “The Cry of Love”, ad eccezione di “My Friend”, sono stati registrati tra il 1969 e il 1970, dopo che Jimi aveva sciolto la sua storica formazione, il Jimi Hendrix Experience, e formato i Band of Gypsys, con Mitch Mitchell e Billy Cox (in un primo momento c’era Buddy Miles alla batteria). La scelta di Cox al basso derivava da incomprensioni sulla via artistica da intraprendere avute negli ultimi tempi da Jimi con Noel Redding e probabilmente fu dovuta anche al fatto che Cox poteva garantire un groove più pulsante e caldo al sound della band. Un altro elemento che andrebbe rivalutato in questo disco soprattutto (rispetto ai principali della discografia) è la magnifica maniera offerta da Jimi di coniugare la musica con testi quanto mai lirici. In apertura, “Freedom”, un brano rock potente e ritmato, indica immediatamente le nuove strade battute da Jimi in forma sperimentale, dal senso innovativo ed abbracciando insieme stili diversi, il secondo in scaletta, “Drifting”, pezzo dall’impianto blues emozionante ed evocativo, è una ballata incompiuta cui ha messo mano Mitch un paio di mesi dopo la morte di Jimi, rispettando i dettami e i desideri del chitarrista (che voleva fosse Buzzy Linhart a suonare la parte al vibrafono); un’identica cura è stata messa in gioco da Mitchell per l’altra ballata dell’album, la splendida “Angel”, un gioiello assoluto che rimanda inequivocabilmente ad un capolavoro qual è “Little Wing”, rimasta anch’essa registrata in forma incompleta e grezza. “Ezy Rider”, pezzo tra rock e funk, invece ha avuto una lunga gestazione: una prima stesura effettuata nei Record Plant Studios con la Band of Gypsys, tra la fine del 1969 e l’inizio del ‘70, la registrazione conclusiva (con la partecipazione di Chris Wood e Steve Winwood alle voce e di Billy Armstrong alle percussioni) negli Electric Lady Studios nel giugno successivo ed il remix finale ad opera di Kramer il 22 agosto. “Night Bird Flying” rispecchia la grande considerazione che Hendrix aveva per Bob Dylan (e che viene descritta nel libro sopra citato; N.d.R.) e mette in evidenza la notevole e complessa architettura di sovraincisioni in studio elaborate dal chitarrista; il brano venne registrato tra il 16 e il 19 giugno 1970. La pacata e introspettiva “My Friend” risale addirittura alle session di registrazione per “Electric Ladyland”, terzo e ultimo album in studio della Jimi Hendrix Experience, effettuate nei primi mesi del ’68 e vedono, tra i session-men, addirittura Stephen Stills al pianoforte. “Straight Ahead” è leggermente inferiore alla bontà degli altri pezzi mentre quello che segue in scaletta, “Astro Man”, è piuttosto convenzionale e privo di una reale spinta innovativa, ma munito di un riff chitarristico eccellente. “In From the Storm” invece è un rock dal riff strepitoso che ha una struttura assai elaborata e sofisticata, esaltata dal lavoro di missaggio operato da Kramer nel novembre di quel 1970. In chiusura troviamo il blues di “Belly Button Window”; storicamente è l’ultima registrazione completa (anche nella parte vocale) realizzata in studio dal musicista datata 22 agosto 1970. Dall’album venne anche estratto un singolo: pubblicato negli Stati Uniti con “Freedom” e “Angel” mentre in Gran Bretagna “Angel” era la facciata A abbinata a “Night Bird Flying”.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

The Cry Of Love” – tracklist:
1) Freedom – 3:24
2) Drifting – 3:46
3) Ezy Ryder – 4:09
4) Night Bird Flying – 3:50
5) My Friend- 4:40
6) Straight Ahead – 4:42
7) Astro Man – 3:37
8) Angel – 4:25
9) In From the Storm – 3:42
10) Belly Button Window – 3:34