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STORIA DELLE SALE CINEMATOGRAFICHE IN ITALIA di Loretta Eller

 
 
 
 
 
Pratica ‘antica’ e fors’anche (oggi) desueta quella di assistere alla proiezione di un film nella ‘sacralità’ di una sala cinematografica. Lo sanno bene quelli che nei ’50, ’60 e prima metà dei ’70, erano adolescenti o frequentatori del cinema, la forma di intrattenimento più in voga in quegli anni. Ce lo ricordano due libri ad ‘hoc’; uno scritto da Loretta Eller e dedicato alla storia delle sale cinematografiche nel nostro paese, ed un altro, opera del sottoscritto, “Buio in Sala: Si illuminano Cuore e Memoria” in cui sono stati raccolti i ricordi di chi andava a vedere film nelle sale a quel tempo.
 

Non è peregrino affermare che nel Novecento la sala cinematografica ha rappresentato il luogo per eccellenza per dare corpo immaginifico a miliardi di persone, il posto dove celebrare un rito di identificazione con i personaggi e le storie che ‘attraversavano’ lo schermo, sia emotivamente che ideologicamente che eroticamente. Facciamo qualche passo indietro e diamo qualche coordinata degli inizi delle proiezioni cinematografiche. Il 28 dicembre 1895, al Gran Cafè del Boulevard des Capucines a Parigi, Auguste e Louis Lumière invitarono la gente ad assistere a uno spettacolo dal titolo Le cinématographe Lumière. Il pubblico della prima proiezione (trentatré spettatori paganti) furono testimoni di una ‘meraviglia’ inaudita: la sala piombò nel buio, per qualche frazione di secondo, mentre il raggio di luce che usciva da una postazione a baldacchino andava a colpire lo schermo. A questo punto le immagini cominciarono a prendere forma; erano gli operai della fabbrica Lumière di Lione che uscivano alla fine di una giornata di lavoro. Immagini che oggi apparirebbero di una semplicità assoluta ma che all’epoca destarono lo stupore di che era lì ad assistere alla ‘Magia del Cinematografo’, e suscitando in costoro una sensazione di perdita della nozione dello spazio e del tempo. Nel corso di quel 1896 il Cinématographe conquistò rapidamente la Francia e l’Europa e il 7 novembre di quell’anno, a meno di un anno dalla prima proiezione parigina, venne proiettato anche in Italia il primo film a pagamento a Torino, in una sala passata alla storia: la chiesa dell’ex Ospizio di Carità nella centralissima via Po, più tardi, nel 1907, trasformata in ‘Cinema per le famiglie’ e successivamente ‘Cinema Po’ e poi, oltre, ‘King Kong’ nell’85. Il libro di Loretta Eller, “Storia delle Sale Cinematografiche in Italia”, servendosi pure di un ricco comparto bibliografico e di immagini, ci racconta l’evoluzione dei luoghi di fruizione del Cinema nei 125 anni della sua storia, poiché, questo va detto, la memoria della sala si trasmetta con una forza non inferiore a quella dei film; le emozioni e le tensioni pulsanti (all’interno di una sala), e che coinvolgevano emotivamente gli spettatori di ogni età, sesso e classe sociale, sono sempre state più ‘vive’ delle immagini che si animavano sullo schermo, a rappresentare il senso di perdita dei confini dell’Io Individuale in favore di un Io Collettivo. Quel fascio di luce che tagliava il buio della sala trasmetteva il senso di conquista di un mondo nuovo, e accesso sublimato verso il futuro e la modernità. Nel giro di poco tempo sorsero i primi problemi logistici; la rete di luoghi che potevano ospitare il nuovo tipo di spettacolo era troppo limitata per offrire vere prospettive di crescita e fu così che si diede vita a (o meglio si continuò ad alimentare) una serie di spettacoli ambulanti che già da tempo si muovevano per l’Europa per conquistare con le loro meraviglie i pubblici popolari in occasione di feste e fiere. In seguito, negli Stati Uniti si diffuse il fenomeno dei nickelodeon, le piccole sale urbane per pubblici popolari che presero il nome dal costo unitario del biglietto. In queste sale il cinema compì la definitiva metamorfosi da strumento di curiosità a mezzo di comunicazione di massa capace di far nascere una vera e propria industria dello spettacolo del tutto nuova. La sala divenne presto un luogo di socializzazione e di incontro, accrescendo a dismisura quella componente emotiva e il senso di legame magico prodotto dal buio che hanno determinato la fortuna del Cinema nei decenni successivi. Il cinema offriva il ‘biglietto di viaggio’ più economico per conoscere il mondo e per esplorare senza mediazione alcuna le profondità del proprio mondo affettivo. La sala buia ha esercitato un’enorme influenza emotiva e conoscitiva sulle fantasie collettive, sull’immaginario maschile e femminile. Nel 1913 negli Stati Uniti si potevano contare più di 13.000 sale, mentre una media di cinque miliardi di biglietti venduti ogni anno portava un enorme afflusso di capitali all’industria del cinema conferendole già un ruolo di primo piano nell’economia nazionale. “Ci sono stati anni in cui il cinema è stato per me il mondo”, scriveva Italo Calvino, e di rimando Leonardo Sciascia affermava “studiando a Caltanissetta avevo modo di vedere più film: uno al giorno. A volte anche due. Per me e per molti altri della mia generazione il cinema era allora tutto. Tutto”, e per milioni di giovani, soprattutto negli anni tra le due guerre, nella memoria il cinema si identifica con la vita, un’esperienza totalizzante, una vita parallela e per molti anni, l’unica vera vita. Dopo l’iniziazione vi è poi una sorta di maturità in cui il cinema può surrogare molte passioni e sostituirle con altre: è la fase della cinefilia. Georges Perec, nel suo romanzo “Les choses”, così ha ricordato la febbre della cinefilia parigina del dopoguerra: “Erano cinéphiles. Si incontravano senza essersi dati appuntamento alla Cinémathèque, al Passy, al Napoléon, o in quei piccoli cinema di quartiere, quelle sale senza grazia, mal attrezzate, che sembravano essere frequentate solo da una clientela di disoccupati, di algerini, di vecchi non cresciuti, e di cinéphiles, sale che programmavano in infami versioni doppiate i capolavori sconosciuti di cui si ricordavano dall’età di quindici anni, o quei film ritenuti geniali di cui avevano la lista in testa, e che da anni tentavano disperatamente di vedere”. Il libro della Eller ci racconta delle grandi sale americane, europee e italiane. Prendiamo una nel nostro paese, il Cinema Adriano, nato come teatro nel 1898 a Piazza Cavour, è una delle sale più antiche di Roma; ha accolto le più importanti rappresentazioni teatrali, liriche e di ballo del mondo fino a che, nel 1950, divenne anche cinema. Nel 1965 ospitò lo storico concerto italiano dei Beatles. Oggi è una multisala, punto di riferimento per la proiezione di anteprime nazionali e internazionali e sede di grandi festival e rassegne. Il secondo libro, “Buio in Sala: si accendono Cuore e Memoria”, è stato composto e assemblato sui racconti di quanti hanno del Cinema (con la lettera maiuscola) e delle sale cinematografiche di una volta, un ricordo romantico, affettuoso, legato agli anni dell’infanzia o della giovinezza e che hanno voluto assecondare il progetto con un loro scritto. Un ricordo indelebile, colorato di meraviglia e profumato di odori antichi ed irripetibili. Perché negli anni Cinquanta e Sessanta (e poco oltre) lo spettacolo del cinematografo era l’unica forma d’intrattenimento concessa ad una generazione uscita dalla Guerra o figlia di quella; non c’erano videogame né smartphone, non lo sport di massa né tantomeno il turismo ‘all inclusive’, il calcio, già allora, era lo sport nazionale per eccellenza ma non così (patologicamente) invasivo come lo è oggi, i televisori erano arrivati nelle case degli italiani ma con limitato raggio d’azione e ancora scarsa ‘penetrazione’ da palinsesto. Niente a che vedere con il modo di fruizione del cinema che ne fanno oggi le ultime generazioni di frequentatori delle sale. Che – probabilmente perché bombardati da tanti stimoli diversificati – ‘vivono’ la visione di un film (indubbiamente) con partecipazione ma con quel distacco ‘emotivo’ che deriva dall’obbligo di ‘consumare’ tutto presto e in fretta, come si trattasse di uno dei tanti momenti di affannosa quotidianità da mettere in carniere. Mi è capitato sovente di organizzare incontri nelle scuole con gli studenti e di cogliere il ‘distacco’, la ‘freddezza’, l’ipertrofia con cui i giovani si ‘misurano’ con la narrazione filmica per immagini. Ma non c’è solo questo, credo; più in generale oggi è in crisi la ‘società del ricordo’. La memoria, quella meravigliosa capacità dell’animo di conservare e rievocare esperienze vissute e conoscenze di un passato che ci permette di vivere e interpretare il nostro presente con maggiore consapevolezza, sembra essere caduta in disgrazia. «La memoria è tesoro e custode di tutte le cose» scriveva Cicerone nel De Oratore, aggiungendo poi che la Storia è «testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita». La memoria è sempre coinvolta nel nostro vivere quotidiano, a volte in modo inconscio, a volte in modo più consapevole, ha una sua mistica ineludibile. Tenerla in vita è fondamentale: si pensi, più in generale, all’importanza che la trasmissione orale aveva nel passato per preservare un patrimonio culturale che altrimenti sarebbe andato inesorabilmente perduto. La memoria, tuttavia, non muore finché ci è concesso conservare i nostri ricordi, fino a quando cioè tutti noi siamo in grado di far rivivere nel nostro presente ciò che è stato del nostro passato, quale elemento rassicurante della nostra incerta, ma personale e intima, esistenza. Non ‘sprecare’ il ricordo significa non sprecare la vita, perché cancellare i ricordi dal nostro orizzonte percettivo, sarebbe come ‘disperdere’ un pezzo della nostra vita. Scriveva Gabriel García Márquez: «La vita non è quella vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla», mentre Giacomo Leopardi nello Zibaldone affermava: «Quasi tutti i piaceri dell’immaginazione e del sentimento consistono in rimembranza. Che è come dire che stanno nel passato anziché nel presente». Eppure non tutti sembrano convinti da queste verità, poiché in molti ritengono che la ‘ritualizzazione’ del passato sia un perseverare inutile e quasi ossessivo, meritevole dell’oblio. Per tornare al libro, è proprio quella differenza di percezione ‘vissuta’ ed ‘intrecciata’ con il Cinema, tra gli spettatori di un tempo e quelli odierni, che ha stimolato alcune riflessioni, e spinto (con disincanto) l’autore a dare ‘voce’ ad una pratica ‘lontana’ di frequentazione di una sala cinematografica che oggi non esiste più. Quindi si è voluto dare spazio a tutti coloro che hanno scavato nella propria memoria e hanno ‘donato’ i loro ricordi genuini prima che appassionati ed in varia forma il loro approccio con la materia Cinema; contributi che conferiscono a questo testo il suo significato più pregnante, recondito e prezioso: il ricordo è narrazione, racconto da condividere con gli altri. Ricordi che raccontano lo spaccato di un’Italia che non c’è più. In molti dei contributi affiora pure la constatazione che non sempre il Cinema, a livello di costo del biglietto, era uno spettacolo poi così popolare, non tutti potevano permetterselo, in città come nelle piccole realtà della provincia. E inoltre la lettura mi ha rinsaldato nella convinzione di come il Cinema vada assolutamente ‘vissuto’ in una sala buia (proprio come suggerisce il titolo scelto per il libro), accanto ad altri spettatori con i quali condividere emozioni, sospiri, lacrime, silenzi e sussulti, meraviglie e spaventi: un indiscutibile antidoto alla solitudine. Ci sarà spazio, nel futuro che ci è prossimo, per questa ‘antica’ fruizione!? Non saprei, anzi i segnali sembrano portarci in tutt’altra direzione, visto che sono in tanti quelli pronti a liquidare questo pregnante ‘amarcord’ come semplice e poco significativa rievocazione nostalgica del passato. E in più – voglio aggiungere ad ampliare gli orizzonti della ‘lettura’ – ritengo che la memoria renda eterna la nostra esistenza e il Cinema possa essere visto come parte ineludibile del nostro vissuto e ancor meglio il ‘Cuore di tenebra’ della memoria del ‘900. Poiché nella gran parte dei casi il punto di vista è quello dello spettatore deve essere sottolineato lo spazio importante dedicato ai contributi di chi il cinema lo ha ‘fatto’, a chi ha gestito le sale a costo di grandi sacrifici e di rinunce ed ha guardato al cinematografo come ad una creatura da aiutare a crescere e fecondarsi dei mille sguardi e delle mille emozioni che è stato in grado di suscitare. Tassello importantissimo della filiera e anello di congiunzione tra l’industria del Cinema e i sogni di chi sedeva in platea. Dacia Maraini, nel romanzo autobiografico “Bagheria”, del 1993, ha ricordato il ritorno del cinema dopo la guerra in Sicilia come un vero e proprio significativo simbolo della ricostruzione: “In quanto al cinema ricordo ancora la prima volta che a Bagheria riapparve il proiettore dopo l’incendio al cinema Moderno. La macchina fu piazzata davanti alla chiesa. E centinaia di persone assistettero al grande prodigio di una serie di ectoplasmi bianchicci che si muovevano sulla parete della chiesa tra un vociferare di sorpresa. Poi le cose presero una forma più precisa; al posto della chiesa fu costruita un’arena, furono sparpagliate delle seggiole dal fondo di agave intrecciata, fu sollevato un lenzuolo a mo’ di schermo e su quello schermo cominciarono a correre, ben riconoscibili, i cavalli dei cow-boy americani che inseguivano gli indiani con le piume in testa…”. «Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene – a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove». [Umberto Eco]. Tre grandi registi di diverse generazioni e di Paesi diversi hanno raccontato il loro rapporto con il cinema e con la sala individuando con esattezza il luogo in cui si sarebbe deciso il loro destino. Così ricordava la sua prima volta Ingmar Bergman: “Stavamo seduti nella prima fila della galleria. Per me fu l’inizio. Fui assalito da una febbre da cui non guarii mai più. Le ombre silenziose volgono verso di me i loro volti pallidi e parlano con voci inaudibili ai miei più segreti sentimenti. Sono passati sessant’anni, non è cambiato nulla, è la stessa febbre”. Martin Scorsese, ricordando il film “Duello al sole”, diretto da King Vidor nel 1946, visto all’età di quattro anni, ne risentiva a tanti anni di distanza (in un’intervista rilasciata nel 1995) tutta la potenza emotiva e l’influenza decisiva avuta su di lui, sulla sua vita: “La musica violenta e selvaggia di Dimitri Tiomkin, la ricchezza del colore, il senso dello spazio: tutto questo mi sconvolse. Ero terrorizzato e mi ricordo di essermi coperto gli occhi… Quella fu per me un’immensa esperienza sensuale. Questo accadeva quasi cinquant’anni fa, eppure il potere allucinatorio di quelle immagini è rimasto intatto per me in tutto questo tempo. Insomma quelle poche ore di una sala di cinema mi hanno segnato per sempre”. Il regista Roman Polanski usa una frase scritta sui muri della sua città in lingua polacca negli anni di guerra come una ‘Madeleine proustiana’ e in tal modo rende omaggio alla sala vista come oasi di salvezza e farmaco: “Tylko swinie siedza w kinie! Solo i porci vanno al cinema!”. Se bisognava credere a questo slogan della resistenza dipinto sui muri dei cinema di Cracovia, io dovevo essere un maledetto porco. Perché conobbi molto presto ciascuna delle sedie in legno luccicante di tutte le sale della città. Il cinema divenne la mia passione dominante, la mia sola evasione al di là della disperazione e dell’angoscia che s’impadronivano spesso di me”.

Luigi Lozzi)                          © RIPRODUZIONE RISERVATA

Titolo: Storia delle Sale Cinematografiche in Italia
Autore: Loretta Eller
Editore: LuoghInteriori
Dimensioni: 16 x 1 x 23 cm
ISBN-10: 8868643081
ISBN-13: 978-8868643089
Pagine: 128
Anno di pubblicazione: 2021
Prezzo copertina: 16,00 €

 

Titolo: Buio in Sala: si illuminano Cuore e Memoria
Autore: Luigi Lozzi
Editore: Independently published (14 maggio 2020)
ISBN-13: 979-8644331970
Peso articolo ‏ : ‎ 363 g
Pagine: 232
Anno di pubblicazione: 2020
Prezzo copertina: 14,00 €