Musica

SONIC SOUL SURFER di Seasick Steve

 

 

 

ARTISTA: SEASICK STEVE
TITOLO: Sonic Soul Surfer
ETICHETTA: Caroline/Universal
ANNO: 2015

Da qualche tempo, in taluni ambienti, il bluesman californiano Seasick Steve è sulla bocca di tutti – vero nome Steven Gene Wold, deve lo pseudonimo al mal di mare che lo coglie ogni qualvolta salga su un’imbarcazione -, soprattutto per la tecnica singolarissima di suonare le sue chitarre, originali già di loro, che il nostro costruisce personalmente recuperandone vecchie carcasse o adattando alla bisogna i pochi mezzi a sua disposizione. È solito accompagnarsi con una chitarra rosso vermiglio con sole tre corde. Un personaggio eccentrico, un outsider, la cui vita – ‘on the road‘ attraverso la grande provincia americana, dal centro al sud, sostenendosi con mille piccoli lavori e irrimediabilmente rimanendo sempre senza il becco di un quattrino – sembra uscita da un romanzo della ‘Beat Generation’; se di hobo oggi è lecito parlare nessuno ne incarna la figura meglio di lui. Classe 1941 (originario di Oakland, California) eppure il suo album d’esordio, “Cheap” (peraltro inciso in Norvegia con la band nordica dei Level Devils), è solo del 2004, nonostante egli sia attivo fin dagli anni sessanta (collaborazioni usa e getta con Janis Joplin e Joni Mitchell), come session man e nei successivi decenni quale tecnico di studio e produttore discografico. È stata l’Inghilterra a scoprilo; le cose sono cambiate quando nel 2006 si mise in evidenza con un’esibizione tra boogie, country-blues elettrico e influenze d’Americana, tenuta al Jools Holland’s Hootenanny Show, in onda sull’inglese BBC a capodanno, e la gente si accorse di lui adottandolo come proprio beniamino: subito una notevole popolarità, quasi fosse una bella favola a lieto fine, ed una serie di riconoscimenti conquistati. Il nuovo album non introduce nulla di particolarmente eccitante, non apporta alcuna rivoluzione, e nessuna sorpresa, rispetto a quanto già si sa; conferma in toto quanto di buono da qualche anno si va dicendo di lui – sentirlo suonare fuori dagli schemi consolidati è un piacere autentico per chiunque sia appassionato di blues e voglia ripercorrere le radici della musica americana – ma è artista cui è piombata addosso un’enorme popolarità e che adesso è chiamato a dare continuità al proprio impegno artistico. Ovviamente quando il gioco comincia a farsi serio e ‘duro’, e la platea cui ci si propone più ampia, ecco emergere quelle perplessità che fanno smarrire la genuinità d’origine, perché sono troppi i fattori da tenere sotto controllo nell’industria della musica; si smarrisce così l’incanto perché subentra una certa severità di giudizio del critico di turno che è autorizzato ad attendersi di più e non può sempre gridare al miracolo. Qui ci sono piaciute la lenta ed ipnotica “Your Name”, per la semplicità (eppur efficace) del suo giro armonico, lo swamp di “Roy’s Gang” in apertura e la frizzante “Sonic Soul Boogie”; ma fanno la loro ‘sporca’ figura anche “Summertime Boy” e “Dog Gonna Play”.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA