REVENANT – REDIVIVO di Alejandro González Inárritu in Blu-Ray
Hallelujah! Alla fine Leonardo DiCaprio, di sicuro il maggiore attore americano contemporaneo, alla quinta ‘Nomination’ è riuscito ad aggiudicarsi l’Oscar – era praticamente annunciato – come Miglior Attore Protagonista, il primo della sua magnifica e ancor giovane carriera; ambitissimo e meritatissimo, o forse no: c’era qualche sua interpretazione migliore di questa che avrebbe meritato già in precedenza il massimo premio? Magari, ad esempio, “The Aviator”, “Gangs Of New York”, “The Wolf of Wall Street”, “Nessuna verità”, “Blood Diamond” o “J. Edgar”?
Succede che, nella ‘Mecca del Cinema’, Hollywood, esistano forme di congiunture incontrollabili (o forse sono solo dinamiche di potere) che possono portare un premio quando non lo si merita davvero e viceversa negarne l’assegnazione quando la qualità di certe performance è innegabile. Succede pure – e non suoni consolatorio – che molti grandi del Cinema non abbiano mai ricevuto un Oscar. Cito per tutti gli esempi clamorosi di Charles Chaplin, Orson Welles (questi due premiati tardivamente con l’Oscar alla carriera), Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick (che ha vinto solo un Oscar tecnico per “2001 Odissea nello Spazio”), Tim Burton, Ridley Scott, James Dean, Robert Redford, Harrison Ford e Marilyn Monroe, e l’elenco potrebbe andare avanti a lungo. Diventano queste, però, questioni sterili dinanzi al dato di fatto che “Revenant – Redivivo” è non solo un film importante (seppure non ‘grande’), perché ha fatto sue pure le statuette per la Miglior Regia (andata a Alejandro González Iñárritu che l’anno scorso aveva già ottenuto il massimo riconoscimento per Film e Regia con “Birdman”) e Miglior Fotografia (a Emmanuel Lubezki), ed ha avuto altre nove candidature, ma è anche un film avvincente intorno alla strenua capacità dell’uomo di sopravvivenza. ‘Survival Movie’, ovvero come affrontare qualsiasi ostacolo per tornare a casa armato della propria rabbia e della propria determinazione. Un tema – se non si vuol scomodare l’Ulisse dell’”Odissea” – caro a tanto Cinema del passato e più recente, e laddove le storie narrate vedono l’ambientazione nella natura incontaminata del Grande Nord ci potrebbero venire in soccorso film come “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo” (1972) di Sydney Pollack, “Un tranquillo week-end di paura” (2013) di John Boorman, “L’urlo dell’odio” (1997) di Lee Tamahori, “Grizzly Man” (2005) di Werner Herzog, “Into the Wild – Nelle terre selvagge” (2007) di Sean Penn, “Caccia spietata” (2007) di David Von Ancken, “The Grey” (2012) di Joe Carnahan, “Wild” (2014), di Jean-Marc Vallée, ma anche, il altri contesti, “Alive – Sopravvissuti” (1993) di Frank Marshall, “Sopravvivere coi lupi” (1997) di Misha Defonseca, “Vertical Limit” (2000) di Martin Campbell, “Castaway” (2000) di Robert Zemeckis, “Open Water” (2003) di Chris Kentis, “The Road – La Strada” (2009) di John Hillcoat, “Buried – Sepolto” (2010) di Rodrigo Cortes, “127 ore” (2011) di Danny Boyle, “All Is Lost – Tutto è perduto” (2013) di J.C. Chandor, così come “Gravity” (2013) di Alfonso Cuaron e “The Martian – Sopravvissuto” (2015) di Ridley Scott; e tanti altri potrebbero essere ricordati.
Segno che la lotta dell’uomo contro la natura, spesso in condizioni climatiche estreme, è parte integrante del grande cinema d’avventura. La vicenda raccontata in “Revenant” ci conduce dalle parti della prima pionieristica colonizzazione delle zone più selvagge e inaccessibili del territorio di frontiera americano ad Ovest, non è ancora l’epopea del West ma un po’ di tempo prima, tra esploratori, trapper a caccia di animali per il fabbisogno di pellicce, mercenari d’ogni risma e nativi americani che difendono il proprio territorio prima che mostrarsi ostili ai bianchi ‘invasori’ e prevaricatori, lungo il Missouri, ai confini tra il Dakota e il Montana. Il film si ispira al romanzo “The Revenant: A Novel of Revenge” scritto da Michel Punke (aveva avuto già una trasposizione sul grande schermo nel 1971 con “Uomo bianco, va col tuo Dio!” di Richard C. Sarafian, interpretato da Richard Harris) che è incentrato sulla figura di Jim Bridger che nel 1823, a soli 17 anni, prese parte ad una spedizione nella ex-Louisiana francese (era un
territorio enorme, perché andava dai Grandi Laghi del Nord al Golfo del Messico; N.d.R.). Il protagonista di “Revenant – Redivivo” invece si chiama Hugh Glass e viene ridotto in fin di vita dall’attacco di un grizzly in una delle scene clou che hanno fatto da richiamo primario per gli spettatori. Viene lasciato indietro – praticamente abbandonato – dal gruppo di cui è guida, solo con due compagni che accettato di restargli accanto per assisterlo fino al momento della morte per seppellirlo; il giovane Bridger, appunto, e Fitzgerald lo Scotennato (interpretato da Tom Hardy), il quale ben presto svela la sua natura di traditore: uccide il figlio dell’impotente Hugh sotto i suoi occhi e scarica il ferito in una fossa, abbandonandolo al suo destino di morte più che probabile. Glass, costretto a trascinarsi tra le nevi con le sue terribili ferite, vive un’esperienza di sopravvivenza così estrema e primitiva tra i ghiacci del Nord, tale da suscitare nello spettatore l’interrogativo se sia mai possibile che un uomo, ridotto nelle sue condizioni, possa essere davvero sopravvissuto ad una natura tanto ostile. La storia, e il personaggio cui si ispira il romanzo da cui è stato tratto il film, realmente esistito, ci dicono di si. La lunga marcia verso la sopravvivenza si trasforma sostanzialmente, strada facendo, in un western sulla vendetta nei confronti dell’uomo che l’ha tradito e che ha ucciso suo figlio, ben più convenzionale delle premesse dell’inizio e di gran parte del film. Il film diretto dal talentuoso regista messicano Alejandro Gonzalez Inarritu trasuda epicità da ogni suo fotogramma, grazie all’adozione di scenari d’incomparabile bellezza naturista, all’utilizzo d’una steadycam che conduce per mano lo
spettatore al centro degli accadimenti e dell’azione, a virtuosismi tecnici d’ogni sorta (dai piani sequenza ai primi piani, dalle straordinarie inquadrature ai movimenti della cinepresa a 360 gradi). In alcuni frangenti poi la regia enfatizzata di Inarritu, compiacendosi nella contemplazione della Natura esasperata tutt’intorno (e in alcuni momenti ‘onirici’), ci ha riportato alla memoria il respiro e le ‘riflessioni’ spirituali (‘sospese’ tra le immagini alla ricerca del bello) dei lavori di Terrence Malick, e beneficia della straordinaria fotografia curata da Emmanuel Lubetzki, non per caso premiato con l’Oscar (e non per caso già collaboratore del prima citato Malick). Per le scelte operate Iñárritu ha dichiarato di aver trovato conforto ed inspirazione in film dalla dimensione spirituale quali “Andrej Rublëv”, “Dersu Uzala”, “Fitzcarraldo”, “Aguirre, furore di Dio” e “Apocalypse Now”. Resta notevole il grande senso del cinema e dello spettacolo offerto. La scena dell’attacco dell’orso, con il supporto degli effetti digitali, è scena di incredibile, brutale e realistica, efficacia. Leonardo DiCaprio ha ottenuto un riconoscimento che premia, oltre lo spessore artistico indiscusso, a più ampio raggio il suo impegno fattivo per il sociale e per la salvaguardia ambientale di cui è da tempo consapevole paladino. La sua prova è caratterizzata da urla, mugugni di dolore e fisicità per simulare le difficoltà motorie e la sofferenza fisica – in realtà parla pochissimo – ma ha grande presenza scenica così com’è calato nel suo personaggio. Il villain di turno è interpretato da Tom Hardy, che ci regala l’ennesima magnifica performance, tra crudeltà ed egoismo, oramai è un attore di sicuro affidamento e pronto a rivestire ruoli sempre più importanti. Le altre 9 candidature all’Oscar hanno riguardato il Film, l’Attore Non Protagonista (Tom Hardy), il Montaggio (Stephen Mirrione), la Scenografia
(Jack Fisk), i Costumi (Jacqueline West), il Trucco (Sian Grigg, Duncan Jarman e Robert Pandini), gli Effetti Speciali (Richard McBride, Matt Shumway, Jason Smith e Cameron Waldbauer), il Sonoro (Jon Taylor, Frank A. Montaño, Randy Thom e Chris Duesterdiek), il Montaggio Sonoro (Martin Hernandez e Lon Bender).
Il trasferimento in Alta Definizione del film di Iñárritu gode delle migliori componenti Audio e Video possibili, al top delle performance programmate. Il che, per un film che propone dialoghi ridotti all’essenziale, significa esaltare al meglio – in quanto a sonoro – le prerogative d’ambience con tutte le sfumature concepite dalla regia in fase di realizzazione del film. Le immagini d’altro canto sono naturali ma di assoluto impatto (e con un altissimo livello di dettaglio) virtuosistico per lo spettatore che può così godere di una ‘experience’ davvero unica e gratificante. Per coloro che sono più evoluti in fatto di tecnologia ricordiamo che è disponibile in commercio pure una versione in 4K del film, che ha la stessa risoluzione del master: in assoluto la più fedele alla versione cinematografica. Il comparto degli Extra prevede unicamente la featurette “Un mondo mai visto” ed una Galleria di immagini. Un po’ pochino per un film così importante e riuscito.
(immagini per cortese concessione della 20th Century Fox Home Entertainment)
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA