PROPHECY dei Solstice
ARTISTA: SOLSTICE
TITOLO: Prophecy
ETICHETTA: Esoteric Antenna/Audioglobe
ANNO: 2013
“Prove Generali di Rientro dalla Periferia dell’Impero”, potrebbe sembrare uno slogan di lancio della nuova (annunciata ed attesissima) trilogia di “Star Wars” mentre invece in un altro ambito può suonare come perifrasi di un effettivo (ed auspicato) ritorno in auge del Progressive Rock, genere musicale mai morto sebbene costretto alla clandestinità dai “venti che cambiavano” (non quelli dylaniani) alla fine degli anni settanta all’esplodere della rivoluzione punk. Ecco allora (ri)farsi sotto i Solstice, in realtà mai domi ma pure mai realmente sugli scudi, onesti musicanti artefici di un sound che, così come ci arriva dai solchi di questo loro quinto (e finora ultimo) album, avrebbero fatto sfaceli nella prima metà dei ’70, a quel tempo sarebbe sembrata musica pregna di suggestioni e vibrazioni positive; oggi – sinceramente – no, al massimo riesce a solleticare il piacere nostalgico di uno zoccolo duro di appassionati (comunque cospicuo): i tempi sono davvero cambiati e diventa difficile ricreare la magia di un tempo. Questo è il mio pensiero in proposito: sono stato un grande appassionato di Progressive ma non ne sono stato ossessionato oltremisura, trovo che questa musica abbia diritto di cittadinanza (peraltro giusto) così come l’hanno tanti altri generi (spesso vituperati o pompati oltre i loro meriti) ma non posso non accorgermi che esso suona oggi un po’ demodé. Il fatto è che i dischi migliori del Progressive nel nostro paese sono arrivate tutti, a suo tempo, inutile forse lambiccarsi il cervello nel tentativo di scovarne altri da riscoprire; sarebbe come se un cinefilo si mettesse alla ricerca di un inedito di Alvaro Vitale. Però se è vero che gli estimatori dei b-movie sporcaccioni degli anni Settanta e Ottanta invocano ad alta voce la legittimità delle loro scelte, non da meno possono essere i fan del Prog di questi tempi. Capita l’antifona!? Ci sono momenti in cui certe magie si dissolvono e qualsiasi tentativo di ‘reiventarle’ risulta inesorabilmente vano. Chiusa la parentesi di ordine generale torniamo ai Solstice. Il gruppo inglese, (nonostante i numerosi rimpasti di formazione) tuttora guidato dal chitarrista Andy Glass, si è costituito solo negli anni Ottanta, in tempi grami, sulla scia di una pallida rinascita (revanscista) neo-prog ed è artefice di un (non posso dire altro) “onesto” progressive folk rock; i riferimenti principali sono Camel, Yes, Renaissance. Il nuovo album, a distanza di tre anni dal precedente “Spirit”, propone cinque lunghi brani dall’architettura articolata e sofisticata (si distingue la vocalità eterea della cantante Emma Brown), in cui i brani seguono una logica evolutiva accattivante ma perfettamente riconoscibile, dove l’uso insistito del violino e di alcuni crescendo armonici, in alcuni frangenti, ci conducono immediatamente dalle parti (a noi familiari) della PFM. È musica la loro che probabilmente potrebbe avere una sua qualche ragione d’esistere dal vivo, e infatti la vicenda professionale dei Solstice è caratterizzata principalmente dall’intensa attività live. Il CD è in ‘Special Edition’ per la presenza ulteriore di tre bonus-track (opportunamente remixati) recuperati dal primo album della band, “Silent Dance”.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA