Cinema

PROMETHEUS di Ridley Scott

RITORNO ALIEN(O)

 
Era molto atteso il film di Ridley Scott e, proprio perché tale, dividerà come sempre su due fronti contrapposti i giudizi degli appassionati, dei critici e/o dei semplici spettatori. 

Non è certo un capolavoro ma su questo più che i giudizi della prim’ora sarà il tempo ad essere giudice più obbiettivo; ma è indubbio che non può trascurare un film del genere chi ama il Cinema e guarda pellicole ad un ritmo costante. Da una parte pesa (e non poco) il referente rappresentato da “Alien”, un paletto ineludibile della fantascienza horror contemporanea che si è saldamente ancorato nell’immaginario collettivo, che può trasformarsi in spada di Damocle per qualsiasi nuovo approccio alla materia; dall’altra come non dare credito al desiderio del regista di ampliare gli orizzonti narrativi della sua creatura dall’alto della sua esperienza comprovata e dell’abilità registica riconosciutagli? Molti sono al corrente che “Prometheus” vuole essere un prequel (concepito nel 2009 assieme al compianto fratello Tony) della saga di “Alien” che il regista inglese aveva avviato nel 1979. In un primo momento doveva essere Carl Rinsch a dirigere il film, con i fratelli Scott in cabina produttiva, poi la 20th Century Fox ha insistito che fosse proprio Ridley a prenderne in prima persona le redini per fare in modo che l’attenzione dei fan fosse più ‘viva’ intorno al celebrato franchise popolato dalle creature ideate da H.R. Giger. Per Ridley si tratta di un ritorno al genere di fantascienza dopo che l’ultimo approccio era stato “Blade Runner” trenta anni fa, egli prova a costruire un nuovo immaginario intorno alla sua prima creatura fantascientifica, “Alien”.

 

Siamo nel 2079 quando viene approntata una missione astrale alla ricerca di primordiali tracce della creazione dell’umanità dopo alcuni archeologi rinvengono in una grotta dell’isola di Skye, in Scozia, antichissimi disegni sulla roccia che indicano (al pari di altri rinvenimenti similari) una via celeste verso una costellazione lontana nella quale appunto dovrebbe essere stata creata la razza umana. Dopo qualche anno (nel 2085, 30 anni prima degli eventi di “Alien”) la nave stellare ‘Prometheus’ approda su un pianeta, dall’aspetto misterioso, cupo e ostile, dove trova tracce di quello che cercava ma intercetta pure una micidiale razza aliena pronta a colpire senza concedere alcuna chance al dialogo… A bordo, oltre ai due archeologi che hanno fatto la straordinaria scoperta, troviamo un mecenate ricco e malato, che ha finanziato la spedizione, il suo entourage e una nutrita formazione di scienziati.

È film dall’estetica (e dall’impronta autorale) affascinante al di là dei giudizi contrastanti cui andrà incontro (nostalgia del prototipo, curiosità per la nuova via aperta, critiche all’ambizioso impianto narrativo che si spinge senza il necessario spessore sui territori metafisici di un capolavoro qual’è “2001 Odissea nello spazio” e si accosta all’ardito ed eterno dilemma intellettuale che separa scienza e religione, la riconquista di una ‘lettura’ adulta della fantascienza senza dimenticarsi di quella fastidiosa sensazione di riciclaggio che accompagna tante opere hollywoodiano odierne e che con un termine sofisticato viene detto reboot) ed è destinato a lievitare nelle considerazioni generali (solo) con il passare degli anni. Alcune scene si imprimeranno indelebili nella memoria dello spettatore: quella in cui il personaggio di Elisabeth Shaw (interpretato da Noomi) auto espelle un terribile feto è da antologia, e bellissimo è l’incipit carico di suggestioni; ma non sono le uniche scene (raccapriccianti o meno) che fanno sobbalzare dalla poltrona o lasciano stupefatti gli spettatori nello stile del film che ha dato inizio a tutta la saga. Importante sottolineare come sia femminile il personaggio principale di questo film (Noomi Rapace) al pari della Ripley di Sigourney Weaver dei primi quattro capitoli (trascuriamo ragionevolmente i due apocrifi “Alien vs. Predator 1 & 2” del 2004 e 2007).

 

(immagini per cortese concessione della 20th Century Fox)

Il nostro giudizio è nel complesso positivo anche se facciamo fatica a riconoscere nel ‘navigato’ Ridley Scott di oggi l’antico meraviglioso ed immacolato stupore delle sue prime opere (“I Duellanti”, “Blade Runner”, lo stesso “Alien”), nonostante la sua filmografia sia costellata di tante altre pregevoli pellicole (penso a “Thelma & Louise“, “Hannibal”, “Black Hawk Down”, “Il genio della truffa”, “American Gangster“,“Nessuna verità”, non certo “Il gladiatore” o “Robin Hood” ). Il finale in crescendo – che diventerà di sicuro un cult – lascia aperta la porta a nuovi capitoli e forse addirittura ad una nuova trilogia. Di sicuro, intanto, c’è già un secondo film che è in pre-produzione nel quale si definirà più compiutamente l’identità dello Space Jockey, l’alieno gigante fossilizzatosi sulla plancia di comando dell’astronave all’interno della quale giungevano gli astronauti della Nostromo all’inizio del primo “Alien”, e che (concettualmente) fa capolino sul finire di “Prometheus”. Particolarmente indovinati i personaggi del fascinoso androide David (un Michael Fassbender sempre più sulla cresta dell’onda), cui vengono riservati i momenti migliori del film sotto l’aspetto più prettamente interpretativo e dell’ambigua Meredith Vickers (Charlize Theron ===Consulta la Filmografia===), la funzionaria delle industrie Weyland che è a capo della spedizione. Gli effetti speciali sono ben calibrati e (ovviamente) necessari, ma il 3D con cui il film arriva nelle sale è posticcio (adattato in post-produzione) ed è davvero poco efficace sotto il profilo della spettacolarità. La sceneggiatura è opera dell’emergente Damon Lindelof e non è che sia del tutto impeccabile perché mostra il fianco debole di una concezione di scrittura serializzata (a lui si deve la fortunata serie TV “Lost”) e non cinematografica.

(Luigi Lozzi)                                                     © RIPRODUZIONE RISERVATA

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