ODEON dei Tosca
Nella prima metà degli anni Novanta ebbe grande successo la miscela di musica elettronica prodotta dal duo austriaco dei Kruder & Dorfmeister (ricordiamo il magnifico “DJ Kicks”, pure questo pubblicato su etichetta !K7). L’EP “G-Stoned” del 1993, è stato il disco che li lanciava ed aveva una copertina che richiamava assai da vicino – eufemismo per dire ‘letteralmente mutuata da’ – quella di “Bookends” di Simon & Garfunkel; scelta dettata dalla volontà di donare un ‘light touch’ comunicativo alla loro miscela di acid-jazz & trip-hop. Una volta posto fine a quell’esperienza il producer Richard Dorfmeister dava vita al duo dei Tosca assieme a Rupert Huber. Sempre e comunque proteso a battere le strade si quei suoni elettronici che si rifanno alle sonorità ’electro pop & dance’ degli anni ’80 e si muovono con originalità ed eccellente padronanza dei propri mezzi tra ambient & down beat. “Odeon” è il nome di un famoso club di Vienna, dove è stato addirittura presentato il materiale inedito che compone il nuovo album, il sesto nella discografia del duo a partire dal 1997 (sei dischi in sedici anni, senza contare i numerosi EP e compilation di Remix), con l’esordio intitolato “Opera”, che ha immediatamente visto i Tosca acclamati protagonisti della scena leftfield. Il progetto Tosca ha preso il largo grazie ad un sound impregnato dell’humus ambientale della malinconica, decadente e mitteleuropea Vienna ma con la decisa propensione per un ritmo downtempo molto raffinato e intinto di istanze chill-out ed influenze etniche. Un sound che prosegue sulla strada tracciata dalla precedente esperienza di Dorfmeister con Peter Kruder (quello della Peace Orchestra) che – come detto – con felice intuito erano riusciti nei primi anni ’90, grazie agli abili remix assemblati (tra i quali “Suzuki” e “Fuck Dub”), a collocare Vienna al crocevia della scena trip-hop europea. La premiata ditta Dorfmeister & Huber, sebbene non proponga nulla di fondamentalmente innovativo, riesce a dare solidità ad un discorso già avviato da tempo all’insegna del Bowie/Depeche Mode pensiero, rendendo riconoscibili le atmosfere solide ed ispirate (sovente di senso cinematografico), e distintivo il proprio sound, un pò dark e speziato di vocalismi ‘scuri’. Ad onor del vero con questo disco i due, fin dall’iniziale, rilassata, “Zur Guten Ambience”, sono più convincenti che mai, pur senza millantare quello che non fa parte del loro bagaglio espressivo. Il singolo “JayJay” (con il vocalismo a supporto di J.J. Jones), con l’atmosfera e i suoi crescendo, è la cosa che colpisce l’immaginario con maggiore immediatezza, ma non è l’unico, poiché anche gli altri brani brillano per originalità ed efficacia. Si guardi alla ritmata “Heatwave” (un dub-disco in cui riappare l’amico e collaboratore Rodney Hunter), così deliziosamente chill-out, o alla contaminazione di “Stuttgart”, tanto vicina alle calde tonalità mediterranee per quel cantato in portoghese ad opera di Luca Santtana e per qualche spruzzata di Bossa Nova in altri pezzi, la nu-jazzata e malinconica “What If” (con la collaborazione vocale dell’olandese Sarah Carlier), l’ipnotica, ripetitiva e funk-baroccheggiante “In My Brain Prinz Eugen”. C’è un’aurea di fascinazione che cresce ad ogni reiterato ascolto del disco.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA