LUCIO BATTISTI: IL NOSTRO CARO LUCIO
A venti anni dalla scomparsa (9 Settembre 1998) non si attenua, anzi cresce con più vigore, il desiderio di approfondire l’analisi dell’opera di Lucio Battisti, artista senza eguali nel panorama musicale italiano e così saldamente ancorato al nostro immaginario collettivo. Il libro firmato da Donato Zoppo, “Il nostro caro Lucio”, servendosi di tutte le fonti a disposizione, ripercorre con grande precisione la carriera dell’artista di Poggio Bustone, utilizzando una forma di impaginazione che va incontro alle esigenze della comunicazione destinata alle nuove generazioni, di sicuro all’oscuro della grandezza di Lucio.
Così il libro edito da Hoepli, che assume vero e proprio piglio biografico (per gli anni formativi e per quelli discografici) propone tutta una serie di box (piccoli e grandi), dichiarazioni evidenziate di Battisti, Mogol, o di persone e musicisti che hanno conosciuto da vicino l’artista, che non solo offrono informazioni aggiuntive ma servono a fissare alcuni momenti chiave del racconto. Ovviamente questo modo di presentare il libro, se da un lato può infastidire i più navigati tra i ‘consumatori’ di libri, dall’altro diventa funzionale ad un tipo di ‘attenzione’ – diciamo – più ‘volatile’ e ‘spot’ da parte di chi approccia i libri al giorno d’oggi. Ne emerge, con dovizia di particolari, non solo un profilo professionale di Lucio Battisti, peraltro già ampiamente (se non completamente) conosciuto, ma pure un aspetto umano che spiega molto della sua timidezza, della sua ritrosia a scendere a compromessi con la stampa, del suo repentino eclissarsi dalla scena musicale nostrana al culmine della sua carriera. Carriera che comunque è proseguita con successo anche quando egli ha solo fatto ‘parlare’ la sua musica. Nell’ultima intervista pubblica rilasciata nel 1979, poco prima di ‘scomparire definitivamente dalla scena, Lucio Battisti infatti dichiarava: «Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte. Per sapere tutto di me basta mettere un disco sul giradischi». Un personaggio geniale, assai inquieto, riservato e sfuggente che, nel rifiutare spesso interviste e apparizioni televisive, fonti di speculazioni ‘gossippare’ fastidiose, desiderava mettere la sua musica dinanzi alla propria persona. Bisogna concentrare l’attenzione di chi legge (e di chi ascolta la musica di Battisti) sulla speciale devozione che ha avuto l’artista per la musica, solo facendo così si potranno comprendere le tante articolazioni della sua arte. Le sue sono state canzoni immediate (e di successo) nella sostanza ma profondamente complessi e sofisticate nella loro struttura, ricche di sfumature, sonorità affascinanti e soluzioni sorprendenti. La vita e la musica di Lucio Battisti vengono così raccontate attraverso i momenti più importanti della sua carriera. La nascita a Poggio Bustone, in provincia di Rieti, la gavetta svolta nel centro-sud come chitarrista per gruppi (con Tony Dallara e con i Campioni di Roby Matano) nei locali, l’arrivo a Milano, i provini e le delusioni, l’improvvisa considerazione ottenuta, il successo e i prolifici e trionfali anni Settanta, l’epoca dei 45 giri prima e degli LP dopo, l’approccio al Progressive, con una rigorosa ricerca di testi, suoni e canzoni ed ancora la separazione da Mogol e la rinascita artistica dei primo anni ’80; insomma la storia di un gigante assoluto della musica italiana. A mio modesto parere i due autentici ‘rivoluzionari’ della musica leggera italiana sono stati Domenico Modugno e Lucio Battisti. L’autore del libro, Donato Zoppo, noto nell’ambiente come giornalista specializzato in Rock Progressivo, non nasconde affatto la sua ammirazione per Battisti e la cosa non deve apparire stridente poiché è la cartina tornasole della rivalutazione della musica di Lucio avvenuta soprattutto in quegli ambienti del giornalismo musicale rock che all’epoca dei primi successi (ma anche per tutti gli anni Settanta e Ottanta) ne avevano sottovalutato la portata e snobbato l’innovativo disegno musicale, tacciandolo d’essere un autore commerciale capace si sfornare solamente ‘canzonette’. Il tempo – e solo quello – ha dato ragione a Lucio che come sempre, prima e dopo di quel momento della sua carriera, era molto ma molto avanti ai suoi contemporanei. Battisti non si è mai seduto sugli allori (e la sua storia ce lo dimostra), è stato sempre pronto ad ‘osare’ qualcosa di più in termini di sperimentazione per quelle, che agli occhi di molti, continuavano ad essere ‘solo canzonette’, agli inizi ha assorbito in maniera intelligente, personale e intrigante tante influenze straniere, dalla soul music al blues al folk-rock, senza essere mai banale o imitativo, ed è stato capace di coniugare universi musicali sempre più complessi spaziando tra progressive e jazz-rock (si pensi a “Anima latina”), disco music di fine anni ’70 e synth-pop degli anni ’80, e (dopo il divorzio artistico con Mogol) si è addentrato in territori di minor presa dell’immediatezza dell’ascolto volutamente, per scardinare la dimensione melodica delle canzoni sfornate assieme a Mogol. Perché, sia chiaro a tutti, Lucio Battisti, con il ‘conforto’ tutelare di Mogol, ha provveduto a rifondare la musica leggera italiana e a dargli un respiro internazionale. Prendete ad esempio un brano meraviglioso come “Pensieri e Parole”, dalla grandissima forza evocativa suggerita dal quelle due voci contrapposte di Lucio (su due testi separati), e così avanti coi tempi; il brano rendeva conto di un artista che in pochissimi anni aveva fatto passi da gigante e si era evoluto in maniera esponenziale, assecondato dal pubblico ‘popolare’ che ne decretava il successo. Qual è la verità? Battisti aveva fiuto infallibile nell’intuire gusti e orientamenti dei consumatori di musica oppure (come io penso fermamente) era il pubblico, il suo pubblico, ad essere cresciuto, ad essere capace di assimilare le sollecitazioni sempre più sofisticate dell’artista, alla faccia dei tanti ma tanti denigratori dell’arte del cantautore reatino? E Lucio dichiarava all’epoca: «Credo di stare attraversando il mio momento migliore, cioè quello della maturità artistica: “Pensieri e Parole”, la mia ultima canzone, è senz’altro tra le migliori tra quelle che ho scritto, ma è già superata nella mia testa da altre composizioni. Il mio ultimo trentatré, per esempio … Io temo che se ritarderà ancora l’uscita, quel disco finirà per essere superato da altre idee musicali che mi ronzano in testa». Si riferiva ad “Amore e non Amore” il disco rimasto nel cassetto per oltre un anno ‘congelato’ dalla Ricordi, la casa discografica che lo aveva lanciato e oramai consapevole che alla fine (imminente) del contratto Battisti avrebbe spiccato il volo verso nuovi lidi, verso la grande avventura con la Numero Uno, la casa fondata assieme a Mogol. Importanti sono stati poi i contributi e le testimonianze dei musicisti che hanno avuto la ‘fortuna’ di incrociare il loro cammino con quello di Lucio: «Noi suonavamo quello che ci piaceva – dichiarava Giorgio Piazza, bassista dei Quelli prima, poi diventati Premiata Forneria Marconi -, buttando l’orecchio alle tendenze d’oltremanica, lui (Battisti, ‘of course!’) invece non aveva bisogno di ispirarsi a nessuno. Per alcuni pezzi, come “Dio mio no”, succedeva una magia: entravi in studio, ascoltavi la sua idea e si partiva, con la massima libertà da parte nostra e la certezza, da parte sua, che avremmo raggiunto un ottimo risultato. Lucio ascoltava i Cream e i Led Zeppelin, insomma gruppi davvero forti, e noi suonavamo proprio i loro pezzi durante la trasformazione da Quelli in PFM. Ma ad accomunarci era anche la spontaneità più totale, niente calcoli nel nostro modo di fare. Noi eravamo ottimi esecutori (“Hush” dei Deep Purple era davvero uguale all’originale) e suonavamo la musica che ci serviva per crescere. Lucio invece certe qualità le aveva scritte nel DNA: tutto gli riusciva naturale, era un talento unico. O forse era semplicemente un artista. Di quelli che potevi trovare a Montmartre, per dire, o su una qualsiasi strada d’America. Uno che viveva e lavorava solo per la sua Arte. Come Demetrio Stratos. Avevano dentro qualcosa e dovevano esprimerlo». Di fondo poi c’è da sottolineare che il Italia – con l’avvento di Battisti – l’immagine tradizionale del cantante che interpreta con voce perfetta diventa superata ed in parte obsoleta, «la gente – sono parole dello stesso Lucio da un’intervista rilasciata ad un settimanale sul finire dei Sessanta, all’epoca del suo iniziale successo – vuole altro, vuole qualcosa di più e di diverso. Qualcosa in grado di procurarti quel famoso brivido. Una sensazione che, in mezzo a tanta abulia, confusione e indifferenza, è molto importante dare». Oltre al periodo d’oro dell’era Mogol-Battisti, sul loro magico connubio, sulla magica e perfetta alchimia istauratasi tra i due, il libro di Zoppo esplora anche la fase ermetica, contraddistinta dalle copertine minimaliste dei suoi dischi, in cui, attraverso i testi di Pasquale Panella, Lucio si è dimostrato più che mai rivoluzionario per i tempi e precursore di certi suoni e sonorità. 14 capitoli, ciascuno o quasi, accompagnato da un titolo di una sua canzone. Tra coloro che hanno messo a disposizione dell’autore la propria testimonianza diretta ci sono Roby Matano (il primo scopritore e sostenitore di Battisti), Christine Leroux (l’editrice che intuisce il suo talento, crede in lui e lo presenta a Mogol), Pietruccio Montalbetti dei Dik Dik, Maurizio Vandelli dell’Equipe 84, il paroliere e arrangiatore Detto Mariano, Gianni Dall’Aglio, batterista dei Ribelli, Alberto Radius della Formula Tre, Mario Lavezzi, Geoff Westley, musicista e chitarrista inglese, Adriano Pappalardo, Massimo Luca che con la sua chitarra Martin si è messo al servizio di Lucio, Dario Baldan Bembo e molti altri ancora. Qua e là nel libro poi ci sono immagini di Battisti in Bianco e Nero a piena pagina. Nel tempo sono stati numerosi i libri dedicati a Battisti e questo, realizzato con cura quasi maniacale da Donato Zoppo, racconta come la musica di Battisti e i testi delle canzoni concepiti da Mogol abbiano accompagnato un periodo cruciale della vita degli italiani dei Sessanta e Settanta (e oltre), diventando per qualche verso simbolo d’una loro educazione sentimentale.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
(immagini per cortese concessione della Sony Music)
“Il nostro caro Lucio – Storia, canzoni e segreti di un gigante della musica italiana”
(Edizioni Hoepli, 2018, pp. 218, € 17,90 – in libreria, www.hoeplieditore.it) di Donato Zoppo