LOST THEMES di John Carpenter
ARTISTA: JOHN CARPENTER
TITOLO: Lost Themes
ETICHETTA: Sacred Bones/Goodfellas
ANNO: 2015
“Il tema, in un film, è come un tema in musica. Si evolve, si sviluppa e sottolinea le emozioni. Non è un commento politico. Piuttosto un filo poetico. Solitamente compongo le colonne sonore dei miei film perché sono più veloce e economico… e poi amo fare della musica”, dichiarava anni fa John Carpenter, maestro riconosciuto del moderno cinema horror, che è quasi sempre stato anche autore delle musiche, rivestendo d’una preponderante presenza dei sintetizzatori le immagini claustrofobiche dei suoi film, al punto da diventare una figura di riferimento in ambito elettronico. Già la notizia della pubblicazione di un album (il primo) di brani inediti aveva suscitato un’eccitazione tra i fan che puntualmente è stata soddisfatta alla prova dei fatti. Come detto Carpenter è pure il compositore delle colonne sonore di quasi tutta la sua filmografia; anche se si è occupato delle musiche per “Dark Star”, “The Fog”, “Grosso guaio a Chinatown”, “Fuga da New York” e “Essi vivono”, il lavoro come compositore per i suoi film ha vissuto il suo passaggio più pregnante in relazione a “Assalto al distretto 13” e ai tre film della saga di Halloween, i primi, che recano la sua firma. Una delle pochissime eccezioni l’ha rappresentata Ennio Morricone incaricato dalla produzione a grosso budget de “La cosa” di creare una musica ad hoc. In questa occasione si tratta di una raccolta di sampler che il regista di “La Cosa” e “Halloween” ha elaborato quasi per gioco (“Per me – ha dichiarato – è stato un grande divertimento realizzare questi brani”) assieme ad alcuni fidi collaboratori, tra cui il figlio, con l’intento dichiarato che essi possano costituire possibile applicazione a progetti cinematografici a venire, non necessariamente suoi. In questa ottica il titolo del disco è fuorviante perché non si tratta di brani composti nel corso di una carriera, magari dimenticati e messi da parte. Sono nove brani, schegge musicali dal tratto distintivo, sperimentali, sì, ma di senso compiuto ed ognuno con una propria identità ad esprimere quello che il suo titolo suggerisce (“Vortex”, “Mystery”, “Abyss”); dopo l’ascolto però mostrano una insospettabile coesione. Trovano una loro precipua ragione (trasversale) di esistere proprio nell’aderenza al verbo di matrice horror del regista canadese: Temi strumentali ossessivi, ripetitivi ed inquietanti, per accentuare i toni di una narrazione estrema su scenari distopici: l’apertura (“Vortex”) affidata ad un pianoforte pesante così carico di reminiscenze anni ottanta, il groove rock di “Domain” che contiene perfino elementi dance, il traballante funk di “Fallen”, le progressioni del synth in “Abyss”; “Purgatory” è la cosa migliore dell’album, in avvio un climax quieto e dissonante che si trasforma in un tipico groove jazz degli ’80. La musica di Carpenter ha oggi la stessa rilevanza e lo stesso peso che aveva una quarantina d’anni fa.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA