Musica

L’AMORE DEVI SEGUIRLO di Nada

 

 

 

 
ARTISTA: NADA
TITOLO: L’amore devi seguirlo
ETICHETTA: Santeria/Audioglobe
ANNO: 2016

Nada Malanima, a tutti meglio nota solo con il suo nome, prosegue in un percorso artistico di grande maturità e spessore che poco ha da condividere con gli inizi di carriera, speziati di partecipazioni adolescenziali al Festival di Sanremo (aveva poco più di quindici anni quando si presentò alla kermesse sanremese con “Ma che freddo fa” nel 1969) e di hit da classifica della musica leggera. Oggi, Nada, è scrittrice ed attrice (soprattutto di teatro) oltre che cantautrice, trasversale e credibile, e perché no, pure rocker. “L’amore devi seguirlo” segue di un paio d’anni “Occupo poco spazio”: due titoli a loro modo che si somigliano; non fosse altro che per essere composti ognuno di tre parole che dicono tutto e non dicono niente, e poi per un certo ermetismo che si lascia interpretare solo tra le liriche della canzoni in essi contenute. L’artista toscana si è in pratica occupata di tutte le fasi realizzative dell’album, dalla scrittura alla produzione, e quello che salta subito evidente, fin dal brano iniziale – “Aprite le città”, pezzo sul disagio esistenziale e sociale che potrebbe essere stata scritto a suo tempo da un Fabrizio De Andrè con le sembianze di ‘inoculatore’ della protesta -, è una certa istintiva essenzialità dell’approccio, fatta di energia e passione, con toni che portano ad un’immediatezza della fruizione da parte di chi vi si pone all’ascolto. Al contrario del disco riflessivo e sofisticato che l’ha preceduto nel 2014. Non si tratta di un album-concept quanto piuttosto di una serie di canzoni di folk-rock urbano d’autonoma compiutezza (e bontà). Vi si parla di temi attuali (il femminicidio, l’immigrazione, le paure collettive) – una “fotografia del momento che viviamo”, ha dichiarato – utilizzando gli strumenti a sua disposizione: i testi (su temi forti e condivisibili, per nulla intimisti né tantomeno sdolcinati) ispirati dalla qualità di quel cantautorato d’impegno sociale dei Sessanta e Settanta (“Non sputarmi in faccia” ci riporta con garbo addirittura nei Cinquanta), arrangiamenti musicali dall’accurata qualità, la sua magnifica vocalità che ha conservato negli anni tutto lo spessore d’irrequietezza interpretativa che da sempre contraddistingue le sue performance. Nada ci ha lavorato molto, in fase di pre-produzione, a casa sua, elaborando le idee di base per diversi mesi (e servendosi di un software, il Garage Band, che le ha consentito di creare concretamente le basi del suo lavoro in perfetta autonomia), per poi arrivare alla completa metabolizzazione ed alla sintesi finale della sua registrazione al Baricentro di Produzioni Musicali Natural HeadQuarter di proprietà di Manu Fusaroli a Corlo (Ferrara), laddove le canzoni hanno beneficiato della loro veste definitiva. “Ballata triste”, nel raccontare una storia di violenza domestica, ha un’impronta ‘alla Tenco’, la prima citata “Aprite le città” incita ad aprirsi all’accoglienza, a braccia aperte, dei migranti disperati, dei lori bambini impauriti (molti dei quali muoiono in mare: una realtà che un paese civile non può permettersi di sostenere senza abbassare lo sguardo per la vergogna). A testimonianza della sensibilità partecipativa della cantautrice, “La Canzone Dell’amore” è stata scritta per un gruppo di ragazzi diversamente abili, The Dreamers, che poi hanno preso parte alla registrazione facendo parte dei cori; per questo pezzo è stato approntato anche un video-clip che è facile intercettare in rete. “La Bestia”, uno dei primi singoli ad essere estratti (e anche questo accompagnato da un video che è diverso dalla versione pubblicata su disco), ha sapori indie e “All’aria aperta”  è la migliore delle conclusioni possibili, con quell’apertura tirata a rock. Nada ci consegna (nel suo piccolo e senza proclami) una ricetta di condivisione delle esperienze ed un desiderio (che deve accomunarci) di rendersi disponibili agli altri, essere pronti all’amore, inteso in senso più lato di quello semplicemente ‘romantico’.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA