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JURASSIC PARK di Steven Spielberg in Blu-Ray 4k Ultra HD

 

 

 

 

Nel 2015 “Jurassic World”, ha incassato l’incredibile cifra record di oltre un milione di $ al box-office internazionale rendendo quindi inevitabile un sequel per il fortunato restart di una delle saghe cinematografiche più amate di tutti i tempi. Così, per accompagnare l’uscita sugli schermi di tutto il mondo di “Jurassic World – Il regno distrutto” in quest’estate 2018 ecco arrivare sul mercato – così giusto per rinfrescarci la memoria – le ristampe (con nuova grafica) dei quattro film che al momento compongono il franchise, ed in più, per la prima volta questi vengono pubblicati pure in formato 4K ULTRA-HD; con il clamore e l’enfasi che si riservano ai ‘must’ imperdibili.

A venti anni dalla sua uscita “Jurassic Park” continua ad essere un’avventura emozionante e coinvolgente, proprio perché sostenuta da una tecnologia assai sofisticata. La trilogia della saga di “Jurassic Park” concepita, realizzata e prodotta da Steven Spielberg (ispirandosi al fortunato romanzo di Michael Crichton) ha beneficiato di un successo planetario tra il 1993 e il 2001, con l’ultimo dei tre film, il minore del trittico, diretto da Joe Johnston. Da alcuni decenni ormai Spielberg è il Re Mida dell’entertainment cinematografico, la sua filmografia è composta da un numero impressionante di Blockbuster tra i più visti di tutti i tempi (a partire da quel lontano “Lo Squalo” che di fatto aveva dato il là nel 1975 al ‘format’ del blockbuster), e con “Jurassic Park”, nel 1993, aveva inaugurato (assieme a “Terminator 2: Il giorno del giudizio” di due anni prima) una nuova era nel campo degli effetti speciali: splendide immagini generate al computer (CGI), ottimamente miscelate con i più avanguardistici e futuristici effetti dell’animazione, con i quali riportava in vita creature preistoriche estintesi ben 65 milioni di anni fa. Superfluo ripercorrere la trama di quel film e di quelli che lo hanno seguito poiché sono patrimonio acquisito del nostro immaginario collettivo. In questo lasso di tempo la tecnologia applicata al digitale cinematografico ha fatto passi da gigante ma per chi ama il Cinema (e/o lo studio dell’evoluzione della Settima Arte) “Jurassic Park” rimane un punto di riferimento ineludibile, tuttora conserva tutta la sua enorme forza visiva. E – aggiungiamo – per le nuove generazioni che si apprestassero a fare la conoscenza con questo film la visione 4K ULTRA-HD (realizzata in un nuovo master a 4K partendo dall’originale negativo 35mm) assicura un elevato ed indiscusso livello di spettacolarità che regge il confronto con opere di ultima generazione tecnologica. “Jurassic Park”, all’epoca della sua uscita, è stato l’espressione più eclatante dei progressi tecnologici che il cinema degli effetti speciali aveva raggiunto negli anni ’90. Allora, nel 1993, la grande novità era soprattutto di ordine estetico più che tematico, un esempio assolutamente rivoluzionario di come si potesse far convivere sullo schermo creature digitali (in questo caso i dinosauri) e attori in carne ed ossa. “Jurassic Park”, un parco di divertimento non solo ideale (nelle sue connotazioni cinematografiche), è assurto al rango di classico dell’immaginario collettivo ed è entrato prepotentemente nella storia del cinema coniugando magistralmente Fantascienza e Horror, e proponendo come sottotesto una interessante riflessione su tematiche ambientaliste e sui probabili (possibili?) scenari indotti in futuro dagli sviluppi dell’ingegneria genetica. Uno spettacolo strabiliante voluto da Spielberg, il Re Mida dell’intrattenimento cinematografico per il numero impressionante di Blockbuster cinematografici tra i più visti di tutti i tempi che egli ha diretto. Il film narra di un parco nel quale vengono riportati all’antico splendore, grazie ad una sofisticata operazione genetica, alcune razze di dinosauri dei quali l’uomo perde ben presto il controllo… Spielberg ha due anime come due sono le anime del Cinema più in generale, una che cerca la via della spettacolarizzazione e della ‘meraviglia’, l’altra alla ricerca di un intimismo dei contenuti che pacifichi l’animo dinanzi alle grandi problematiche che affliggono l’umanità. Al secondo filone fanno capo opere come “Schindler’s List“, “Il colore viola”, “Munich”, “Incontri ravvicinati del Terzo Tipo”, “Lincoln”, mentre al primo, autentico parco dei divertimenti del fantastico e del favolistico, si affiliano la quadrilogia di Indiana Jones, “E.T.”, “Hook – Capitan Uncino”, “La Guerra dei Mondi” – giusto per citarne alcuni. In verità già “Jurassic Park”, di pochi mesi precedente al racconto dell’Olocausto (“Schindler’s List”), e il suo sequel (“Il Mondo Perduto” del 1997), pur restando opere destinate ad un pubblico con la ‘voglia di lasciarsi incantare dalla magia dello schermo’, lasciano nel loro livello di lettura più metaforico (e in filigrana) ben pochi elementi dei quali rallegrarsi. È però anche vero che Spielberg – e qui entra in gioco la mia sollecitazione a chi mi legge di avviare una rilettura della sua intera opera – è da sempre autore molto più complesso di quello che si è voluto credere ad un’analisi sommaria del corpo dei suoi film. Provate ad esempio a mettere in relazione “Duel” (la cisterna che insegue e perseguita un mite automobilista) e “Lo squalo”: sono due film-metafora che portano in superficie (entrambi) qualcosa di rimosso e di ancestrale che è insito nel profondo di ognuno di noi (in fondo non costituiscono certo una novità le interpretazioni psicanalitiche che si legano alle profondità del mare, quelle da cui riemergono lo squalo o Moby Dick) e quindi anche (e a maggior ragione perché ne è l’autore) dello stesso regista; quel qualcosa di rimosso e di indefinibile che agita e turba il suo inconscio altri non è che la metabolizzazione, difficile e faticosa, dell’Olocausto. Ed il sinistro cancello di Jurassic Park non evoca forse quello di Auswitz e, ancora, se al titolo originale de “Lo squalo” (“Jaws”) sostituiamo la ‘A’ con la ‘E’ questi si trasforma in JEWS (ebrei!) che ci farà apparire più chiare molte cose! Nello stesso anno di “Jurassic Park – Il Mondo Perduto”, il ’97 Spielberg realizzava “Amistad” – storia della rivolta di un gruppo di negri contro l’equipaggio della nave che, nel 1893, li portò da Cuba agli Stati Uniti per venderli come schiavi – con il quale elaborava un impeccabile pamplet contro lo schiavismo, coltivando l’idea benemerita che fosse importante mostrare alle nuove generazioni i fatti che hanno preceduto la storia contemporanea per consentire loro di comprenderne meglio i risvolti odierni. Intanto, in quel tempo, fondava la Dreamworks Pictures (Dreamworks SKG, con Jeffrey Katzenberg e David Geffen, le cui iniziali del cognome andavano a comporre le altre lettere del nome della compagnia), attraverso cui produsse e distribuì tutti i suoi film a partire proprio da “Amistad”. Con “Salvate il soldato Ryan” (1998), che racconta lo sbarco alleato in Normandia del 6 giugno 1944 durante la Seconda Guerra Mondiale, un altro Oscar per la Migliore Regia si aggiunge a quelli (importanti) vinti con “Schindler’s List”. Dopo il successo planetario conquistato da “Jurassic Park” nel 1993 era praticamente inevitabile che l’industria cinematografica a stelle e strisce mettesse in cantiere un sequel del fortunato film ispirato al romanzo scritto da Michael Crichton. E chi se non Steven Spielberg, ideatore co-produttore e regista del primo, poteva essere la persona più indicata a prenderne in mano tutte le fasi realizzative? Spielberg, il Re Mida dell’intrattenimento cinematografico, aveva sempre un pò nicchiato sulle sollecitazioni dei produttori, convinto come era della difficoltà di duplicare le proporzioni del successo che aveva arriso a “Jurassic Park”; e anche quando un nuovo film avesse ripagato gli investimenti produttivi, ma non eguagliato gli incassi del primo, la cosa avrebbe assunto i contorni, comunque, di un passo falso d’immagine. Il problema prioritario era quello di collegare narrativamente il nuovo film al precedente in modo credibile, ma anche di non ripetersi pedissequamente per non generare ‘stanchezza’ nel pubblico. L’imperativo era dunque quello di creare un film che dovesse necessariamente infrangere il record d’incasso già così copsicuo del primo. Spielberg ebbe a dichiarare: «Quando seppi che Michael (Crichton) stava per scrivere il nuovo libro e che voleva intitolarlo “Il mondo perduto – Jurassic Park” mi elettrizzai subito all’idea perché sono sempre stato un ammiratore del romanzo omonimo di Arthur Conan Doyle. Mi entusiasmava l’idea di essere catapultato, nel mio immaginario, in un mondo preistorico ma al tempo stesso reale, senza muri di cinta o barriere elettrificate, insomma non in un parco a tema, ma in un vero e proprio ambiente mai contaminato dalla mano dell’uomo. Ho pensato che sarebbe stata una storia davvero fantastica. Se non avessi trovato qualcosa di veramente interessante, “Jurassic Park” non avrebbe avuto un ‘sequel’. Il pubblico è l’elemento più importante. È la prima cosa a cui penso quando lavoro a film come questo o alla serie di Indiana Jones. Molte di queste opere sono destinate a quello che spero sia il puro divertimento del pubblico». Nel 1997 il regista tornava così alla regia dopo alcuni anni; il suo ultimo film era stato “Schindler’s List” (girato subito dopo “Jurassic Park”) nel ’93 e con il quale si era aggiudicato ben sette premi Oscar. Tra gli interpreti, ancora presenti, Jeff Goldblum nei panni dello scienziato Ian Malcolm e Richard Attenborough in quelli dell’imprenditore John Hammond. Nuovi sono invece, tra gli altri, Julianna Moore, Peter Postlethwaite, Arliss Howard, Vince Vaughn. Il risultato ottenuto si colloca, per certi versi, sulla scia del film precedente, ma anche con molte diversità. Un identico impianto narrativo di lotta per la sopravvivenza – la vicenda si pone a metà tra l’idea di Conan Doyle delle anomalie nel processo evolutivo degli animali preistorici e il parco tecnologico a tema messo a punto dal professor Hammond in “Jurassic Park” -, e si tratta sempre di un’avventura emozionante e coinvolgente ma sostenuta da una tecnologia ancor più sofisticata. “Jurassic Park” – come accennato in precedenza – aveva a suo tempo inaugurato una nuova era nel campo degli effetti speciali e riportato in vita creature preistoriche scomparse dal nostro pianeta ben 65 milioni di anni fa. «Credo che sia stato proprio il realismo di questi esseri – spiegava Spielberg – a colpire così profondamente il pubblico cinematografico. Inoltre questo è un film più aggressivo di quanto non lo fosse il precedente. Ci sono più dinosauri pericolosi e più persone in pericolo di vita nelle diverse situazioni». «Durante la fase di pre-produzione del primo film – affermava invece il produttore esecutivo Kathleen Kennedy – non avevamo idea del modo in cui saremmo riusciti a rendere realistici i dinosauri. Ora invece, siamo padroni delle tecniche degli effetti visivi, delle tecnologie informatiche e dei segreti della computer grafica, quindi abbiamo potuto concentrarci ancor di più sullo sviluppo della trama». Questa è andata avanti secondo una tecnica molto simile a quella dello storyboard. «In un certo senso – aggiunge la Kennedy – questo procedimento è molto simile a quello dei film di animazione, in cui si comincia da un’idea visiva e poi, seguendo un procedimento logico, si sviluppa la storia». La fase preliminare di visualizzazione era proseguita fino a quando Rick Carter, responsabile delle scenografie, con i suoi collaboratori era riuscito a trasformare le idee in modelli. Carter aveva anche utilizzato il computer per determinare il look di numerose sequenze contenenti degli effetti visivi. Egli creava una bozza di animazione in 3D, chiamata ‘animatics‘, che mostrava i personaggi in movimento all’interno di un set virtuale. «In questo tipo di film moltissimi elementi sono costruiti sulla base di immagini visive, in un processo creativo organico e aperto – sottolineava Carter -, al contrario di altri progetti in cui non ci si discosta mai da un rigoroso schema narrativo». Ad affiancare il regista nella fase creativamente più complessa c’è stata la stessa squadra che così bene si era distinta nel precedente film aggiudicandosi un Oscar nella categoria Effetti Speciali. Le sequenze digitali sono di Dennis Muren mentre l’ideazione e la realizzazione dei dinosauri sono state curate da Stan Winston e gli effetti speciali da Michael Lantieri. Diverso dal primo film è invece stato il direttore della fotografia, Janusz Kaminski. Nel suo studio nella San Fernando Valley di Los Angeles, Stan Winston creava un gruppo completamente nuovo di dinosauri. Per quanto il pubblico fosse rimasto stupito di fronte alle sorprendenti trovate di Winston nel primo film, egli era convinto di poter fare meglio. A lui, ricordiamo, si devono gli effetti speciali dei due “Terminator” e “Aliens” di James Cameron, oltre a “Batman – Il ritorno” di Tim Burton. «La gente è a conoscenza dei passi da gigante compiuti dalla tecnologia negli ultimi anni – commentava Winston – ma spesso dimentica che anche il mondo dei modellini comandati elettronicamente si è evoluto tanto da essere in grado di creare personaggi indistinguibili da quelli reali. Ci sono stati enormi miglioramenti nella tecnologia idraulica, che ci hanno permesso di produrre un numero doppio di modelli impiegando la metà del tempo e con costi piuttosto ridotti, e in più con una qualità di gran lunga superiore che in precedenza». I progressi tecnici hanno permesso a Winston di costruire dinosauri ancora più realistici, ma il lavoro non è stato solo quello di fornire alle creature nuovi movimenti ed un nuovo look. Si è affiancato all’enorme T-Rex, ‘volto noto’ del precedente episodio un altro esemplare adulto ed altri 40 animali in tutto. I dinosauri sono stati realizzati a grandezza naturale, con lunghezza di 15 metri e peso di 8 tonnellate, per un costo di due miliardi di lire (di allora) l’uno. Controllati dai computer, questi si muovevano per mezzo di meccanismi idraulici interni ed erano montati su rotaie. Lo studio di Stan Winston ha impiegato più di 100 artisti e tecnici che per un anno e mezzo hanno progettato, disegnato, scolpito, modellato, montato e dipinto i differenti dinosauri, dal piccolo Compsognatus (‘Compy’) delle dimensioni di una gallina, ai mastodontici T-Rex. Le maquettes del Winston Studio e i modelli in scala dei dinosauri sono stati poi portati alla Industrial Light & Magic dove sono passati nelle mani di Muren e del suo gruppo. Le sequenze digitali elaborate al computer da questo team si sono potute così uniformare ai colori e ai movimenti dei dinosauri meccanici. «Noi cerchiamo di dare loro una personalità, delle espressioni» affermava Winston. Questo è il motivo per cui i dinosauri sono risultati così magnifici e sembrano vivi. Sul set egli era a fianco di Spielberg e parlava ai suoi modellini mediante cuffie, dando direttive e ordini per i loro movimenti. Dennis Muren si era occupato di generare mostri preistorici al computer. Là a San Rafael, in California, aveva reclutato intere legioni di ‘digital artists’ per la Industrial Light & Magic. Fin dai tempi de “I predatori dell’Arca perduta” Spielberg si era affidato al talento e alla professionalità della ILM, di cui Muren faceva parte da sempre. Anche Muren aveva in animo di migliorare la performance offerta nel primo film. Questa volta voleva dare a Spielberg un elemento in più per facilitargli il lavoro: la libertà di ripresa. «All’inizio del lavoro ho detto a Spielberg che eravamo in grado di fare assolutamente qualsiasi cosa» raccontava Muren, l’idea fondamentale di Muren e della ILM era che i realizzatori non devono preoccuparsi della tecnologia, ma devono potersi concentrare soltanto sulle immagini. A questo ordine di idee apparteneva la possibilità offerta al regista di girare scene con la macchina da presa che godeva di una completa libertà di movimento, oppure l’alto grado di interazione tra le creature generate al computer e gli attori veri. Le sequenze con gli effetti speciali normalmente significavano macchina ferma e procedimenti rigidissimi, invece le nuove tecnologie erano avanzate al punto da permettere di montare la macchina da presa con gli effetti visuali su una steadicam, e muoverla così con assoluta fluidità. Per quanto stupefacente possa essere stato il lavoro compiuto da Winston e Muren, non avrebbe certo ottenuto gli stessi risultati senza la presenza del terzo elemento della squadra addetta agli effetti speciali, Michael Lantieri. Era allora uno dei più autorevoli specialisti di effetti speciali di tutta Hollywood, e collaboratore di Spielberg già da da molti anni. «In questo film – egli raccontava – tutto è di dimensioni gigantesche. In quello precedente c’era lo spettacolare incidente dell’explorer, ma qui abbiamo addirittura fatto penzolare un autosnodato con rimorchio lungo 18 metri dal bordo di un precipizio». Le riprese in esterni vennero effettuate dietro l’angolo di casa, nelle foreste di sequoia nei pressi di Eureka in California, a circa sei ore di distanza da San Francisco, in quella parte dello stato giustamente denominata Lost Coast, in alcuni incantevoli scenari come il Fern Canyon, a Prairie Creek e nei parchi del Patrick’s Point State. Per la sequenza d’apertura Spielberg sceglieva di tornare a Kauai, nelle Hawaii, dove aveva girato alcune parti di “Jurassic Park” e di “I predatori dell’arca perduta”. Tutti i set invece vennero costruiti negli studi della Universal, nella California meridionale. Le riprese de “Jurassic Park – Il mondo perduto” ebbero inizio il 5 settembre 1996 e terminarono l’11 dicembre quando il regista, nel rivolgere un brindisi a tutta la troupe, diceva: «Grazie per il meraviglioso show!». Tutto il lavoro di preparazione e realizzazione trovava la sua mirabile conclusione nel film stesso, che oggi – dopo essere passato per tutti i formati dell’intrattenimento Home Video (VHS, DVD, Blu-Ray e 3D) – è disponibile anche su formato 4K ULTRA-HD, ovvero la migliore delle soluzioni per godersi uno spettacolo senza eguali; con una qualità di straordinaria efficacia, sia nelle immagini che nel sonoro, tale da garantirvi una visione domestica di assoluto pregio. Le parole conclusive di Spielberg furono il miglior commento a questo ennesimo capolavoro: «La nostra risposta a “Jurassic Park” è stata di create un film diverso, più drammatico, mantenendo però i risvolti ironici, la suspence e tutti gli elementi che il pubblico aveva gradito nel primo episodio. A mio parere gli spettatori vogliono proprio questo da un sequel, non chiedono altro che di potersi rimboccare le maniche e immergersi di nuovo nell’avventura».

TECNICA

Si sono registrati negli ultimi venti anni progressi tecnici vertiginosi nel campo delle tecnologie digitali e degli effetti visivi da applicare al settore cinematografico, e “Jurassic Park” pur essendone (o forse proprio per esserne) stato il pioniere mostra il fianco a – direi – alcune ‘incertezze’ tecniche, dovute anche, tra l’altro, al fatto che certamente non era stato concepito a suo tempo immediatamente per una versione ULTRA-HD. Il 4K ULTRA-HD di “Jurassic Park” è stato realizzato da un nuovo digital intermediate 4K; la confezione messa in commercio contiene un secondo disco con la versione Blu-Ray già precedentemente pubblicata. Il restyling in verità, ad essere pignoli, non è proprio ‘impeccabile’, probabilmente la Universal avrebbe potuto impegnare maggiori energie e risorse economiche ma il risultato finale è in ogni caso all’altezza delle aspettative. Ottima percezione tridimensionale, immagini solide, pulite e dettagliate, nonostante una leggerissima grana, qualche piccolo (quasi inevitabile) artefatto e qualche ‘morbidezza’ di troppo, livello dei neri profondo, una palette cromatica dai toni più caldi; nel complesso decisamente migliorativa di qualsiasi precedente ‘experience’ di visione del film. L’audio, che già appariva superlativo nella precedente edizione in Blu-Ray pubblicata anni fa, viene rinnovato (per la traccia inglese) ed ‘elevato’ ad un ‘importante’ DTS-HD Master Audio 7.1 (lossless) che ovviamente fa un figurone per spazialità, direzionalità, gamma dinamica, separazione dei canali ed intervento di tutti i diffusori. Perfino la colonna sonora firmata da John Williams sembra aver beneficiato del nuovo trattamento. La traccia italiana invece subisce un inspiegabile abbassamento di livello. Gli extra contemplano gli stessi extra presenti sulla versione del film pubblicata alla fine del 2011: Prima di tutti “Ritorno a Jurassic Park”, il corposo documentario suddiviso in sei parti che contiene interviste inedite ai membri del cast dei film, ai realizzatori e ovviamente al demiurgo Spielberg. Inoltre presenti i vari ‘Making Of’, un numero considerevole di featurette che seguono passo passo tutti gli aspetti tecnici (pre-produzione, effetti speciali della Industrial Light & Magic, modellini, Animatics, sonoro, storyboard, schizzi di progettazione, disegni concettuali, scene eliminate) e realizzativi (il lavoro di Stan Winston e di Phil Tippet, le location) di una simile complessa opera. Al di là di quelli di alcuni dei realizzatori manca qualsiasi commento audio (sarebbe stato importante e gradito) di Steven Spielberg.

 

(Luigi Lozzi)                                      © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 

 

 

  

 

 


(immagini per cortese concessione della Universal Pictures)

 

 

NOTE TECNICHE
Il Film

JURASSIC PARK (4K ULTRA HD)
(Jurassic Park)
Usa 1993, 127’
Regia: Steven Spielberg
Cast: Sam Neill, Jeff Goldblum, Laura Dern, Richard Attenborough, Joseph Mazzello, Samuel L. Jackson.

Informazioni tecniche del Blu-Ray

4K ultra HD
Aspect ratio: 1.85:1 2160p/UHD HDR10
Audio: Inglese, Tedesco DTS:X Master Audio/Italiano,Spagnolo DTS Digital Surround 5.1
BLU-RAY
Aspect ratio: 2.35:1 1920x1080p/AVC MPEG-4
Audio: Inglese DTS-HD Master Audio 7.1 
Italiano, Francese, Tedesco, Spagnolo, Giapponese DTS Surround 5.1
Distributore: Universal Pictures Home Entertainment Italia (4K ULTRA HD + BLU-RAY)

 

 

 

 

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