Vinile

JIMI HENDRIX: RISCOPRIAMO GLI ALBUM IN VINILE

 

 

 

Un dato inoppugnabile sotto gli occhi di molti è che i vecchi, cari dischi in vinile, tanto vituperati all’avvento del digitale per essere scomodi e perfino ingombranti, sono tornati non solo di moda ma stanno recuperando alla fruizione della musica fette importanti di consumatori; dai vecchi appassionati nostalgici che non hanno mai smesso di amarli, alle giovani generazioni che hanno ereditato da zii e genitori, se non addirittura dai nonni, l’amore per questo supporto intramontabile ancorché  vintage, il glorioso Long Playing.

Il disco in vinile, proprio perché fisicamente ognuno se lo si può rigirare tra le mani, dona un valore concreto alla musica che si ascolta e che la musica cosiddetta ‘liquida’ non contempla, rappresenta un oggetto culturalmente collezionabile come i libri, complici anche le magnifiche copertine cartonate che si aprono come scrigni fantastici allo sguardo, ad esaltare il senso di possesso e di appartenenza dei cultori. Sono in tanti poi a sostenere che il vinile offra un ascolto più piacevole, coinvolgente e caldo, che altri supporti non hanno; il gesto poi di prendere quell’oggetto nero, lucido e rotondo, estrarlo dalla sua foderina, far suonare prima il Lato A, avvicinando la testina del giradischi ai solchi, e poi girarlo per ascoltare il Lato B, è un’esperienza unica, un momento rituale di cui si ricomincia ad assaporare il piacere singolare e coinvolgente, un autentico atto di fede. Un ascolto che va consumato nel silenzio assoluto, magari al buio, o al massimo può essere consentito prendere in mano la copertina, apprezzarne il valore grafico, leggere le note interne, seguire i brani leggendo i testi delle canzoni: insomma un rapporto più ‘fisico’ con la musica che si è andato smarrendo negli ultimi decenni. Dal gennaio 2016 ha fatto capolino nelle classifiche di vendita redatte dalla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) anche quella specifica dedicata ai dischi in vinile. Il ritorno del ‘disco nero’ può di fatto considerarsi inarrestabile, ha ricominciato a crescere nel 2007 dopo un silenzio assoluto durato più di un decennio, e da quel momento non si è più fermato. Alla fine del 2015 il vinile ha fatto registrare nel nostro paese un considerevole +74% rispetto all’anno precedente, e a fine anno sono stati 12 milioni gli album venduti. Si tratta in realtà ancora solo di un fenomeno di nicchia (stiamo parlando di un 4% (comprendendo anche i download) del mercato discografico italiano, ma non è affatto peregrino pensare che in poco tempo, grazie proprio al vinile, possa diventare un 10%), ma assume proporzioni significative se paragonato alla vertiginosa flessione che stanno avendo altri supporti fisici come CD e DVD, soppiantati in toto dalla musica ‘liquida’ e da quella in streaming. Negli Stati Uniti il mercato genera numeri ben superiori ai nostri, assestati sul 10% circa (sulle vendite totali di supporti fisici, ovviamente), e questo può rappresentare una Stella Polare da seguire per l’Italia. La speranza (un po’ utopistica) di molti addetti ai lavori, e di appassionati cultori, è quella di tornare ai fasti trionfali del passato. Difficilmente si registreranno più le vendite degli anni Settanta ma senza dubbio – non c’è che dire – è un segnale importante quello cui stiamo assistendo. Fatto è che – per usare una frase celebre dell’ex-allenatore della Roma, Rudi Garcia –, nei limiti imposti dalla realtà odierna, si sta cercando di ‘rimettere la chiesa al centro del villaggio’, ovvero che si sta recuperando terreno rispetto alle fosche previsioni di un paio di decenni fa secondo cui l’economia dell’intrattenimento si sarebbe allontanata sempre più dal possesso del bene fisico focalizzandosi sul concetto di fruizione meno palpabile, tra portali e download. L’ascolto della musica e la visione di film in streaming è esattamente questo, la fruizione di un bene senza averne il possesso. I libri fisici, cartacei, hanno resistito ed il vinile si ricompatta.

«È strano il modo in cui la gente dimostra il proprio amore per chi muore. Devi morire prima che ti riconoscano qualcosa. Una volta morto, sei pronti per la vita. […] Quando non ci sarò più non smettete di metter su i miei dischi».

 

In questo scenario si colloca il rilancio degli album in vinile di Jimi Hendrix ad opera della Experience Hendrix, ovvero la famiglia, che cura il controllo e lo sfruttamento dell’immagine del grande musicista, e della Sony Music, la casa che li distribuisce in tutto il mondo. Tempo fa attraverso Amazon.it siamo venuti a conoscenza di quali siano i vinili più amati del passato, tornati in auge ai giorni nostri; e se “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd conquista incontrastato la prima posizione in assoluto e di più amato tra i vinile dei Settanta, apprendiamo anche che il disco anni Sessanta più collezionato è “Are You Experienced?” di Jimi Hendrix, seguito da “Electric Ladyland” sempre di Jimi; “Legend” di Bob Marley & the Wailers lo è per gli anni Ottanta e “MTV Unplugged in New York” dei Nirvana per i Novanta. Così in questi ultimi tempi, numeri alla mano, la Sony ha proceduto alla pubblicazione di un cospicuo blocco di album dell’indimenticato chitarrista mancino in pregevoli vinili da 180 grammi. Fiumi d’inchiostro sono stati consumati intorno alla figura di questo artista geniale, dissacrante e visionario, timido e trasgressivo allo stesso tempo, e forse non è il caso di approfondire ulteriormente argomenti già abbondantemente sviscerati un po’ dappertutto. Ci limitiamo solamente a sottolineare come la sua parabola artistica – tanto intensa quanto breve, con un’esistenza distrutta dagli eccessi – possa essere racchiusa tra due estremi apparentemente distanti tra di loro (per quanti e tali momenti topici vi sono racchiusi) ma – a guardar bene – temporalmente assai vicini: due esibizioni storiche, quella allucinata e selvaggia di Monterey (18 giugno 1967), che ha svelato al mondo il talento e lo spessore lisergico di Jimi, e quella di Woodstock (19 agosto 1969) in cui Jimi trasfigurò letteralmente l’inno americano “The Star-Spangled Banner” al punto da trasformarsi in icona di riferimento per tutti i chitarristi rock. Questo breve arco di tempo però è bastato a Hendrix per avere un impatto straordinario sul rock e ridefinire il ruolo della chitarra elettrica nella musica contemporanea. Andiamo invece ad analizzare alcuni di questi dischi in vinile.
L’album “Hendrix In The West”, singolo live, usciva originariamente nel gennaio 1972 (per la Polydor Records) ed è stato tra i primi ad essere pubblicato dopo la tragica scomparsa del chitarrista di Seattle avvenuta a Londra il 18 settembre 1970. È pure uno dei più apprezzabili e significativi, ad onta delle decine di dischi di Jimi che fecero all’epoca la loro apparizione sul mercato discografico per sfruttare la scia emozionale suscitata dall’improvvisa morte. Voluto dal manager di Jimi, Mike Jeffery, e remixato agli Electric Lady Studios hendrixiani dal tecnico Eddie Kramer, “In The West” arrivava dopo altri album postumi (“The Cry Of Love”, marzo 1971, “Experience”, agosto 1971, “The First Great Rock Festival Of The Seventies: Isle Of Wight/Atlanta Pop Festivals”, settembre 1971, “Rainbow Bridge”, ottobre 1971, “Isle Of Wight”, novembre 1971), e venne assemblato prendendo brani da diverse esibizioni di Hendrix tenute tra il 1969 e il 1970. L’album conteneva brani tratti dai concerti alla Royal Albert Hall di Londra (24 febbraio 1969), alla San Diego Sports Arena (24 maggio 1969), al Berkeley Community Theatre (30 maggio 1970) e al Festival dell’Isola di Wight (30 agosto 1970). La nuova edizione in vinile disponibile per il nostro mercato da pochissimo tempo (dallo scorso ottobre) in realtà risale al settembre 2011, ed è stata approntata dalla famiglia Hendrix quale parte di un progetto più ampio ed articolato di rimasterizzazione degli album della discografia ufficiale di Jimi. In questo contesto bisogna pure ricordare come il produttore Alan Douglas abbia avuto il controllo esclusivo del materiale inedito di Jimi per molti anni dopo la sua morte, ed anche come egli si sia tirato addosso tante critiche da parte degli appassionati per il modo indecoroso con il quale aveva proceduto non solo alle pubblicazioni discografiche del ‘caro estinto’ ma anche per avervi apportato rimaneggiamenti e sovra incisioni del tutto arbitrari. Diciamo allora che solo dopo una lunga battaglia legale iniziata dal padre di Jimi, Al Hendrix, e dalla sorellastra Janie, e conclusasi nel 1995, la famiglia riusciva ad entrare in possesso dei diritti di pubblicazione del materiale costruendo la Experience Hendrix LLC; il primo passo fu quello di affidare a Eddie Kramer, il tecnico di studio di Hendrix, il lavoro di recupero ordinato e filologico dei materiali registrati. Il nuovo “In The West” è doppio ed ‘expanded’ con l’inserimento di brani non presenti nella tracklist originaria (“Fire”, “I Don’t Live Today” e “Spanish Castle Magic”); in tutto 11 brani rispetto agli 8 iniziali, con i tre bonus aggiunti provenienti dal concerto di San Diego. Poiché ci sono stati problemi legali per un paio di brani presenti in origine (“Little Wing” e “Voodoo Child”, tratti da un’esibizione alla Royal Albert Hall; tra l’altro nella prima edizione del disco, nelle note di copertina, erano stati volutamente accreditati come provenienti dal concerto alla San Diego Sports Arena per sviare l’attenzione da materiali  – quelli della Royal Albert Hall – oggetto d’un contenzioso) questi sono stati sostituiti da ‘alternate take’ dei due pezzi estrapolati da altre performance del chitarrista; “Little Wing” proviene dai concerti del Winterland di San Francisco del 12 ottobre 1968 mentre “Voodoo Child” ancora da quello di San Diego. Il disco offre alcune splendide performance di Hendrix e rende conto, una volta di più, del suo straordinario talento chitarristico, della indiscussa sua creatività nei concerti dal vivo – ascoltate di cosa sia capace con “Spanish Castle Magic” o “Voodoo Child (Slight Return)” – e del carisma che emanava la sua persona sulla scena. A chi obbietta che dopo la morte di Jimi è stato pubblicato, e in maniera selvaggia, troppo materiale ‘Live’ di dubbia qualità del chitarrista, mi sento di dire che “Hendrix In The West” così concepito (con l’integrazione di tre bonus) rimane uno dei migliori album dal vivo (se non addirittura il migliore) dell’artista. Importantissimo per delineare lo spessore artistico di Jimi che in un momento intensissimo di massima e feconda creatività artistica (ahinoi! perché è stato il periodo che ha preceduto la sua morte) sperimentava nei suoi concerti dal vivo ardite soluzioni musicali frutto di talento, magica ispirazione e grande applicazione, che avrebbe poi messo ‘nero su bianco’ nei tanti materiali registrati e messi da parte, a costituire un corpo artistico di straordinario valore. Tutti gli addetti ai lavori concordano nell’affermare come Hendrix fosse anni luce avanti rispetto ai suoi contemporanei nel suonare (ed inventare con) la sua Stratocaster. In apertura il disco propone il medley “God Save The Queen (in scaletta l’inno nazionale inglese è indicato solamente come “The Queen”) / Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band” (Isola di Wight) e più avanti testimonia dell’amore di Jimi per il rock’n’roll della prim’ora grazie alle cover “Johnny B. Goode” di Chuck Berry e “Blue Suede Shoes” di Carl Perkins; e c’è una magnifica e lunghissima versione – di oltre 13 minuti – di “Red House”, a ribadire la sua passione primaria per il blues, e che si tinge di atmosfere cosmiche. Splende poi una inedita e geniale versione di “Spanish Castle Magic”. Personalmente il brano che amo di più è “Little Wing”, che raramente Jimi ha eseguito dal vivo, con quell’indimenticabile e ‘sofferto’ e coinvolgente assolo chitarristico nel mezzo; a voler essere pignoli (ma la cosa non è di poco conto per chi come me adora la musica di Jimi) la versione del brano presente di questa nuova edizione di “Hendrix In The West” è un gradino al di sotto di quella inserita nella prima uscita discografica del 1972 e che poi – come detto in precedenza – è stata sostituita per motivi legali. Il concerto al San Diego Sports Area costituì una delle ultimissime esibizioni di Jimi con l’originaria formazione dei Jimi Hendrix Experience, con Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso, mentre è Billy Cox a suonare il basso nelle performance del 1970.
La raccolta “:Blues” serve a ricordarci che prima ancora d’essere il più grande chitarrista elettrico di tutti i tempi, Jimi Hendrix è stato fondamentalmente un chitarrista blues, e blues sono stati i musicisti principali cui si è ispirato agli inizi, blues sono state le sue radici più profonde e blues è stato pure il suo modo di vivere la sua arte e il suo talento. Per cui anche se ci si trova dinanzi ad una raccolta di brani, peraltro pubblicata tanti anni dopo la sua morte, il suo spessore musicale è oltremodo significativo perché delinea un percorso alternativo per ‘leggere’ l’arte di Jimi. Il disco venne pubblicata per la prima volta nell’aprile del 1994 dall’allora MCA Records e poi ristampato dalla Experience Hendrix Records, nel 1998, dopo l’acquisizione (come detto) da parte della famiglia dei diritti di sfruttamento delle registrazioni di Jimi. L’album, prodotto da Alan Douglas, che da sempre si è occupato della gestione del materiale di Hendrix, e che oggi viene ripubblicato in doppio vinile (e per la prima volta nel nostro paese), si compone di undici brani del suo genere prediletto che il chitarrista aveva registrato in studio tra il 1966 e il 1970, e quasi tutti scartati dalle pubblicazioni ufficiali; di questi ben sei pezzi erano inediti su disco e quattro di essi rappresentavano cover di standard del Blues: “Born Under a Bad Sign” di Albert King (scritta da Booker T. Jones e William Bell), “Mannish Boy” di Muddy Waters, e i ‘traditional’ “Catfish Blues” e “Bleeding Heart” (di Elmore James). In aperture “Hear My Train A-Comin”, scritta dallo stesso Jimi e nota anche col titolo “Getting My Heart Back Together Again”, eseguita spesso in concerto tra il 1969 e il 1970, viene proposta nella versione originaria incisa su un nastro di prova con chitarra acustica a 12 corde; ritroviamo il brano poi in chiusura dell’album in una differente versione elettrica dal vivo, acida e dilatata, registrata il 30 maggio 1970 al Berkeley Community Theater. Questo pezzo era già noto ai fan per essere stato inserito nel 1971 in uno dei primi album usciti postumi di Hendrix, “Rainbow Bridge”. C’è “Red House”, uno dei cavalli di battaglia di Jimi nei concerti dal vivo, proposta nella versione che corrisponde a quella mono (ma rimixata) presente nella versione europea di “Are You Experienced?”, senza però contenere la coda strumentale del brano, “Once I Had a Woman” è un lento del chitarrista, “Jelly 292” è un’alternate take di “Jam 292”, pezzo pubblicato postumo su “Loose Ends” nel 1974, mentre “Voodoo Chile Blues” venne registrata durante le ‘session’ di “Electric Ladyland”, ad anticipare la definitiva “Voodoo Chile”, e “Electric Church Red House” è più che altro un’improvvisazione del chitarrista risalente al 1968. Tra le cover di pezzi blues prima indicate “Born Under a Bad Sign” è una jam strumentale incisa assieme alla Band of Gypsys, mentre “Mannish Boy” mescola il classico di Muddy Waters e un altro standard del blues, “I’m a Man” di Bo Diddley.
First Rays of the New Rising Sun”, nell’ambito della discografia postuma di Hendrix, riveste un ruolo particolarmente importante poiché, anche se disponibile per la prima volta in forma ufficiale solamente nel 1997, si tratta dell’album cui il chitarrista di Seattle stava lavorando (e quasi pronto per uscire) al momento della sua prematura morte, avvenuta nel settembre 1970, e che sarebbe stato il quarto nella sua discografia ufficiale dopo “Are You Experienced?” (12 maggio ’67), “Axis: Bold As Love” (1 dicembre ’67) e il doppio “Electric Ladyland” (25 ottobre 1968); quinto se si vuol considerare pure il Live “Band Of Gypsys” (pubblicato il 25 marzo 1970). Il progetto però venne messo da parte e in seguito è stato ‘arduo’ ricomporre correttamente la scaletta dei brani che Jimi aveva in animo di assemblare. A fare chiarezza sulla volontà di Hendrix ha provveduto la sua famiglia che ha curato la supervisione e gestito la pubblicazione del disco ventisette anni dopo. Jimi, si sa, stava vivendo in quel 1970 un periodo di grande creatività che lo portò a registrare materiali su materiali sempre spinto dal desiderio di ampliare i propri orizzonti musicali, e in estate aveva iniziato a pensare ad una bozza della scaletta per un nuovo disco che egli avrebbe voluto all’altezza del rivoluzionario “Electric Ladyland”; anche questo doppio (se non addirittura triplo) – contro il volere del suo manager e dei suoi discografici che ritenevano un singolo più appetibile per il mercato –, avendo Jimi individuato circa venticinque brani. Fatto è che molti dei pezzi selezionati finirono sui primi tre album pubblicati dopo la morte, “The Cry Of Love” e “Rainbow Bridge” del ‘71, “War Heroes” del ‘72. A gestire in malo modo le uscite discografiche, e generando solo confusione su confusione, aveva provveduto – come detto in precedenza – Alan Douglas. Con il ritorno dei diritti di sfruttamento nelle mani della famiglia di Hendrix nel 1995 fu Eddie Kramer, il tecnico di studio originario, ad occuparsi dell’assemblaggio d’una scaletta il più fedele possibile alle intenzioni di Jimi, per quello che oggi si configura ai nostri occhi come il disco che avrebbe dovuto essere il quarto della discografia ma che non venne pubblicato. “First Rays of the New Rising Sun” era stato uno dei possibili titoli che Jimi aveva preso in considerazione ma non fu l’unico, aveva pensato anche a “People, Hell and Angels” (che successivamente è stato accostato ad un altro disco concepito da Kramer) per un eventuale disco aggiuntivo (da pubblicare a breve distanza da “First Rays” se questo fosse stato doppio invece che triplo) o a “Strate Ahead”. Quello che a noi appare chiaro, ascoltando “First Rays of the New Rising Sun”, è che Hendrix stesse rielaborando in modo personalissimo, come ci aveva abituati con i suoi dischi ufficiali, alcune delle sue radici ‘nere’ funk e soul (“Freedom”, “Izabella”, “Night Bird Flying”, “Drifting”), non trascurando ovviamente la ‘stella polare’ del Blues, sempre trasfigurato a modo suo (la ‘cosmica’ “In From The Storm”); il risultato è un disco emozionante per tutto il background che lo ha accompagnato, da ascoltare in religioso silenzio.
Miami Pop Festival” contiene una delle innumerevoli e ben documentate (si su disco che su DVD & Blu-Ray) esibizioni dal vivo di Jimi Hendrix, utile una volta di più – qualora ce ne fosse ancora bisogno – a ribadire l’assoluta grandezza di un artista unico e seminale, e dal talento sconfinato. Sappiamo bene come la dimensione Live renda merito alla ‘Mitologia’ del chitarrista mancino e siamo a conoscenza dell’incessante attività in concerto condotta. Più in dettaglio questo album riporta la performance live del 18 maggio 1968 nella formazione storica in trio assieme a Noel Redding al basso e Mitch Mitchell alla batteria. Il materiale proposto fa riferimento principalmente all’album di esordio del Jimi Hendrix Experience, “Are You Experienced?”, mentre da “Axis: Bold As Love”, uscito pochi mesi prima, figurano solamente “Tax Free” e “Hear My Train A Comin’”. “Miami Pop Festival” non è certo uno dei dischi imperdibili di Jimi Hendrix ma è utile soprattutto a coloro che amano i Live o a quelli che vogliono completare la discografia dell’artista.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 


(immagini per cortese concessione della Experience Hendrix/Legacy/Sony Music)

 

HENDRIX IN THE WEST
(Experience Hendrix/Legacy/Sony Music)
Disco 1 Lato A
1. The Queen (Traditional) – 2:59
2. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (John Lennon, Paul McCartney) – 0:50
3. Little Wing – 3:52
4. Fire – 3:58
5. I Don’t Live Today – 7:21
Disco 1 Lato B
6. Red House – 13:12
Disco 2 Lato A
7. Johnny B. Goode (Chuck Berry) – 4:43
8. Lover Man – 3:00
9. Blue Suede Shoes (Carl Perkins) – 4:27
Disco 2 Lato B
10. Spanish Castle Magic – 10:14
11. Voodoo Child (Slight Return) – 10:40

 

Dettagli delle registrazioni:
Tracce 1, 2 registrate al festival dell’Isola di Wight la mattina del 31 agosto 1970.
Traccia 3 registrata a Winterland, San Francisco, California. 12 ottobre 1968 2° show.
Tracce 4, 5, 6, 7, 11 registrate alla San Diego Sports Arena, San Diego, California il 24 maggio 1969.
Traccia 8 registrata al Berkeley Community Theatre il 30 maggio 1970, 1° show.
Traccia 9 registrata al Berkeley Community Theatre il 30 maggio 1970, 2° show.
Traccia 10 registrata al Berkeley Community Theatre il 30 maggio 1970, prove pomeridiane.

 

:BLUES
(Experience Hendrix/Legacy/Sony Music)
Disco 1 Lato A
1. Hear My Train A Comin’ (Electric) (Jimi Hendrix) – 3:05
2. Born Under a Bad Sign (Booker T. Jones, William Bell) – 7:37
3. Catfish Blues (Traditional, arr. Hendrix) – 7:46
Disco 1 Lato B
4. Red House (Jimi Hendrix) – 3:41
5. Voodoo Chile Blues (Jimi Hendrix) – 8:47
6. Mannish Boy (Muddy Waters, Mel London, Ellas McDaniel) – 5:21
Disco 2 Lato A
7. Bleeding Heart (Traditional, arr. Hendrix) – 3:26
8. Once I Had a Woman (Jimi Hendrix) – 7:49
9. Jelly 292 (Jimi Hendrix) – 6:25
Disco 2 Lato B
10. Electric Church Red House (Jimi Hendrix) – 6:12
11. Hear My Train A Comin’ (Live) (Jimi Hendrix) – 12:08

 

FIRST RAYS OF THE NEW RISING SUN
(Experience Hendrix/Legacy/Sony Music)
Disco 1 Lato A
1. Freedom – 3:26
2. Izabella – 2:50
3. Night Bird Flying – 3:50
4. Angel – 4:21
5. Room Full of Mirrors – 3:21
Disco 1 Lato B
6. Dolly Dagger – 4:44
7. Ezy Ryder – 4:07
8. Drifting – 3:48
9. Beginnings – 4:12
Disco 2 Lato A
10. Stepping Stone – 4:12
11. My Friend – 4:36
12. Straight Ahead – 4:42
13. Hey Baby (New Rising Sun) – 6:04
Disco 2 Lato B
14. Earth Blues – 4:21
15. Astro Man – 3:34
16. In From the Storm – 3:41
17. Belly Button Window – 3:36

 

MIAMI POP FESTIVAL
(Experience Hendrix/Legacy/Sony Music)
Disco 1 Lato A
1. Introduction – 1:53
2. Hey Joe (Billy Roberts) – 6:22
3. Foxey Lady (Jimi Hendrix) – 4:32
4. Tax Free (Bo Hansson, Janne Karlsson) – 8:20
Disco 1 Lato B
5. Fire (Hendrix) – 2:47
6. Hear My Train A Comin’ (Hendrix) – 7:41
7. I Don’t Live Today (Hendrix) – 4:49
Disco 2 Lato A
8. Red House (Hendrix) – 12:06
9. Purple Haze (Hendrix) – 4:18
Disco 2 Lato B (Bonus Performances)
10. Fire (show pomeridiano) (Hendrix) – 3:07
11. Foxy Lady (show serale) (Hendrix) – 4:55

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dischi in vinile consigliati da ALLTHATDIGITAL per la vostra videoteca