Soundtracks

SOUNDTRACKS di Ry Cooder

 

 

 

ARTISTA: RY COODER
TITOLO: Soundtracks
ETICHETTA: Rhino/Warner (7 CD)
ANNO: 2014

La carriera di Ry Cooder sui binari delle composizioni per il cinema, pur senza ch’egli avesse preparazione classica tradizionale specifica (dice d’aver imparato molto da Jack Nitzsche) ma con almeno tre vette assolute costituite da “The Long Riders”, “Paris, Texas” e “Crossroads”, non è meno importante di quella inerente lo studio e la ricerca delle root della musica popolare ‘a stelle e strisce‘ o di quelle afro, latino-americane e cubane. Il suono distintivo della sua slide guitar ha contribuito a impreziosire e rendere indimenticabili alcune delle colonne sonore cui ha lavorato. Nel 1970 Ry aveva preso parte come session man alla registrazione di “Performance” (con Mick Jagger attore per Donald Cammell e Nicolas Roeg registi e musiche di Jack Nitzsche, un grande innovatore cui spesso il chitarrista – come detto – si è ispirato). Wim Wenders nell’85 gli ha offerto la possibilità di scrivere una perla assoluta come il soundtrack di “Paris, Texas”, in cui Ry con “Dark Was the Night” ha rielaborato un traditional di Blind Willie Johnson (“Cold Was the Ground”), riportando in auge le sonorità della chitarra bottleneck, ma anche negli altri due capolavori, “I cavalieri dalle lunghe ombre” e “Mississippi Adventure”, dedicato alla figura del leggendario bluesman Robert Johnson, (ovviamente) non mancano riferimenti dotti a radici trascurate o dimenticate. La sinergia condivisa con il regista tedesco si sarebbe ripetuta per “Buena Vista Social Club” – ma questo è un discorso diverso perché in effetti non si tratta di un film ma di un documentario – mentre invece è con Walter Hill che Cooder ha allacciato la collaborazione più proficua e duratura in ambito cinematografico, componendo per il regista ben nove colonne sonore tra l’80 e il ’96, con soddisfazione reciproca. «A Walter Hill piacevano alcuni miei dischi – ha raccontato – e per questo mi chiamò. Lui ebbe il merito di spiegarmi esattamente cosa aveva bisogno da me. I suoi film erano racconti di un ambiente naturale e sociale molto preciso e io con la musica avevo il compito di collocare la storia esattamente dove doveva stare. Un’idea che mi piaceva»; ed ancora (da un’intervista a Panorama): «Ho passato tanti bei momenti con Walter, perché a lui piacevano le stesse cose che piacevano a me. Anche lui pensava che il folk si adattasse bene ai film, ha un suono ideale per trasmettere un certo tipo di sensazione, ne diventa quasi una parte costitutiva. Troppe volte l’orchestra suona un po’ artificiale in alcune pellicole, non la avvertivi come una parte del film». Questo cofanetto, che segue quello analogo dello scorso anno comprendente gli album incisi per la Warner nel periodo 1970-1987 (prezzo economico e mini-replica cartonata delle copertine dei vinili), è parzialmente incompleto: parte dall’esordio con “The Long Riders” dell’80 e si ferma al ’93 con “Trespass”; da Walter Hill a Walter Hill. Oltre a quelle citate ci sono pure le colonne sonore di “Alamo Bay” (dal film di Louis Malle del 1985), “Blue City” (dal film di Michelle Manning del 1986), “Johnny il bello” (“Johnny Handsome”) del 1989 di Walter Hill. Mancano i film per i quali non è stato pubblicato alcun materiale su disco come “I guerrieri della palude silenziosa” (“Southern Comfort”) del 1981, ancora regia di Walter Hill, “Frontiera” (“The Border”) di Tony Richardson del 1982, “Strade di fuoco” (“Streets of Fire”) del 1984 e “Chi più spende… più guadagna” (“Brewster’s Millions”) del 1985, tutti e due questi ultimi firmati ancora da Hill, e quelli successivi al 1993 – “Geronimo”, 1993, di Walter Hill, “Ancora vivo” (“Last Man Standing“), 1996, di Walter Hill, “Crimini invisibili” (“The End of Violence”), 1997, di Wim Wenders, “I colori della vittoria” (“Primary Colors”), 1998, di Mike Nichols – usciti come soundtrack per etichette diverse. A chi gli ha chiesto lumi su una certa affinità evocativa con il sound di Ennio Morricone ha detto con umiltà: «Penso che molti mi abbiano chiamato perché non potevano permettersi il costo del suo genio».

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA