Cinema

IL GRANDE SPIRITO di Sergio Rubini

 

 

 

 
IL GRANDE SPIRITO, WESTERN ITALIANO
 
Il nuovo film di Sergio Rubini ha l’anima di un western (non “all’Italiana”, si badi bene, ma italiano) ed è metafora di quel desiderio di riappropriazione degli spazi vitali, alla luce dello scempio che si sta perpetrando a Taranto con la questione insoluta dell’Ilva.

 

 

 

 

 

 

Sergio Rubini ===Consulta la Filmografia===, alla sua 14esima regia (a quasi trent’anni dall’esordio con “La stazione” del 1990), torna a dirigere (e interpretare) un film dopo il successo ottenuto con “Dobbiamo parlare”; “Il grande spirito” è una commedia amara ambientata nella periferia di Taranto laddove, all’orizzonte si stagliano le inquietanti ciminiere del complesso siderurgico e racconta dell’amicizia nata per caso tra due perdenti, due ‘looser’, interpretati dallo stesso regista-attore e da uno stralunato ma efficace Rocco Papaleo. Siamo in un quartiere periferico di Taranto (il Tamburi) e tre balordi tentano di mettere a segno una rapina in un’abitazione; accade che uno di questi, Tonino detto Barboncino (si comprenderà più avanti, nel corso della visione, il perché di un simile appellativo assai poco lusinghiero), un cinquantenne dall’aria malmessa, in un momento di distrazione dei suoi complici e per una forma di riscatto nei confronti di chi lo sottovaluta e non lo rispetta e lo ha relegato al ruolo di palo, di gregario, si impossessa dell’intero malloppo e fugge via e si inerpica su tetti e terrazze in un percorso verticale. Inseguito dagli altri malavitosi, e dagli altri scagnozzi prontamente allertati, l’uomo viene messo al sicuro – in un vecchio lavatoio condominiale sulla sommità dei tetti – da un personaggio eccentrico, Renato, un uomo solo e visionario che afferma di chiamarsi Cervo Nero, di far parte della tribù dei Sioux e di essere guidato dal Grande Spirito, e che proprio questi gli aveva preannunciato l’arrivo dell’Uomo del Destino. Pur non fidandosi di questo squilibrato che si comporta come un pellerossa Tonino, che nel frattempo è rimasto ferito ad una gamba dopo essere caduto da un’impalcatura (e con il bottino finito sepolto in un vicino cantiere sotto una montagna di pietrisco), decide che il male minore per lui, in quel momento in cui il quartiere è presidiato dai suoi inseguitori e ogni angolo di strada controllato, sia di restare lì nascosto. Imparerà che quel pazzo, che si sente un Sioux e vive emarginato in quel lavatoio, dispone invece di un osservatorio privilegiato sul mondo: gode non solo di uno sguardo dall’alto, che gli altri non hanno, ma ha dalla sua una prospettiva ed una visione diverse, in tutti i sensi. Le loro visioni del mondo così opposte troveranno un punto d’incontro… Sono significative alcune scelte simboliche fatte dal quasi sessantenne regista pugliese di Grumo Appula; la chiave di volta di questa storia che si consuma tra miseria e nobiltà è costituta dalle immagini del complesso siderurgico dell’Ilva, mostrate in apertura, con il coacervo di fornaci e ciminiere fumanti che ‘limitano’ lo sguardo, lo intossicano. Il fatto poi che il film sia quasi per intero ambientato sui tetti vuol offrire un punto di vista alternativo sul mondo, vuole dare maggiore incisività all’idea di quanto sia ‘alto’ il bisogno di riappropriarsi di spazi vitali: uno sviluppo orizzontale che contrasta quello (sempre orizzontale) della strada, dalla quale non si ha la stessa visione d’insieme ampia, lo stesso sguardo, che si gode dall’alto, e ancor più si oppone a quello ‘underground’, sotterraneo, cupo e soffocato, se non addirittura ‘cieco’: arrampicarsi in alto per vedere il mondo da una prospettiva diversa. E gli elementi del western ci sono tutti: l’indiano (metropolitano) Renato, con una fascia rossa intorno alla testa, in perenne lotta contro gli yankee, che sono quelli che hanno inquinato l’aria e il territorio, Taranto vista come una riserva indiana, dove la gente muore come i bisonti, il denaro come veicolo di avidità, banditi a cavallo (nella fattispecie le moto cavalcate dai malavitosi) sparatorie negli altopiani (i tetti), addirittura un cervo (chi vedrà, verificherà), arco e frecce per fronteggiare con astuzia il nemico, il peccato e la redenzione per Tonino. E quando Cervo Nero accende un fuoco ‘purificatore’ si comprende bene dove il regista voglia andare a parare in relazione ai veleni sprigionati dal ‘mostro’ Ilva. Vale la pena ricordare che Taranto è la città con il maggiore indice di mortalità per il lavoro in Italia. Il film segna anche il connubio tra due autori del Sud che hanno trovato un terreno fertile di collaborazione. Mentre Rocco Papaleo ===Consulta la Filmografia=== lo è sempre stato, Sergio Rubini è tornato ad essere molto attivo negli ultimi tempi come attore: “Non è un paese per giovani” (2017) e “Moschettieri del re – La penultima Missione” (2018), dove era Aramis, entrambi diretti da Giovanni Veronesi, e “Il bene mio” di Pippo Mezzapesa. Papaleo invece arriva (anche lui) da “Moschettieri del re – La penultima Missione” (era il bizzarro Athos) e “Bob & Marys – Criminali a domicilio” (2018) di Francesco Prisco, accanto a Laura Morante. L’attore lucano riesce a cogliere lo ‘spirito’ del suo personaggio senza scivolare nel macchiettiamo e restituendoci invece una caratterizzazione quanto mai efficace che consente allo spettatore di apprezzare le sue notevoli qualità interpretative e di affezionarsi al personaggio. Nella conferenza stampa di presentazione del film Sergio Rubini ha posto l’accento sulla vitalità che oggi si avverte nella sua regione: «Qualche decennio fa non c’era alcuna possibilità di venire a girare in Puglia, e i pugliesi nemmeno andavano di moda; la gente della mia terra è stata brava, ha saputo nutrire il seme dell’accoglienza, non ha vissuto l’esperienza del cinema come qualcosa di invasivo». E, a proposito del tema nevralgico del suo film, ha continuato affermando: «Ho mandato al governatore della regione, Michele Emiliano, un video che illustra, per grandi linee, il senso del film, mettendolo in relazione al problema dell’Ilva. Un problema non proprio insignificante, visto che a Taranto c’è la più alta percentuale italiana di morti per tumore». Le interpreti femminili sono Bianca Guaccero, l’ex-compagna Milena, ed Ivana Lotito, un’inquilina del palazzo vessata da un marito violento e pappone, che si ritagliano (più la seconda della prima) ruoli importanti all’interno del film. La fotografia di Michele D’Attanasio accentua i toni lividi, le scenografie degli interni curate da Luca Gobbi esprimono il disagio del vivere in quei luoghi, ed i dialoghi (scritti dallo stesso Rubini assieme a Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini) efficaci, in quel contesto, hanno una forte componente teatrale, le splendide musiche di Ludovico Einaudi, con impressiva circolarità, donano l’adeguato mix di vitalità soffocata e di riflessione indotta. Presentato in anteprima al decimo Bif&st di Bari e prodotto dall’attento Domenico Procacci, “Il Grande Spirito” è una favola, una storia di salvezza, che più che sorprendere lo spettatore con l’incandescenza dei materiali narrativi si propone di lanciare un messaggio ecologico, un monito ed un allerta ambientale al quale non ci si può sottrarre.

 

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

 

 


(immagini per cortese concessione di 01 Distribution)

 

 

 

Il Grande Spirito
(Italia, 2019) 
Regia: Sergio Rubini
Cast: Sergio Rubini (Tonino), Rocco Papaleo (Renato), Ivana Lotito (Teresa), Bianca Guaccero (Milena), Geno Diana (Benedetto), Alessandro Giallocosta (Tommy), Ilaria Cangialosi (moglie di Tommy), Antonio Andrisani (Colella), Cosimo Attanasio (Grossone), Antonia Basta (mamma di Leuccio), Ivan Dario Buono (Pescatore), Pierluigi Corallo (Enzo), Totò Onnis (marito di Teresa), Fabio Scaravilli (Radek), Nicola Valenzano (Leuccio), Serena Tondo (giornalista TG), Tota Pinuccio (signor Sambuca).
Soggetto e Sceneggiatura: Carla Cavalluzzi, Diego De Silva, Angelo Pasquini, Sergio Rubini.
Fotografia: Michele D’Attanasio
Montaggio: Benny Atria
Musica: Ludovico Einaudi
Scenografia: Luca Gobbi
Costumi: Patrizia Chiericoni
Aiuto regia e casting: Gisella Gobbi
Trucco: Luigi Ciminelli
Genere: Commedia
Durata: 113’ min.
Produttore: Domenico Procacci
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 09 maggio 2019