Cinema

I GRANDI REGISTI: DAVID CRONENBERG

 

 

Tema fondamentale della quasi totalità dei film di David Cronenberg è l’ossessione per la ‘mutazione del corpo’, il suo Cinema esplora la ‘bellezza interiore’ ed è portatore di un messaggio cinematografico assolutamente visionario.

 

I suoi film più celebrati occupano lo spazio temporale di oltre trentacinque anni: da “Il demone sotto la pelle” del 1975 al recente “Cosmopolis” passando per opere quali “Scanners”, “Videodrome”, “La zona morta”, “La mosca”, “Inseparabili”, “Crash”, “A History of Violence” o “A Dangerous Method”, per citare solo i più significativi. La trasformazione sembra in effetti il denominatore comune di tutto il cinema cronenberghiano, e Cronenberg è stato il primo regista contemporaneo che abbia trattato il complesso rapporto tra l’esteriorità del corpo e l’interiorità dell’individuo. Ogni film del regista canadese è diventato un ‘cult’ per coloro che ne hanno seguito il percorso artistico fin dai primi lavori e per chi ha imparato ad apprezzarlo ‘strada facendo’. Tutto questo però impone allo spettatore di fare i conti con un linguaggio cinematografico complesso, non sempre facile o di immediata assimilazione; superato un primo livello di elevato e raffinato intrattenimento filmico, si richiede di immergersi (una lettura metalinguistica) fino in fondo nelle ossessioni che i suoi lavori mettono in scena. I temi della malattia, dell’infezione che contamina, della sessualità e della scienza si intrecciano nelle sue opere, Cronenberg scruta e indaga nelle mutazioni genetiche che abitano all’interno dell’essere umano, si interessa all’ossessione per i risvolti oscuri della psiche umana, guarda alla medicina messa a servizio della follia di un singolo individuo, le malformazioni fisiche diventano un fattore estraniante dalla società. Attraverso le scelte estetiche dell’autore, e la sua affascinante poetica, si approda ad una diversa percezione della realtà e differenti piani di realtà si fondono senza soluzione di continuità. Le visioni cronenberghiane richiedono apertura e disponibilità mentali, bisogna avere la capacità di ‘leggere’ tra le pieghe delle immagini i ‘luoghi’ della mente in bilico tra il comprensibile e l’incomprensibile, e bisogna anche essere duttili e disposti a mettere in discussione tutti gli archetipi del cinema, altrimenti l’approccio con il cinema di Cronenberg può trasformarsi in pratica imbarazzante. Così accade pure che, quel progressivo sconfinamento della realtà nell’incubo, molto spesso venga utilizzata la definizione ‘Horror’ in relazione alla maggior parte dei suoi film, ma l’etichetta in sé è davvero riduttiva del peso specifico del corpo filmico del regista. I personaggi dei suoi film affrontano difficoltà e dolori e, in funzione di questi, modificano progressivamente il loro comportamento e la loro morale. Si pensi ad esempio a “La Zona Morta”, opera emblematica ed affascinante, in cui già nell’83 veniva esplicitata con assoluta lucidità la poetica di Cronenberg e si aprono le porte alla galleria dei ‘diversi’ disegnati dal regista. Tratto da un celebre romanzo di Stephen King il film è tra i meglio riusciti tra quelli tratti da un romanzo: dopo essere stato in coma per 5 anni, a causa di un terribile incidente automobilistico, Johnny si risveglia con una facoltà unica: riesce a vedere il passato e il futuro toccando persone od oggetti. Il protagonista, reso con dolente intensità da un magnifico Christopher Walken, al suo ritorno in vita ha perso la fidanzata, gli amici, il lavoro; Cronenberg riesce a raccontare in modo mirabile la solitudine del personaggio, il senso di perdita e di isolamento che la capacità di preveggenza acquisita gli procura, prende per mano lo spettatore, e l’angoscia del protagonista diventa l’angoscia dello spettatore. La trascrizione cinematografica di Cronenberg non è del tutto fedele al romanzo del Re del brivido, ma ne coglie e ne rende alla perfezione lo ‘spirito; tanto che lo stesso Stephen King ha avuto parole d’elogio per il film tali da considerarlo uno dei pochi tentativi riusciti di trasferire sullo schermo il suo universo immaginifico: «Cronenberg ha aggiunto una dimensione alle visioni di Johnny Smith alla quale non avevo assolutamente pensato: cioè ha messo Johnny dentro alle sue visioni. E’ un’idea formidabile». Il film offre buoni momenti di suspense ma senza fare ricorso a sequenze prettamente ‘orrorifica’. Pensiamo anche a “La mosca” dell’86, premio Oscar al trucco, film celebre e riuscitissimo che ha rappresentato la consacrazione a livello internazionale per il regista e che è la sua pellicola più intuitiva e meno difficile da decifrare nel raccontare la metamorfosi, sia fisica che psicologica, di uno scienziato alle prese con esperimenti di teletrasporto. “La mosca” è il remake de “L’esperimento del Dott. K” (del ‘58) di Kurt Neumann (che fa parte di una trilogia di cui fanno parte anche “La vendetta del Dr. K” e “Curse of the Fly”), a sua volta tratto dal racconto “La mouche” di George Langelaan. Il fascino del film è tutto racchiuso nel tema della metamorfosi che ha affascinato nei secoli tantissimi scrittori, da Ovidio a Kafka. Vi si racconta di un giovane e geniale fisico della materia che ha messo a punto una macchina capace di ‘teletrasportare’ la materia, ma qualcosa non va per il verso giusto quando lo scienziato effettua l’esperimento dinanzi ad una giornalista interessata a testimoniare l’accadimento: una mosca si ritrova all’interno della cabina e nel teletrasporto mescola i suoi codici genetici con quelli dello sventurato Seth Brundle, così sul leitmotiv della trasformazione in mostro nella tradizione di Jekyll/mr.Hyde si consuma la moderna trasformazione dell’uomo in mosca, resa nel film con raffinatezza stilistica ed assoluta credibilità per mezzo dell’ottima prova d’interprete di Jeff Goldblum. “Se l’Oscar venisse improvvisamente sconvolto da una ventata di meritocrazia, La Mosca avrebbe i titoli per aspirare a parecchie ‘nominations’ non limitate al campo degli effetti speciali” scriveva Tullio Kezich (da Il filmnovanta: cinque anni al cinema: 1986-1990, Mondadori). Ancora oggi David Cronenberg continua ad esprimere una elevata coerenza stilistica che lo collocano nel novero degli autori più importanti del Cinema internazionale; i suoi film non sono indirizzati alle grandi platee ma a quel nugolo nutrito di appassionati che non guardano ai numeri del box-office bensì alla capacità di coinvolgimento insita in essi.

L’arte é sovversiva perché fa appello all’inconscio. Non sono un freudiano, ma credo nell’equazione “civiltà uguale repressione”. L’arte è a favore di tutto ciò che viene represso. Quindi è contro la civiltà, contro la società con le sue norme stabilite. Più un film è collegato con l’inconscio, più è sovversivo. Come lo sono i sogni“.

David Cronenberg nasce a Toronto, Ontario (Canada), il 15 marzo 1943, figlio di un giornalista e di un’insegnante di pianoforte. La sua adolescenza rimane segnata dalla morte del padre dopo una lunga malattia: un evento che lo segna profondamente. Fin da giovane manifesta la passione per la scrittura di racconti e l’interesse per le scienze naturali. Dopo essersi iscritto ad un corso di scienze naturali all’Università di Toronto opta per una specializzazione in lingua e letteratura inglese. Al Cinema arriva in modo del tutto casuale quando resta colpito da un cortometraggio realizzato da un suo compagno d’università; decide così di noleggiare una cinepresa 16 mm e con questa gira due brevi lavori (“Transfer” nel ‘66 e “From the Drain” nel ‘67). Successivamente Cronenberg lavora per la TV canadese e nel 1975 porta a compimento il suo esordio cinematografico, “Il demone sotto la pelle”, interpretato da una delle grandi protagoniste del cinema horror degli anni Sessanta, Barbara Steele. Già in questo film Cronenberg affronta uno dei temi cari al suo cinema, ovvero le implicazioni negative che la medicina può avere sugli esseri umani, e lo stesso si può individuare nel successivo “Rabid, sete di sangue” in cui ad una giovane donna che riporta ustioni su diverse parti del corpo, a seguito di un incidente d’auto, viene trapiantata della nuova pelle secondo un procedimento messo a punto da un chirurgo; dopo qualche giorno la donna ha una mutazione e si trasforma in un essere assetato di sangue che infetta altre persone con i suoi morsi. “Brood – La covata malefica” (1979) ha toni da insolito e raccapricciante Horror (quando trasforma individui apparentemente fragili in orribili carnefici), è una delle prove più riconducibili al genere horror più classico per Cronenberg anche se rimane piuttosto sconosciuta nel corpo della sua filmografia. A guardarlo oggi – ed a paragonarlo con altri film del genere dell’epoca della sua uscita, il 1979 – si avverte perfettamente come il regista fosse avanti rispetto alla concezione classica di horror. Si tratta di un’opera nella quale ancora non emergono con veemenza gli elementi distintivi della poetica cinematografica del regista canadese. Sono ben chiari comunque le ossessioni per gli anfratti più profondi della mente, per la malformazione fisica che estranea l’individuo dalla società, certe atmosfere d’ambientazione ospedaliera. Al centro della vicenda narrata c’è ancora una volta un dottore senza scrupoli che porta una donna alla follia e pure ad una mutazione genetica. Come detto, piuttosto trascurato nella filmografia di Cronenberg va assolutamente recuperato e valorizzato. Con “Scanners” dell’81, a metà tra horror e fantascienza, in modo originale il regista continua a battere i territori prediletti dei legami ‘inquinati’ tra corpo e mente. ‘Scanners’ sono individui dotati di straordinari e micidiali poteri telepatici, che si scontrano in una lotta all’ultimo sangue schierati su due fronti opposti. C’è nel film una scena ‘cult’ che molti ricordano bene; quella in cui uno scanners fa letteralmente esplodere la testa di un uomo che si vantava di saper leggere nel pensiero. “Videodrome” (1983), con James Woods e la rock-star Deborah Harry, cantante dei Blondie, è opera quanto mai visionaria, storia del direttore di un’emittente privata che intercetta casualmente un programma ‘estremo’ in cui vengono seviziate e uccise delle giovani donne. La curiosità che suscita in lui la scoperta finirà per coinvolgerlo in un progetto terribile che prende la forma di un incubo delirante ed autodistruttivo. De “La Zona Morta” abbiamo detto come pure de “La mosca”, il primo realizzato da Cronenberg (è prodotto da Mel Brooks) con un budget importante. Due anni dopo, esce il disturbante “Inseparabili” (1988), che rappresenta uno dei capolavori del regista; racconta il morboso e progressivo mescolarsi delle personalità di due gemelli, famosi ginecologi (entrambi interpretati da uno straordinario Jeremy Irons) che alla fine si distruggono a vicenda per sofferenza e per l’impossibilità di separarsi; la scintilla del rapporto che si incrina e della loro discesa agli inferi si accende quando il più fragile dei due si innamora di un’ attrice, conosciuta per una cura. È  un film terribile e raccapricciante ma anche (a suo modo) straordinariamente poetico. Negli anni Novanta, David Cronenberg ha diretto altri film ‘fuori dagli schemi’; “Il pasto nudo” (1991), ispirato da uno dei romanzi chiave della beat generation opera di William Burroughs, incubi sotto gli effetti della droga, “M. Butterfly” (1993), film sull’ambiguità sessuale in cui un incredibile Jeremy Irons, diplomatico francese nella Cina del 1964, si trasformerà gradualmente da eterosessuale a omosessuale, trovando poi la morte, a causa delle sue ossessioni, “Crash” (1996), dal romanzo di James G. Ballard, che mette a nudo il piacere ‘estremo’ che si raggiunge attraverso perversioni che sfidano la morte, la morte diventa il culmine del desiderio sessuale: il film ottiene un grande successo di critica vincendo il Gran Premio della giuria a Cannes. Poi “eXistenZ” (1999) che è un ritorno alle ‘maniere’ dei suoi primi film. “Spider” (2002, tratto dall’omonimo romanzo di Partick McGrath) è un altro film ‘difficile’, ‘kafkiano’, che trasmette grande tensione allo spettatore; è la storia di un uomo affetto da gravi problemi mentali che deve ricostruire il suo passato per dare un significato ad un’esistenza che gli è sfuggita di mano: qui la mutazione della mente, la follia e la solitudine umana, sono il tema centrale. “A History of Violence” è probabilmente il suo film più leggero (e probabilmente più commerciale), quello che si discosta dai suoi titoli più noti, racconta la vita di una tranquilla ed affiatata famiglia di una delle numerose provincie americane. Una normalità che deflagra dopo una rapina al fast food gestito dal capofamiglia, durante la quale restano uccisi i rapinatori, e che trasforma Tom (questo il suo nome) in un piccolo eroe mediatico americano; ma una sconvolgente rivelazione si cela dietro l’angolo… “A History of Violence” tratta dell’impossibilità di uscire dal circolo obbligato della violenza, quando questa rappresenta l’unico elemento di legittimazione sia sociale che individuale (un punto di vista che è paradigma più legato al classico western). Con “A Dangerous Method” del 2012 Cronenberg porta avanti il discorso metaforico sulla malattia, sulla degenerazione (del corpo e della psiche), sulla deviazione patologica, soffermandosi sul tema della malattia mentale nel ripercorrere il triangolo (non solo) intellettuale tra Sigmund Freud,  il padre della psicanalisi, Carl Gustav Jung, il suo più celebre allievo, e Sabrina Spielrein, prima paziente poi amante di Jung. Che è qualcosa di più complesso di una semplice trama che ricostruisce fatti e personaggi storici, ma rappresenta pure una metafora del crollo di una serie di certezze della cultura occidentale nei primi decenni del XX° secolo. Il suo film più recente, Cosmopolis”, tratto all’omonimo romanzo di Don De Lillo, in tempi di ‘depressione’ economica e non solo, si incentra sulla Crisi che colpisce la società occidentale e aliena le coscienze, e nonostante questo tema generalizzato Cronenberg continua a fare un cinema di corpi, che vivono il disagio dei tempi. Tante le metafore che uno spettatore più preparato vi può cogliere. Eric Packer (lo interpreta l’ex-vampito Robert Pattinson) è un uomo d’affari 28enne che si è arricchito speculando in borsa; deve raggiungere il suo barbiere all’altro capo di New York in una giornata campale per il traffico cittadino, la sua limousine rimane intrappolata tra le altre automobili ma lui continua a ‘vivere’ nell’abitacolo della sua auto, in una sorta di Odissea metafisica, seguendo la Borsa, ricevendo visite, e quant’altro, in una dilatazione estrema dello Spazio e del Tempo.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

(immagini per cortese concessione di 01 Distribution & CG Home Video)

 

 

i Blu Ray e i DVD:

RABID, SETE DI SANGUE (DVD)
Rabid
Canada, 1976, 87’
Regista: David Cronenberg
Cast: Marilyn Chambers, Joe Silver, Howard Ryshpan, Patricia Gage, Frank Moore.
Video: 1.85:1 (anamorfico)
Audio: Italiano, Inglese Dolby Digital 5.1
Distributore: Pulp Video/CG Home Video
Extra: