I GRANDI REGISTI: ALFRED HITCHCOCK

 
 
Per lungo tempo Alfred Hitchcock è stato etichettato semplicemente come il ‘Maestro del Brivido’! Un riconoscimento per certi versi lusinghiero, se messo in relazione alla connaturata carica di suspense presente nei suoi lavori, ma fortemente riduttivo se si è concordi nel riconoscere, come ha fatto la critica (con colpevole ritardo) negli ultimi decenni, al regista inglese lo status autorevole di ‘Maestro’ del Cinema. Uno dei più grandi dell’intera sua storia.
 

 

 

 

Il mercato del Blu-Ray si apre ad un Maestro assoluto qual è Alfred Hitchcock, figura imprescindibile della Settima Arte. La pubblicazione di un pregevole cofanetto in Blu-Ray dei suoi film per la Universal, che sono poi i più importanti della sua filmografia, ci permette di tracciarne il profilo artistico e indicare alcuni degli aspetti più interessanti della sua poetica cinematografica ma anche parlare della sua ineguagliabile personalità.

I suoi film, non hanno solo concorso a rendere il Cinema un’arte, ma hanno lasciato tracce indelebili nella nostra memoria collettiva. Alcune immagini prodotte dal suo talento sono patrimonio acquisito della nostra cultura moderna ed imprescindibile punto di riferimento per le nuove generazioni di cineasti che lo hanno seguito e che devono fare i conti con il passato. Hitchcock non ha mai vinto l’Oscar come miglior regista perché all’epoca il suo cinema veniva sostanzialmente discriminato e relegato in un genere, quello giallo – che restava comunque l’elemento dominante, il suo marchio di fabbrica – che non aveva (o che non si credeva avesse) i necessari requisiti di qualità per concorrere. Non si tratta però di film comuni anche se risultano ben comprensibile agli occhi degli spettatori. Ma, in effetti, sono i vari livelli di lettura che si possono adottare a fare la differenza. Sia quando raccontano le ossessioni della psiche (“Io ti salverò”, “Marnie”, “La donna che visse due volte”, “Psyco”) o gli incubi ad occhi aperti (“Gli uccelli”), sia quando percorrono i sentieri del thriller più sofisticato (“La finestra sul cortile”, “Notorius”, “L’uomo che sapeva troppo”), i suoi lavori ci proiettano in una dimensione sconosciuta, inquietante ed affascinante allo stesso tempo, sempre pervasa da una dose di ironia che ci aiuta a stemperare la tensione, ma capaci anche di indicarci ‘meraviglie’ che scavalcano la pura e semplice fruizione emotiva della narrazione. «Non giro mai un quadro di vita vissuta – affermava – perché quello la gente può benissimo trovarlo a casa sua o in strada e persino davanti l’ingresso del cinema. Non c’é bisogno di pagare il biglietto per vedere una ‘fetta’ di vita vissuta». Un incredibile filmografia che si estende dal 1925 al 1975, comprendente nove film muti, quattordici film ‘inglesi’, trenta film ‘americani’, due cortometraggi bellici, due serie televisive (“Sospetto” e “Hitchcock presenta”) realizzate alla metà degli anni cinquanta, trentasette apparizioni in persona, sparpagliate qua e là per la gioia dei cinemaniaci, ci offrono un’indicazione numerica della straordinaria carriera del regista inglese. “La Donna che Visse due Volte”, “Gli Uccelli”, “Marnie”, “Psyco”, “La Finestra sul Cortile”, “L’Uomo che Sapeva Troppo”, “Intrigo internazionale” sono oggi considerati film di fondamentale importanza per tutti gli appassionati di cinema. Il famosissimo profilo stilizzato del regista fu in realtà disegnato dallo stesso Hitchcock per un biglietto di auguri di Natale spedito mentre viveva ancora in Inghilterra. Fu un tipo bizzarro e strano, dipinto come un giocherellone sempre pronto alla battuta ed allo scherzo (sono tanti gli aneddoti che lo ricordano in questa veste; uno ad esempio riguarda le sue disposizioni per l’iscrizione sulla sua tomba: ‘Questo è quello che riserviamo ai bambini cattivi’); invece dotato di una personalità assai più complessa e dai risvolti drammatici, snobbato perennemente dai critici che lo consideravano autore di serie B. Vale la pena di ricordare un episodio traumatico della sua infanzia che certamente deve averlo segnato e reso insofferente a qualsiasi forma di autorità, sprezzante e insofferente al punto di spingerlo a far penare il pubblico tenendolo con il fiato sospeso. Aveva appena cinque anni quando il padre, per punirlo di una infrazione, lo spedì da un suo amico, capo della polizia, con un biglietto in cui gli chiedeva di metterlo in gattabuia per cinque minuti, giusto il tempo di dargli una lezione. La paura della polizia poi lo avrebbe accompagnato per tutta la vita e suggerito più di un argomento per i suoi film. Era nato a Leytonstone, Londra, il 13 agosto 1899, aveva ricevuto una rigida educazione presso i gesuiti – che però a suo dire gli aveva insegnato a pensare in maniera estremamente ordinata e organizzata –, i primi film realizzati in Gran Bretagna a cavallo tra cinema muto e quello sonoro; per “La signora scompare” (1938) riceveva il premio come miglior regista dall’Associazione dei Critici Cinematografici di New York e dopo questo successo il produttore David O. Selznick gli offriva un contratto convincendolo a trasferirsi ad Hollywood, dove realizzava immediatamente il primo grande capolavoro, “Rebecca, la prima moglie” con Joan Fontaine e Laurence Oliver, premiato con l’Oscar come miglior film e migliore fotografia. Intanto cominciava a prendere l’abitudine di fare delle piccole apparizioni nei suoi film – solitamente all’inizio per evitare che gli spettatori si distraessero durante la visione alla ricerca del regista – e questo vezzo scaramantico resterà negli anni una costante del suo cinema. Seguirono altre pellicole memorabili come “Il sospetto”, “I prigionieri dell’oceano“, “Io ti salverò” (che racconta di un’ossessione infantile che sconvolge la personalità di un medico) con la coppia Ingrid Bergman e Gregory Peck, “Notorius, l’amante perduta” (ancora la Bergman, questa volta però con Cary Grant), “Il caso Paradine”. Gli anni Cinquanta sono gli anni della piena maturità e della grande creatività avviati con “Nodo alla gola” (del 1948), che è il suo primo film a colori, una vera sfida agli standard cinematografici con quell’unico ambiente nel quale si svolge l’azione ed il lunghissimo piano sequenza che dura per tutta la sua lunghezza. Hitch riesce a far capolino come un passante che attraversa la strada subito dopo i titoli di testa. Mai banale, mai approssimativo, capace di conciliare le ragioni dell’industria (aveva in alta considerazione il non far perdere mai denaro ai suoi produttori e a se stesso) con quelle dell’intelligenza, una sofisticata costruzione con il semplice e diretto piacere del ‘testo’. L’essenza del suo metodo era che egli, fin dall’inizio, aveva già tutto il film in testa. Dopo di che lo metteva nero su bianco e iniziava le riprese, sempre attento agli aspetti artigianali del lavoro cinematografico. Era solito dire che soltanto nella fase del sonoro ‘entrava nell’area del compromesso’ per far intendere cioè che il film come lo aveva concepito nella sua testa era per lui ben più soddisfacente di quello completo di tutti gli orpelli (sonoro, montaggio, fotografia, interpreti etc.) anche se poi, comunque, amava curare le varie fasi tecniche dei suoi film in prima persona, a dimostrazione della continua ed esasperata ricerca della perfezione. Abile manipolatore di paure cinematografiche in virtù di una maestria tecnica stupefacente, profondo conoscitore degli strumenti tecnici ed attento ad ogni innovazione del settore, rigoroso come un matematico nella stesura degli storyboard, ha realizzato pellicole infarcite di sequenze da antologia, di finezza narrativa unica. La sua filosofia era semplice ed oggi troppo spesso trascurata. Ad esempio, la sua famosa massima sulla superiorità della suspense rispetto allo shock che il regista così sintetizzava: «Mi rifaccio a una vecchia analogia, quella della bomba. Tu ed io stiamo seduti qui a parlare. Una conversazione banale, del tutto priva di significato. Noiosa. Improvvisamente, bum!, esplode una bomba. Il pubblico rimane scosso per quindici secondi. Proviamo ora a cambiare metodo. Giriamo la stessa scena mostrando che la bomba è stata collocata in un luogo preciso. Facciamo vedere che esploderà all’una in punto. Ora è l’una meno un quarto, poi l’una meno dieci – inquadriamo un orologio appeso al muro, poi torniamo sulla stessa scena. A questo punto, la nostra conversazione diventa di un interesse vitale, nella sua estrema banalità. Dai, guarda sotto il tavolo, cretino! Ecco che il pubblico, anziché essere sorpreso per quindici secondi, partecipa attivamente per dieci minuti». Quando Peter Bogdanovich, all’epoca in cui era un critico cinematografico, gli chiese se non avesse la curiosità di sedersi al buio di una sala cinematografica dove si proiettava un suo film, per godere il sottile piacere di udire il pubblico gridare di paura, egli rispose che non ne aveva bisogno perché: «Li sento già mentre giro il film!». I temi preferiti dal regista, e sui quali ha costruito il meglio della sua produzione, sono quelli che si innescano sulle paure più profonde dell’individuo; e cioè  l’angoscia (magistralmente trasmessa agli spettatori) e la colpa (presunta o reale dei protagonisti), argomenti che ruotano intorno al sospetto, alla minaccia, al complotto e all’innocenza perseguitata dagli eventi contrari. In effetti ha utilizzato il thriller unicamente come strumento della propria poetica. Riuscire a creare la ‘suspense’ (egli ha sancito) non è cosa scontata a priori; farlo (con risultati apprezzabili) richiede un’abilità ed una conoscenza approfondita dei mezzi a disposizione (ed un buon senso del ritmo), che non sono qualità alla portata di tutti. Ed il regista inglese, pur senza contare sulla quantità di effetti speciali oggi disponibili, in questo senso è stato un vero precursore. Basti pensare, ad esempio, a come egli riuscisse ad alimentare la suspense semplicemente collocando in primo piano, dinanzi alla cinepresa, un telefono di dimensioni molto maggiori del normale, e tale da rendere più inquietante e sinistro il suo trillo al servizio delle necessità narrative. Oppure come ne “Il sospetto”, del 1941, in una sequenza da antologia, quando un bicchiere di latte, forse avvelenato, veniva illuminato per mezzo di una lampadina immersa nel suo interno. O anche capace di sconvolgere qualsiasi regola narrativa, come quando faceva morire Janet Leigh dopo soli 40 minuti dall’inizio di “Psyco”. Tanti i capolavori nei ‘50, a partire da “Il delitto perfetto” (1954), originariamente concepito in 3D, “La finestra sul cortile” dalla perfetta sceneggiatura, con l’incantevole Grace Kelly ed uno degli attori preferiti di Hitch, James Stewart, l’inquietante e stupefacente “La donna che visse due volte” (1958, conosciuto anche con il titolo originale di “Vertigo”). Il film è uno dei cult movie più acclamati della storia del cinema, meccanismo perfetto contenente gran parte dei temi cari al regista. Ha fatto dire a Scorsese: «E’ un esempio di come sia possibile fare un film dentro le regole dello ‘studio system’ e, allo stesso tempo, realizzare un film d’autore. Un esempio di storia ben raccontata, con personaggi magistralmente definiti, che ostentano una psicologia complicata ma non ‘bergmaniana’. “Vertigo” è la dimostrazione di come si possa realizzare un film appassionante e profondo allo stesso tempo e resta una lezione importante per i registi attuali». Nella forma è un’appassionata storia d’amore ambientata negli scenari (poi resi celebri dal film) di San Francisco, con Kim Novak, oggetto del desiderio per James Stewart. Hitchcock vedeva il soggetto del film che andava a realizzare come «la storia di un personaggio, il detective John Scottie Ferguson, che soffre di vertigini acute; viene incaricato da un amico di sorvegliarne con discrezione la moglie Madeleine che sembra soffrire di istinti suicidi ed è ossessionata dalla storia di un suo antenato. In un primo tempo l’eroe segue la donna senza farsi notare, poi la salva da un tentativo di suicidio e si innamora di lei, ma non riesce, per colpa delle sue vertigini, a salvarla una seconda volta, quando ella si lancia nel vuoto dalla sommità di un edificio. L’uomo, ossessionato dal senso di colpa per non essere riuscito ad impedire il suicidio della donna, poco dopo conosce una ragazza che sembra la sosia perfetta di Madeline, Judy, ma con una personalità molto diversa, e si sforza morbosamente di farla diventare come il suo amore perduto, la fa vestire nello stesso modo, le fa tingere i capelli e così via. Alla fine scopre di essere stato l’involontario strumento di un omicidio e che le due ragazze sono la stessa persona; così la perde di nuovo, e questa volta per sempre». Tratto da un romanzo di due scrittori francesi che lavoravano in simbiosi, Pierre Boileau e Thomas Narcejac, dal titolo “D’entre les morts”, il film è inquietante e si muove tra erotismo e necrofilia; vi si mescolano con una tecnica perfetta una storia d’amore, una ‘gialla’, una che esalta l’ambiguità del ‘doppio’, una psicoanalitica nei meandri della mente dei protagonisti e, di rimando, in quella del regista. Infatti, con il tormentato e cupo romanticismo di cui è pervaso, ha valenza psicoanalitica per il suo stesso autore che, nel riproporre maniacalmente (qui come in gran parte dei suoi film) il prototipo femminile di donna bionda, algida e sensuale, probabilmente vuol riferirsi ad un antico amore frustrato nei suoi sentimenti, arricchendolo continuamente di connotazioni che indicano puntualmente un’unica tipologia femminile. Orson Welles ha definito il Cinema il più bel giocattolo che sia mai stato regalato ad un bambino, Fellini lo ha visto come un immaginario teatro in cui estrinsecare le proprie fantasie e renderle palpabili mentre per Hitchcock, tra le altre cose, era il mezzo per cui un uomo in preda a sensi di colpa può superare le proprie difficoltà manipolando le altre persone. Sì, perche il regista aveva una vera predilezione per le attrici dai capelli biondi. Oltre alle citate Grace Kelly e Kim Novak utilizzò Eva Marie Saint (“Intrigo internazionale”), Tippi Hedren (“Gli uccelli, “Marnie”), Janet Leigh (“Psyco”), Ingrid Bergman (“Notorius”), Doris Day (“L’uomo che sapeva troppo”).  «E’ bello – ha affermato una volta – essere misteriosi, ma non si possono ingannare gli spettatori». Per “Vertigo” egli aveva in animo di trasformare lo shock della narrazione in suspense, e trasformare il film in un lavoro sull’illusione, sull’ossessione cui si può giungere partendo dalla realtà. Il gioiello espressivo realizzato in questa occasione dal regista è stato quello di rivelare quasi subito agli spettatori l’identità della seconda ragazza, contravvenendo le (presunte) regole narrative del ‘giallo’, ma avendo ben chiaro quello che voleva dare ai suoi affezionati spettatori, e cioè che se essi avessero saputo certe cose molto in anticipo rispetto al protagonista, le loro menti avrebbero chiaramente simpatizzato per lui e previsto le sue reazioni e quelle della donna; in altre parole, avrebbero saputo con chiarezza che cosa passava per la testa dei due personaggi, e proprio in questo si annidava il vero dramma”. Kim Novak è perfetta, con il suo celeberrimo golfino verde, nel dar vita al fascino misterioso di Madeline/Judy e rappresenta il prototipo dell’immaginario hitchcockiano femminile. E’ celebre la scena in cui Stewart guarda nella tromba delle scale del campanile: per rendere la sensazione della vertigine in ‘soggettiva’, il regista ricorse ad un autentico prodigio tecnico per l’epoca, realizzando una carrellata indietro combinata ad una zoomata in avanti. Saul Bass è stato il disegnatore ed autore dei titoli di testa (anche per “Psyco” e “Intrigo internazionale”), che vi raccomandiamo di non perdere, oltre che del celebre poster. E’ ancora oggi un regista che ha influenzato generazioni di autori, i quali hanno imparato se non la maestria il gusto di raccontare. Basta un’immagine, un’invenzione, un’idea del suo cinema (e che sono diventate patrimonio comune) per accendere la scintilla dei tentativi dotti di emulazione nei suoi discepoli dichiarati (Claude Chabrol, Brian De Palma, Dario Argento). Pensate per un po’ a quale mirabile esercizio stilistico sottoponga gli spettatori con “La finestra sul cortile”! Quale più efficace metafora può esserci dello spettatore cinematografico, in posizione privilegiata dinanzi al grande schermo, di quella descritta dalla condizione di James Stewart, il fotografo costretto all’immobilità nel proprio appartamento, curioso di sbirciare negli appartamenti altrui con il suo cannocchiale? «Qui la sfida – ebbe a scrivere Truffaut – era di girare un film attenendosi all’unità di luogo e a un unico punto di vista, quello di James Stewart. Non vediamo che quello che vede lui, da dove lo vede lui, nello stesso momento in cui lo vede. Ciò che potrebbe essere una scommessa austera e teorica, un esercizio di freddo virtuosismo, diventa in realtà uno spettacolo affascinante grazie all’invenzione continua che ci inchioda alla nostra poltrona esattamente come Stewart è bloccato dalla sua gamba ingessata». Del 1960 è “Psyco” che rappresenta nella storia del Cinema, e in particolare in quello del Thriller, un autentico spartiacque, è stato il primo film ad introdurre elementi psicoanalitici forti per gettare una luce sinistra sulla schizofrenia e le deviazioni della personalità in cui incorrono i protagonisti negativi di tante storie cinematografiche; e senza ombra di dubbio ha precorso i tempi e dato la stura a tutta una serie di film traboccanti di impulsi omicidi, di serial-killer (dei quali Norman Bates è il padre acclarato) e voyeurismo che hanno costellato la cinematografia degli ultimi 40 anni. E’ vero che Hitchcock aveva già trattato le turbe della psiche in film come “Io ti salverò” e “Marnie”, ma lo aveva fatto, sì con autorevolezza, ma in maniera lieve; “Psyco” ha rappresentato un vero e proprio pugno nello stomaco per gli spettatori nei Sessanta, uno scavo nei meandri più reconditi della psiche umana. Al punto da meritare nel tempo, alla luce di una consapevole ed organica rilettura dell’intera opera hitchcockiana, d’essere incluso tra i capolavori cinematografici di ogni tempo nonostante la cruda tematica. Film di grande attrattiva spettacolare, sensuale e violento come mai ne erano stati prodotti in precedenza, ritratto crudo della follia celata sotto le vesti mentitrici della normalità, “Psyco” chiude idealmente lo straordinario ciclo di film diretti dal maestro inglese negli anni ’50. La scena della doccia montata e girata da Hitchcock tutta a pezzi (riprese oblique, primi piani veloci e campi medi in rapida successione) per non dare allo spettatore punti di riferimento, e che crea la sensazione forte della violenza compiuta sulla vittima senza mostrare in effetti quasi nulla, è diventata un ‘cult’ per ogni appassionato di Cinema. Una serie di dati possono servire a descrivere la sua perfezione maniacale: per i quei celebri 45 secondi della scena della doccia, ha utilizzato ben 72 posizioni di telecamera e 7 giorni di lavorazione. Il regista Gus Van Sant nel 1999 ha realizzato un eccellente remake, vero atto d’amore, compiendo l’operazione inusuale di riproporre il film perfettamente uguale all’originale, a colori invece che in bianco e nero e con attori diversi, rispettandone con rigore filologico la sceneggiatura originale. E poi “Gli uccelli“, anche questo uno dei capolavori assoluti del cinema mondiale e tra i suoi più famosi; assimilabile ad un incubo da fantascienza – Hitch ribalta, con una provocatoria metafora, il semplice assunto che solitamente ci fa vedere gli uccelli in gabbia, e costringe invece gli esseri umani ad essere ingabbiati e minacciati dai volatili all’esterno – arricchito da 350 effetti particolari, straordinario per tecnica e trucchi. Non c’è musica, ci sono solo i rumori della natura, i venti, le maree, la bufera, gli stridii degli uccelli, le voci degli animali. E che dire del delizioso “La congiura degli innocenti” (da un testo di Trevor Story), nel quale, in un piccolo centro di provincia viene trovato un cadavere e un certo numero di abitanti è convinto d’essere l’assassino? Fatto sta invece che l’uomo era morto d’infarto. Ma al suo cadavere avevano mirato con armi proprie e improprie, credendo l’uomo addormentato, tutti quelli che avevano ragione di odiarlo o temerlo. E “Caccia al ladro”, elegante sia nella forma della narrazione filmica che per la presenza di due attori cari al regista come Grace Kelly e Cary Grant? Il film all’insegna del movimento per sfruttare al meglio il nuovo sistema messo a punto dalla Paramount, il VistaVision, in grado di dilatare l’inquadratura e migliorarne la definizione, producendo immagini di grande effetto spettacolare, e che Hitch era ansioso di sperimentare. Si è detto delle critiche. In effetti Hitchcock era stato sempre assai suscettibile verso ogni tipo di critica, che in qualche maniera lo costringeva al confronto ma è anche vero che forse nessun altro grande regista è stato così spesso bersagliato, sottovalutato, stroncato dai critici, per tutta la durata della sua carriera. Nel primi Anni 50 si deve alla Nouvelle Vague francese la rivalutazione della sua grandezza, ma solo dopo la pubblicazione, sotto forma di un libro (“Il cinema secondo Hitchcock”) nel 1967, di un’intervista-fiume concessa a Francois Truffaut le opinioni comuni cominciarono a mutare nei suoi confronti ed i suoi film guardati sotto una luce diversa. Ma Hitchcock era ormai giunto quasi alla fine della sua carriera. Da allora avrebbe diretto solo altre 3 pellicole, l’ultima delle quali nel 1975, e sarebbe morto a Los Angeles il 29 aprile 1980.

 

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 

 

(immagini per cortese concessione di Universal & Warner Bros.)

 

ALFRED HITCHCOCK: THE MASTERPIECE COLLECTION  La Universal propone il Box Set in tiratura limitata (e bel packaging) con 14 grandi capolavori del regista in Blu-ray di cui 13 mai pubblicati in precedenza in questo formato.  I film di Hitchcock sono stati rimasterizzati in digitale da elementi delle pellicole originali e con immagini e audio in alta definizione, rendendoli disponibili in home video in una qualità senza precedenti. Per “La donna che visse due volte” vale la pena di ricordare che la pellicola è stata restaurata nel 1996 con una spesa di un milione di dollari ed il risultato finale (al pari di quello di “Psyco” che però è in B&N) è davvero apprezzabile. Ci sono oltre 15 ore di Contenuti Speciali con documentari, commenti dei filmaker, interviste, trailer ed un inedito documentario intitolato “The Birds, Hitchcock’s Monster Movie”.

Dettaglio dei Contenuti Speciali:
Sabotatori (1942)
Saboteur: A Closer Look; Storyboards: The Statue of Liberty Sequence; Alfred Hitchcock’s Sketches; Fotografie della produzione; Trailer.
L’Ombra del Dubbio (1943)
Beyond Doubt: The Making of Hitchcock’s Favorite Film; Production Drawings by Art Director Robert Boyle; Fotografie della produzione; Trailer.
Nodo alla Gola (1948)
Rope Unleashed; Fotografie della produzione; Trailer.
La Finestra sul Cortile (1954)
Rear Window Ethics: An Original Documentary; A Conversation with Screenwriter John Michael Hayes; Pure Cinema: Through the Eyes of The Master; Breaking Barriers: The Sound of Hitchcock; Hitchcock-Truffaut Interview Excerpts; Masters of Cinema; Feature Commentary with John Fawell, author of Hitchcock’s Rear Window: The Well-Made Film; Fotografie della produzione; Trailer; Re-Release Trailer Narrated by James Stewart; Blu-ray exclusives: BD Live, Pocket Blu.
La Congiura degli Innocenti (1955)
The Trouble with Harry Isn’t Over; Fotografie della produzione; Trailer.
L’Uomo Che Sapeva Troppo (1956)
The Making of The Man Who Knew Too Much; Fotografie della produzione; Trailer.
La Donna Che Visse Due Volte (1958)
Obsessed with Vertigo: New Life for Hitchcock’s Masterpiece; Partners in Crime: Hitchcock’s Collaborators; Hitchcock / Truffaut Interview Excerpts; Foreign Censorship Ending; The Vertigo Archives; Feature Commentary with Associate Producer Herbert Coleman, Restoration Team Robert A. Harris and James C. Katz, and Other Vertigo Participants; Feature Commentary with Director William Friedkin; 100 Years of Universal: The Lew Wasserman Era; Trailer; Restoration Theatrical Trailer; BD Live, Pocket Blu (Blu-ray Exclusive)
Psyco (1960)
The Making of Psycho; Psycho Sound; In The Master’s Shadow: Hitchcock’s Legacy; Hitchcock-Truffaut Interview Excerpts; Newsreel Footage: The Release of Psycho; The Shower Scene: With and Without Music; The Shower Scene: Storyboards by Saul Bass; The Psycho Archives; Posters and Psycho Ads; Lobby Cards; Behind-the-Scenes Photographs; Fotografie di produzione; Trailer; Re-release Trailers; Feature Commentary with Stephen Rebello (author of Alfred Hitchcock and the Making of Psycho).
Gli Uccelli (1963)
Deleted Scene; Original Ending; The Birds: Hitchcock’s Monster Movie – New! (Blu-ray Exclusive); All About The Birds; Storyboards; Tippi Hedren’s Screen Test; Hitchcock-Truffaut Interview Excerpts; The Birds Is Coming (Universal International Newsreel); Suspense Story: National Press Club Hears Hitchcock (Universal International Newsreel); Fotografie di produzione; 100 Years of Universal: Restoring the Classics; 100 Years of Universal: The Lot; Trailer; BD Live, Pocket Blu (Blu-ray Exclusive).
Marnie (1964)
The Trouble with Marnie; The Marnie Archives; Trailer.
Il Sipario Strappato (1966)
Torn Curtain Rising; Scenes Scored by Bernard Herrmann; Fotografie di produzione; Trailer.
Topaz (1969)
Alternate Endings; Topaz: An Appreciation by Film Historian and Critic Leonard Maltin; Storyboards: The Mendozas; Fotografie di produzione; Trailer.
Frenzy (1972)
The Story of Frenzy; Fotografie di produzione; Trailer.
Complotto di Famiglia (1976)
Plotting Family Plot; Storyboards: The Chase Scene; Fotografie di produzione; Trailer.

 

CACCIA AL LADRO
To Catch the Thief
Usa, 1955, 106’
Cast: Cary Grant, Grace Kelly, Jessie Royce Landis, John Williams.
Video: 1.78:1 / HD 1920x1080p
Audio: Inglese Stereo Dolby True-HD / Italiano, Francese, Giapponese, Tedesco, Spagnolo Mono
Distributore: Paramount / Universal Pictures
Extra: nessuno

 

 

 

 

 

 

 

 

i Libri:

Il Cinema secondo Hitchcock
di François Truffaut
(Il Saggiatore, Milano 2008; 312 pagine, € 11,00)

L’autore dei “Quattrocento colpi” interroga provocatoriamente quello di “Psycho”. Il lungo, appassionante dialogo svela al lettore la vita e le opere di un uomo incredibile e di un regista straordinario. Analizzando la vasta produzione di Hitchcock, i due parlano di invenzioni visive, montaggio, taglio delle inquadrature, narrazione. Ma il discorso sfocia volentieri nella sfera del sogno, dell’eros, delle emozioni e svela la figura enigmatica e geniale di Hitchcock, tanto rigoroso e metodico nella sua arte quanto umorale e lunatico nelle sue relazioni con il mondo.

 

 

 

 

 

Il lato oscuro del genio – La vita di Alfred Hitchcock
di Donald Spoto
(Edizioni Lindau, Torino 2006; 768 pagine, € 30,00)

«Il lato oscuro del genio» è universalmente considerata la biografia «definitiva» di Alfred Hitchcock, l’enigmatico regista inglese autore di alcuni tra i film più celebri, ammirati e amati dell’intera storia del cinema. In essa Donald Spoto esplora le radici profonde delle ossessioni di Hitchcock – per il cibo, l’assassinio, l’amore idealizzato… – e ricostruisce le origini del suo incomparabile e bizzarro genio, dagli anni della fanciullezza e della formazione a quelli del successo americano.

 

 

 

 

Tutti i film di Alfred Hitchcock
di Paul Duncan
(Edizioni Lindau, Torino 2007; 208 pagine, € 14,50)

Hitchcock è uno dei maestri indiscussi del cinema mondiale e questo libro è un ricchissimo vademecum con tutto quello che è necessario sapere sul grande regista inglese: la storia, la filmografia, l’idea ispiratrice, i temi ricorrenti, le trovate visive e quelle sonore, le curiosità, le apparizioni del regista, le sue “bionde virginali”, il MacGuffin e tanto altro…

 

 

 

 

 

  I Maestri del Cinema: Alfred Hitchcock
di Bill Krohn
(Cahiers du Cinema, Londra 2010; 208 pagine, € 7,95)

Alfred Hitchcock(GB, 1899-1980) è senza dubbio il regista cinematografico più famoso al mondo. Il suo nome è sinonimo di cinema e ogni nuova generazione riscopre, con immutato piacere, i suoi film, veri capolavori del patrimonio artistico mondiale. L’avventura del cineasta, iniziata nel cinema muto inglese degli anni ’20, culmina con il successo di thriller come “La donna che visse due volte” (1957), da molti considerato il film più bello di sempre.

 

 

 

 

 

 

Psyco & Psycho – Genesi, analisi e filiazioni del thriller più famoso della storia del cinema
di Massimo Zanichelli
(Le Mani, Genova 2010; 184 pagine, € 15,00)

“Psyco” come il capolavoro cult di Alfred Hitchcock. “Psycho” come il romanzo di Robert Bloch da cui è stato tratto, i corrivi sequel degli anni Ottanta e il remake di Gus Van Sant. Il thriller che avrebbe segnato la storia del cinema era un progetto in cui nessuno credeva e che il sessantenne Hitchcock trasformò in un successo planetario, sovvertendo le regole del genere e trasgredendo i canoni della rappresentazione.

 

 

 

 

Vertigo – La donna che visse due volte
di Paolo Marocco
(Le Mani, Genova 2003; 184 pagine, € 18,00)

Propone una lettura critica del celebre film di Hitchcock a partire da alcuni temi fondamentali che costituiscono l’ossatura del film: i motivi del tempo, del doppio e della spirale. Scopo fondamentale è quello di focalizzare alcune tracce visivo-narrative, anticipate nel film di Hitchcock (come i viaggi temporali e la circolarità del racconto filmico), che sarebbero state adottate dal cinema hollywoodiano nei decenni seguenti, attraverso mutazioni capaci di riprodurle in generi differenti da quelli iniziali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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