FERNANDO DI LEO: ANARCHICO DEL NOIR… TRICOLORE!

 

L’amore per il cinema ‘minore’, per quei fenomeni che la critica ufficiale ha sempre guardato con sufficienza e insofferenza, è la molla che ha spinto Quentin Tarantino ad eleggere Fernando Di Leo, autore di noir anarchici ed imperfetti nei difficili anni ’70, come uno dei suoi maestri. Di Leo non è, badate bene, un Fellini, un Rossellini o un Visconti, ma il suo non è un Cinema peregrino. Ora la pubblicazione in un prezioso cofanetto di quattro film del regista in Blu-Ray dalla Raro Video ci permette di ragionare e di fare qualche riflessione sul cinema di Di Leo.

 

«Durante la mia adolescenza lavoravo come commesso in un video-store di Santa Monica ed è stata significativa per la mia professione una delle prime cassette che ho visto: “I padroni della città”. Non sapevo che il film fosse italiano e neanche avevo mai sentito il nome di Fernando Di Leo ===Consulta la Filmografia===: ricordo soltanto che dopo quella visione rimasi totalmente folgorato. Di Leo aveva realizzato fra le strade di Roma una storia di gangster che avrebbe potuto benissimo essere stata girata da Don Siegel: c´era la stessa grinta nella regia, la stessa secchezza dei grandi noir americani. E Jack Palance, poi, era semplicemente grandioso nella parte dello sfregiato. Dopo “I padroni della città” ero ossessionato e sistematicamente mi sono messo a cercare e a vedere gli altri film che aveva diretto Di Leo. Il primo che mi capitò fu “La mala ordina” che, secondo me, nel genere poliziesco, rimane un vero e proprio capolavoro. Ricordo bene l´impatto che ebbe su di me questo piccolo macrò italiano, che veniva ingoiato dal giro grosso, e da New York gli mandavano contro la coppia di killer formata da Henry Silva e Woody Stroode. Ragazzi, credo proprio che Di Leo in quel film abbia dato il massimo di sé. C´è poi un inseguimento pazzesco fra il pappone e quello che gli ha ucciso la moglie e la figlia, che dura almeno un quarto d´ora e lui a un certo punto salta su un camioncino e spacca il parabrezza a testate! Sì, proprio con la testa, incredibile, semplicemente fantastico! Solo un grande regista poteva immaginarsi e girare una scena così lunga senza far mai calare la tensione un istante. Dopo beccai “Il boss”, che in America è stato distribuito come “Whipeout!”, un altro capolavoro pieno di amarezza e di crudeltà, interpretato ancora dal mitico Henry Silva, che fa un killer della mafia che massacra tutti per raggiungere la vetta del potere, e da Richard Conte. La cosa che mi piace nei personaggi di Di Leo è che sono dei delinquenti figli di puttana, ma mai tipizzati, fasulli. E inoltre c´è sempre un´ironia di fondo, anche nelle cose più truci che vengono messe in scena, che rende i suoi film veramente unici. I miei debiti nei confronti di Fernando sono tanti, di passione e anche cinematografici». Questo ha scritto Quentin Tarantino nell’introduzione alla bella monografia sul regista approntata dalla rivista “Nocturno” nel settembre 2003. C’è stata un momento tra i ’60 e ’70 in cui il nostro cinema è stato quanto mai produttivo nello sfornare una lunga sequela di peplum, western-spaghetti, film soft-erotici, commedie pecoreccie, thriller e polizieschi, che all’epoca della loro uscita furono oggetto di critiche feroci salvo poi essere ampiamente rivalutati in seguito. Di Leo è stato uno degli autori incompresi di allora sebbene all’estero fosse assai conosciuto ed i suoi film baciati da grande fortuna soprattutto in America. Tarantino, come avete potuto appurare attraverso le sue parole, ha più volte avuto parole di ammirazione per il poliziesco all’italiana, citando ne “Le iene” una scena di “Il boss” (Fernando Di Leo, 1972), omaggiando in “Pulp Fiction” il regista quando presenta una coppia di killer bianco-nero (SamueI Jackson e John Travolta) di evidente derivazione da quella formata da Woody Strode e Henry Silva, ed inserendo in “Jackie Brown” un frammento de “La belva col mitra” (Sergio Grieco, 1977). Così accolse con entusiasmo, assieme ad un altro nome di prestigio del cinema americano, Joe Dante, l’invito di presiedere quale ‘padrino’ ad un omaggio al regista che venne organizzato al Lido, durante la Mostra del Cinema nel settembre 2004. Qui vennero presentati, restaurati e in digitale, tre titoli esemplari di Di Leo “I padroni della città”, “La mala ordina”, “Il boss”. Film da tempo immemore scomparsi dalla circolazione e che, insieme ad altri lavori ‘invisibili’ e ‘di genere’, la Biennale di Venezia, in comunione d’intenti con la Fondazione Prada, decise di recuperare (e sdoganare) in una rassegna denominata ‘Storia segreta del cinema italiano’.
Fernando Di Leo è morto a Roma nel dicembre 2003 all’età di 71 anni dimenticato da tutti ma non dai suoi cultori. Era nato a San Ferdinando Di Puglia nel 1932 da una famiglia benestante. Basterebbero i suoi grandi noir degli anni 70, “Milano calibro 9”, “Il poliziotto è marcio”, “Il boss”,Diamanti sporchi di sangue” a sancirne la grandezza. Forse i suoi film migliori non sono proprio dei capolavori, ma sono lavori che, pur nell’economia dei mezzi con cui sono stati girati, hanno una tale vitalità che oggi, ad una quarantina d’anni dalla loro realizzazione, possono ancora proporsi significativamente per una riscrittura illuminata della storia del nostro cinema. Il riferimento cinematografico più palese è senz’altro Melville, il suo regista preferito, e il Don Diegel non ancora assurto al rango di grande del cinema. È una personalità di eccellente cultura quando, nei primi anni ’60, si distingue, assieme ad altri talentuosi autori (Franco Giraldi, Duccio Tessari, Tonino Valerii), nella stesura dei primi copioni di western all’italiana; collabora attivamente alla sceneggiatura dei primi due film di Sergio Leone, “Per un pugno di dollari” e “Per qualche dollaro in più” anche se non appare nei crediti, e firma pure “Il ritorno di Ringo” di Duccio Tessari e “I lunghi giorni della violenza” di Florestano Vancini, entrambi con Giuliano Gemma ed in entrambi anche in veste di assistente alla regia. I titoli di testa originali del primo dei due film della ‘Trilogia del Dollaro’ non accreditano la sceneggiatura, attribuita allo stesso Leone e a Duccio Tessari. Ma come si evince dalla lettura della “Avventurosa storia del cinema italiano”, curata da Franca Faldini e Goffredo Fofi, di Leo dichiarava: «I primi due film di Leone li abbiamo scritti io e Tessari, né lui né Vincenzoni […] Poi si fece il secondo, “Per qualche dollaro in più”, scritto quasi interamente da me, ma il mio nome non figurava in cartellone, ero un intellettuale di sinistra, quindi…». Quando passa dietro la macchina da presa alla fine degli anni 60, negli anni del vento nuovo della contestazione, Di Leo è uno sceneggiatore apprezzato ma che sceglie invece di cimentarsi in generi completamente diversi. A parte qualche caduta di stile fragorosa (“Rose rosse per il Fuhrer”, 1968) i suoi lavori sono tutti di grande rilievo e legati alla realtà del tempo; “Brucia ragazzo, brucia”, che va incontro a grossi problemi di censura, e “I ragazzi del massacro”, primo noir e suo primo incontro con i romanzi di Scerbanenco. Un gruppo di studenti uccide la propria insegnante e un ispettore di polizia riuscirà a risolvere il caso solo conquistando la fiducia di uno dei carnefici. “La bestia uccide a sangue freddo” del 1971, thriller orrorifico con Klaus Kinski (dalla tipica espressione paranoica), Rosalba Neri e Margareth Lee, è un tentativo di porsi nella scia del fenomeno Dario Argento, ma non è tra i più riusciti. Kinski è il direttore di una clinica per donne disturbate di mente che vengono assassinate da un misterioso serial killer. Ma “Milano Calibro 9”, in cui durezza e pessimismo s’intrecciano in una cruda storia di malaffare, è già un piccolo gioiello e capostipite assoluto del genere poliziesco all’italiana che tanta fortuna incontrerà negli anni a venire, anche grazie al contributo di altri valenti autori. Girato nel 1971 (ma esce solo l’anno dopo), è il primo capitolo della celebre ‘Trilogia del Milieu’, proseguita con “La mala ordina” e conclusa da “Il boss”, nel corso della quale Fernando di Leo esplora i vari aspetti del mondo della criminalità organizzata. Tratta della mala, quella vera – e non quella che esce edulcorata e levigata dai film d’autore – fatta di piccole figure marginali, ma straordinariamente affascinanti, in ambientazioni quanto mai realistiche. Il film prende il titolo da un racconto, contenuto nella raccolta “I Centodelitti”, dello scrittore ucraino (ma milanese di adozione) Giorgio Scerbanenco, ma nonostante l’evidenza della fonte d’ispirazione, e la fedeltà allo spirito ed alla poetica dello scrittore, si può dire che sostanzialmente il regista pugliese costruisca il suo film in assoluta autonomia, utilizzando la categoria del noir per un personale discorso sociologico e antropologico sull’universo delinquenziale. Protagonista è un eccellente Gastone Moschin nella parte di un bandito uscito di prigione, e tenuto sotto controllo sia da altri malavitosi, convinti che l’uomo si sia fregato trecentomila dollari prima di essere arrestato che dalla polizia. Affiancato dalla splendida Barbara Bouchet, eroina del cinema soft-erotico di genere, da Lionel Stander – che va ad inaugurare la galleria dei grandi interpreti hollywoodiani adottati da di Leo nei propri noir -, ma soprattutto da un Mario Adorf memorabile nella caratterizzazione del violento e sardonico Rocco Musco. Di rilievo, poi, la colonna sonora, composta da Luis Bacalov ed eseguita dagli Osanna, che commenta magnificamente l’alternarsi di crudeltà e lirismo alla base di quello che giustamente si considera il suo capolavoro. Il successivo “La mala ordina” è un poliziesco magnifico, amaro e furioso, crepuscolare e ricco di tensione, in cui un delinquente milanese di mezza tacca, Luca Canali, finisce, senza colpa, nella ragnatela di un regolamento di conti tra i pezzi grossi dell’Organizzazione e si vede costretto a lottare contro due killer newyorchesi spediti in Italia per liquidarlo. Per il ruolo del protagonista la scelta cade su Mario Adorf, che già nel precedente film si è messo in luce con la caratterizzazione di un gangster violento e smargiasso, ma che in questo caso si supera e regala al suo personaggio una incredibile progressione da vittima sbigottita degli eventi – è un magnaccia cui hanno ucciso moglie e figlia – a spietato giustiziere mosso dal motore della disperazione. Un ruolo sanguigno ed indimenticabile, di quelli che avrebbero fatto, o farebbero ancor oggi, la gioia di qualsiasi buon regista di action-movie. Di culto è la sequenza, ricordata anche da Tarantino, in cui Adorf abbatte il vetro di un furgone a testate dopo un inseguimento. “Il Boss” dei tre è certamente il film più nero, cupo, violento e nichilista ed è calato in una Palermo mafiosa che in tanti ci hanno raccontato ma mai con questi toni, con tale concretezza, che accostano la delinquenza organizzata siciliana a quella del gangsterismo americano – infatti è tratto dalla crime-story “Il mafioso” di Peter McCurtin ambientato a New York.- ma aggiungendovi però riferimenti più che espliciti alle connivenze con il potere politico. Tant’è che un Ministro democristiano dell’epoca, riconoscendosi in una delle persone additate nel plot, fa di tutto per impedire alla pellicola di circolare liberamente. Protagonista è Henry Silva, un attore americano che in Italia, e grazie principalmente a Di Leo, che lo richiamerà nel 1985 per “Killer vs Killers” – un tentativo di rifare “Giungla d’asfalto” di John Huston -, è riuscito a trovare una propria dimensione d’interprete. Il sicario silenzioso e gelido, ha nome Sterling, chiaro omaggio a Sterling Hayden, protagonista del classico del regista de “Il mistero del falco”. Seguono lavori più o meno riusciti tra nuovi poliziotteschi (“Il poliziotto è marcio” del 1974, “Città sconvolta” del 1975, “Diamanti sporchi di sangue” del 1978), commedie d’azione (“Colpo in Canna”, 1974, con una sexy Ursula Andress), “Gli amici di Nick Hezard” (1976) –  una sorta di “La stangata” di casa nostra con un ladruncolo impegnato a vendicarsi di un crudele boss cercando di farlo abboccare ad una complicata truffa – e drammi a sfondo sessuale (“La seduzione”, del 1973, dal romanzo “Graziella” di Ercole Patti, con Lisa Gastoni, Maurice Ronet e Jenny Tamburri. Tra questi il migliore è “I padroni della città” del 1976, nuova incursione nella malavita (questa volta romana), in cui svettano le presenze (non da protagonisti) di uno sghignazzante Jack Palance e di un grande attore e caratterista come Vittorio Caprioli. Ma alla fine dei Settanta molte cose cambiano nel panorama del cinema nazionale; la televisione comincia a farla da padrone e Di Leo non riesce più a ritagliarsi un suo spazio. L’ultimo exploit è “Avere vent’anni” del 1978 con la coppia Lilli Carati-Gloria Guida, film a metà strada tra la commedia erotica e il dramma senza speranza. Negli anni ‘80 solo tre film, nemmeno troppo riusciti: “Vacanze per un massacro” (1980), “Razza violenta” (1984) e “Killer contro Killers” (1985).
Quasi l’intera opera di Di Leo è stata pubblicata nel formato DVD negli anni seguenti la retrospettiva a lui dedicata all’ultimo Festival di Venezia, e da poco si è iniziato a curare analoghe edizioni in Blu-Ray. Tutto questo è stato possibile grazie alla cura ed al prezioso ed impeccabile lavoro di restauro e di pulizia dei master originali approntato dalla Minerva/RaroVideo (in collaborazione con la rivista Nocturno, che da almeno un paio di decenni si batte perché venga finalmente riconosciuto il valore come regista di Di Leo) per la collana ‘Il Cinema segreto italiano’. Dodici i film pubblicati (tenendo pure conto che l’ultimo “Killer vs killers”, rimasto inedito nelle sale, è stato inserito nella doppia ‘Collector’s Edition’ che contempla “The Boss”), tutti in eccellenti copie restaurate e rimasterizzate digitalmente, proposti nel corretto formato cinematografico, e ghiotti contenuti speciali o riedizioni particolari (come “Avere vent’anni”, con la coppia sexy formata da Lilli Carati e Gloria Guida, nelle due versioni, quella censurata uscita nelle sale e quella integrale rimontata dal regista). Interessante anche la versione proposta di “La bestia uccide a sangue freddo” che è quella ai limiti dell’hard circolata sul mercato estero e non quella più castigata conosciuta qui da noi. “La mala ordina” presentato per la prima in versione completa, con circa dieci minuti di girato in più rispetto a tutte le versioni finora viste in home-video.
Ed eccoci al cofanetto contenente i Blu-Ray di “Milano calibro 9”, “La mala ordina”, “Il Boss” e “I padroni della città”: Per la prima volta trasferiti in High-Definition per il mercato Home Entertainmet italiano ed internazionale dopo il restauro digitale dei negativi originali in 35mm approntato dalla Raro Video in collaborazione con il Festival di Venezia. Va sottolineato certamente il lavoro rimarchevole realizzato dall’etichetta romana in fase di restauro grazie al quale i film di Fernando Di Leo hanno recuperato lo splendore originario che si palesa ancora meglio nel trasferimento in HD. I Blu-Ray, ad un raffronto comparativo, non possono reggere il confronto con film di recente generazione ma lasceranno di sicuro stupefatti alla loro visione anche i più scettici (o coloro che si avvicinano a questi ‘cult-movie’ con sufficienza) in quanto a luminosità, freschezza e stabilità del quadro video, pulizia delle immagini, solidità dei neri, aderenza della palette cromatica, saturazione dei colori, grana ridotta ai minimi termini e bontà dei dettagli, insospettabili per film di oltre 40 anni fa, e per di più italiani (notoriamente conservati malissimo). La traccia DTS-HD Master Audio 2.0 ricrea in modo eccellente il sound tipico dei film d’azione dell’epoca ed ha (‘of course!’) una componente frontale predominante con qualche leggera distorsione nei momenti d’azione più concitati; non ha l’ambizione di competere con i DTS-HD 5.1 odierni ma di sicuro ha quel sapore vintage che non guasta quando si tratta di recuperare il Cinema del passato. Allegato al cofanetto c’è un pregevole booklet ricco di fotografie e di informazioni sui suoi film principali cui si arriva attraverso un’intervista concessa nel 2001 da di Leo a Luca Rea e una biografia.

 

(Luigi Lozzi)                                                © RIPRODUZIONE RISERVATA

 


(immagini per cortese concessione di Raro Video)

 

NOTE TECNICHE
Il Film

FERNANDO DI LEO: THE ITALIAN CRIME COLLECTION VOL.1
(“Milano calibro 9” + “La mala ordina” + “Il Boss” + “I padroni della città” + booklet di 44 pagine) 

(1972-1976, Raro Video)

Informazioni tecniche del Blu-Ray

Aspect Ratio: 1.85:1 / 1920x1080p (AVC/MPEG-4)
Audio: Italiano/Inglese Dolby Digital 2.0

 

 

 

 

SCHEDE DVD:
I RAGAZZI DEL MASSACRO ===Leggi la Recensione===
1969, 95’
Cast: Pier Paolo Capponi, Susan Scott.
Video: 1.85:1 anamorfico
Audio: Italiano Dolby Digital 2.0
Distributore: RaroVideo/Minerva
Contenuti Extra: Documentari: “Quei bravi ragazzi”, “Fernando di Leo alla Cinematheque Francaise”,