DEBUT ALBUM – THE REMASTERED EDITION di Joan Baez
ARTISTA: JOAN BAEZ
TITOLO: Joan Baez + Vol. 2 + In Concert
ETICHETTA: Hoo Doo Records/Egea (2 CD)
ANNO: 1960/1961/1962/2013
Joan Baez è nota principalmente per il suo impegno politico e per l’attivismo sociale profusi a piene mani a partire dagli anni caldi dei Sessanta – gli anni delle marce pacifiste e della contestazione giovanile – e proseguiti per molti anni a seguire. Ma è anche una delle figure più importanti della folk music americana degli ultimi 50 anni, la massima della sua generazione, la prima artista femminile a imporsi con la propria personalità e modello di riferimento per decine di altre cantanti e cantautrici, sue contemporanee o a venire nei decenni successivi. La Baez ha saputo unire la qualità di una voce pura e cristallina ad una estetica musicale che reinterpretava la tradizione del folk con efficacia e assoluta eleganza accompagnandosi con la sola chitarra acustica. La sua comparsa sulla scena si può datare alle due successive partecipazioni al Folk Festival di Newport nel ’59 e nel ’60; la prima come ospite misconosciuta del set di Bob Gibson e la seconda come protagonista solista. Ma fin dalla prima volta, appena 18enne, la sua esibizione – che non passa inosservata – le vale un contratto con la Vanguard, una piccola etichetta di folk che avrà peso negli anni a venire sui destini del genere. Proprio dopo la seconda esibizione a Newport Joan Baez si recava a New York per incidere l’album di debutto, un tipico disco di folk come all’epoca ce ne erano tanti in circolazione. Inciso in soli quattro giorni nel salone da ballo del Manhattan Towers Hotel, particolarmente apprezzato dagli artisti della Vanguard per l’ottima acustica ‘live’, e pubblicato nell’ottobre di quell’anno, il disco ottenne un discreto successo commerciale, ma quando due anni dopo Joan diventava una stella di prima grandezza rientrava nelle classifiche Pop di Billboard sostandovi per ben 140 settimane. 13 tracce di brani tradizionali folk e blues tra cui ricordiamo “Silver Dagger” in apertura, “Donna Donna”, “Wildwood Flower”, “Rake and Rambling Boy” e lo standard “House Of The Rising Sun”, curiosamente presente pure un paio d’anni dopo sull’album d’esordio di Bob Dylan, ben prima che gli Animals ne facessero un potente inno blues, e che spicca per intensità. L’elemento centrale è la voce di Joan che si accompagna con la sola chitarra acustica, il suo limpido contralto, in alcuni brani si registra il contributo acustico di Fred Hellerman dei Weavers. Altri momenti importanti sono “All My Trials“, “Henry Martin” e “Mary Hamilton“. Un album storico che torna a circolare pubblicato dalla Hoo Doo Records (e non per la originaria Vanguard) per il gioco dei diritti scaduti al compimento del 50° compleanno. Ma l’edizione curata dalla label non si limita a questo, include nella doppia confezione anche il secondo e il terzo disco ufficiali dell’artista (“Vol. 2” del ’61 e “In Concert” del ‘62) più 7 bonus track, ed è stata rimasterizzata a 24 bit. Direi che si tratta di un’occasione ghiotta e unica per riappropriarsi in un sol colpo (47 brani complessivi) dell’arte seminale della folksinger, ma anche di rivivere le atmosfere pregne di ‘good vibration’ dell’America in grande fermento dei primi anni Sessanta. I bonus track poi sono storicamente significativi, costituiscono un elemento davvero utile per i cultori e i collezionisti di folk perché risalgono al 1959, antecedenti quindi le prime incisioni ufficiali, registrati in quel di Boston (dove Joan risiedeva prima di trasferirsi armi e bagagli nella ‘Grande Mela’; era nata il 9 gennaio 1941 a Staten Island, New York) e facevano parte di una compilation introvabile, “Folksingers ‘Round Harvard Square”, pubblicata su una piccola etichetta locale, a riassumere quella che allora costituiva la scena folk dell’area di Boston. In due di questi brani (“Kitty” e “So Soon In The Morning”) Joan duetta con Bill Wood, artista presto scomparso dai radar della musica folk. Gli altri essendo “O What A Beautiful City”, “Sail Away Ladies”, “Black Is The Colour”, “Lowlands” e “What You Gonna Call Your Pretty Little Baby”. Si noti il fatto che questo è materiale divenuto di pubblico dominio solo ora, e che Joan Baez si era sempre opposta alla sua pubblicazione. “Joan Baez Vol. 2“, usciva per la Vanguard, nel 1961, prodotto come gli altri lavori con grande cura, consapevolezza e assoluta padronanza dei mezzi da musicologo Maynard Solomon, trasformatosi all’occorrenza in sapiente discografico. Sempre Joan con la sua voce affascinante da limpido contralto, sempre la chitarra acustica dal suono cristallino, a sostegno, al posto di Fred Hellerman, troviamo in un paio di brani (“Banks Of The Ohio” e “Pal Of Mine”) i Greenbriar Boys solo come backing vocal. È questo il disco che dona all’artista la meritata notorietà ed il successo di vendite è considerevole tanto che in breve diventa disco d’oro (vendite per un milione di $) raggiungendo la 13^ posizione nelle classifiche. Al terzo appuntamento discografico, “Joan Baez In Concert” (Vanguard, 1962), ecco il primo Live a sottolineare quale sia l’habitat ideale in cui Joan può esprimere la sua migliore dimensione artistica. Questa volta la tracklist è costituita non solo di brani tradizionali (ad esempio “Matt Groves“, “Geordie” e “House Carpenter” che diventano subito degli standard nel suo repertorio amati dalle platee dei concerti) ma anche di pezzi d’autore. Si pensi a “Pretty Boy Floyd” di Woody Guthrie o a “What Have They Done To The Rain” di Malvina Reynolds o “Babe, I’m Gonna Leave You” di Anne L. Bredon. Da ricordare che il disco successivo di Joan sarebbe stato un “Joan Baez In Concert part 2” (Vanguard, 1963). Nel tempo l’artista avrebbe elaborato uno stile personalissimo che magistralmente mediava tra attivismo politico e canzone d’impegno, più che rivolgersi esclusivamente al folk, avrebbe intrecciato un sodalizio artistico ed una relazione amorosa assai discussa con Bob Dylan, sarebbe stata a capo di storiche marce pacifiste contro la guerra in Vietnam ed altro (ricordiamo per tutte quella su Washington accanto a Martin Luther King nell’agosto 1963), ma questa è un’altra storia che esula da questo ambito, poiché i primi 3 dischi rimangono tutti in ambito di puro folk, prima che l’artista desse una svolta alla sua carriera in favore della forma ‘canzone’.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA