DALLA POLVERE E DAL FUOCO dei Rusties
ARTISTA: RUSTIES
TITOLO: Dalla polvere e dal fuoco
ETICHETTA: Hard Dreamers/I.R.D.
ANNO: 2015
Ho atteso un po’ di tempo per recensire il disco dei Rusties; non è l’urgenza di ‘essere sul pezzo’ tempestivamente (perché – si dice – l’informazione deve correre veloce) che mi guida, quanto piuttosto il desiderio di far sedimentare meglio nel mio bagaglio cognitivo questo come altri dischi (non tantissimi in verità) che mi interessano e di cui ho voglia di parlare sulle pagine di questo sito che curo di persona. Nel cuore e nell’animo di chi come me ha superato abbondantemente gli ‘anta’ è fin troppo chiaro e preponderante un concetto legato ad antiche frequentazioni di territori rock & blues e ascolti di musica (diciamo) a 180° (una buona metà la boccio a priori per ovvii motivi di opportunità, di mancanza di appeal e per la natura commerciale di tantissimi), e cioè che si diventa musicisti di valore e di qualità solo a fronte di una lunga, necessaria gavetta, nel rispetto e nelle conoscenza di quelli che vengono individuati come maestri. E anche quando ci si trova dinanzi a talenti puri – che dire: Hendrix, Clapton, Winwood o Dylan o quant’altri, anche Battisti e la PFM, tanto per fare nomi – non ho potuto non notare che pure in questi casi il percorso artistico di costoro è passato giocoforza attraverso una maturazione progressiva, attraverso tappe successive e fondamentali per conseguire lo status privilegiato nell’immaginario collettivo che tutti gli attribuiamo. Con questo lungo preambolo a proposito del disco dei Rusties non è che voglia asserire ch’essi siano all’altezza di chi ho citato (al massimo posso augurarglielo; però è arduo, i tempi sono assai cambiati rispetto a 50 anni fa) ma che sicuramente il loro percorso di crescita rispetta in pieno l’ineludibile assunto prima servito: la gavetta loro la stanno facendo eccome; sono 16 anni che suonano insieme. Insomma tutta un’altra concezione, ed approccio diverso, rispetto ai famigerati ‘Talent’ che oggi imperversano dovunque e sviliscono non poco il senso più profondo del fare musica. Intanto, così facendo, i Rusties godono di tutta la nostra stima ed il nostro apprezzamento. La verifica della loro crescita i Rusties la stanno facendo anno dopo anno, giorno dopo giorno, attraverso una continua attività live, autentica cartina tornasole del gradimento e del consenso cui sta andando incontro il gruppo bergamasco. Tutto era cominciato come un gioco, una cover band inneggiante a Neil Young – non è difficile comprendere da dove abbiano desunto il loro nome ‘rugginoso’ –, con concerti tributo al grande canadese tenuti per divertimento, con l’incisione dei primi dischi di cover younghiane poi, strada facendo, il gioco si è fatto ‘terribilmente’ serio e i ragazzi (diventati uomini) hanno cominciato ad elaborare nuovi orizzonti, a sperimentare nuove soluzioni, sempre nel solco comunque di una formula alt-rock d’Americana all’europea che ha trovato i suoi maggiori interpreti – ‘in primis’ – nel freddo nord del vecchio continente. Direi che l’esempio, l’insegnamento ed il certosino lavoro della tedesca Glitterhouse Records ha fatto proseliti anche nel nostro paese. E artisti come Young, Johnny Cash o Leonard Cohen continuano a rappresentare importanti figure di riferimento, ed altri sono emersi nel panorama generale; Chris Eckman con i suoi Walkabout e i Willard Grant Cospiracy su tutti. “Dalla polvere e dal fuoco” è uscito nel gennaio scorso e giunge a segnare una tappa importante per il gruppo; dopo aver realizzato due dischi di canzoni originali in inglese, “Move Along” (2009) e “Wild Dogs” (2011), per la prima volta i nostri hanno realizzato un album di cover (non solo Young ovviamente) in lingua italiana con testi che sono stati tradotti o adattati liberamente da Marco Grompi, leader (assieme all’altro chitarrista Osvaldo Ardenghi), cantante, chitarrista dei Rusties, cercando di non perdere lo spirito degli artisti ‘coverizzati’ e il senso originario delle liriche. La scelta dei nove brani che compongono la tracklist non è per niente banale, è ben accurata, e dà la sensazione che si sia meditato a lungo cosa inserire in un disco che vorrebbe diventare nelle intenzioni dei componenti un turning-point, un nuovo step, un passo in avanti nella loro evoluzione artistica. Il vocalismo di Grompi va migliorando di prova in prova, con buone capacità evocative, anche se (dobbiamo notare) in qualche frangente di questo disco si mostra eccessivamente ossequiosa e debitore nei confronti di Francesco De Gregori, il cantautore che soprattutto adesso, quando il gruppo sta cercando una sua identità, si rivela essere un’altra stella polare nel tragitto dei Rusties. Non è un caso che “Powderfinger (Dalla polvere e dal fuoco)”, il pezzo guida dell’album e versione italiana del brano di Neil del 1978, sia stata adattata da Marco proprio su un’originale traduzione realizzata da Mimmo Locasciulli e De Gregori (sotto le mentite spoglia di Cereno Diotallevi). Grompi ha un’ottima formazione legata anche (lo conoscete anche, credo, in questa veste) alla sua attività di giornalista. Forse poi, in qualche brano, la sua voce viene ‘soffocata’ da un missaggio (ricordiamo che il disco è stato registrato in presa diretta da Filippo Gatti nei suoi studi in Maremma) che mette in primo piano le parti strumentali; qualcosa poi può dirsi più riuscita di altre. Ma si tratta solo di piccole notazioni che non inficiano affatto la bontà del contenuto complessivo del disco. L’apertura è affidata a “Ombre all’Orizzonte”, adattamento di “Ghosts Along The Border” di Chris Eckman (presente sull’album “Harney County” del 2013), poi trovano spazio canzoni di Bruce Cockburn (“Pacing The Cage” del ‘96 diventa “Dentro la gabbia”, la furiosa e serrata “If I Had A Rocket Launcher” dell’84 si trasforma in “Se solo avessi un lanciarazzi”), Neil Young (oltre a “Powderfinger” c’è “The Old Laughing Lady” del 1968, estrapolata dall’esordio discografico solistico del canadese e trasformata in “La ‘Signora’”), Warren Zevon (“Keep Me In Your Heart”/”Tienimi con te” del 2003), Willard Grant Conspiracy (“The Trials Of Harrison Hayes”/”Le intenzioni di Harrison Hayes” del 2003, scritta da Robert Fisher). Gli altri due brani ci portano in direzioni diverse rispetto agli intendimenti dell’album pur rimanendo ben amalgamati con quanto viene proposto; si tratta di “Canzone Logica” rilettura assai personale del successo del 1979 dei Supertramp, “The Logical Song”, e “Aria solida”, con il suo incedere ipnotico, uno dei brani più accattivanti che altri non è che una delle cose più pregevoli del compianto cantautore scozzese John Martyn, “Solid Air” del ’73. Come si può notare non sono stati scelti brani di più immediata presa sul pubblico, piuttosto canzoni che vogliono sedimentarsi lentamente nell’animo di chi le ascolta, avere una loro vita autonoma nella percezione di coloro che col tempo dovranno/potranno farle loro. Predominano toni crepuscolari e atmosfere malinconiche e nostalgiche, gli arrangiamenti sono essenziali ma le suggestioni assai forti; si rende conto dell’impegno politico di un Cockburn, dello struggente lirismo di un altro compianto artista come Warren Zevon e della dottrina di una personalità sfaccettata e determinante come Neil Young. Una nota di merito va poi agli altri componenti della formazione che si rendono artefici di un tappeto sonoro di buona solidità; da Massimo Piccinelli alle tastiere a Fulvio Monieri al basso, da Filippo Acquaviva alla batteria a Jada Salem, ‘guest’ al violino.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA