CROSBY, STILLS & NASH in Concerto
CROSBY, STILLS & NASH in concerto – 19 Luglio 2013 alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica – Roma La magia del suono westcoastiano dei Sessanta e Settanta è tornata prepotentemente alla ribalta l’altra sera, alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, nell’ambito della rassegna ‘Luglio Suona Bene 2013’, grazie a Crosby, Stills & Nash, autentiche leggende del tempo che fu, che tutto sono fuorchè giurassici.
I tre sono stati protagonisti di un concerto fantastico, all’altezza della loro fama e senza apparire datati né fuori dal tempo. È stata un’esibizione impeccabile, ricca di nostalgiche ‘good vibration’, praticamente perfetta. Il supergruppo composto da David Crosby, Stephen Stills e Graham Nash si era messo in mostra al Festival di Woodstock del 1969 nella formazione a quattro, con Neil Young a complemento. Tanti anni sono passati da allora, ben 44, e tante cose sono cambiate nella vita privata dei tre protagonisti ma anche nella storia della Musica che in tutto questo tempo ha vissuto importanti evoluzioni e rivoluzioni. Intanto allora, ben presto con la fuoriuscita dell’irrequieto canadese, rimaneva (salvo saltuari ritorni di fiamma di Neil) la formazione a tre che ora conosciamo e che possiamo acclamare in tour in giro per il mondo. Le loro, consegnate alla storia, sono canzoni ancora pregne di quelle utopie antimilitariste e pacifiste che ai giorni nostri appaiono un po’ demodé e fuori contesto, comunque cantate all’unisono, assieme ai loro beniamini, da un pubblico nostalgico di ‘over’ dagli occhi lucidi per l’emozione. A distanza di tanti anni, con i protagonisti imbolsiti nel corpo ma non nello spirito, emerge ancora limpidissima la freschezza di un sound che ha fatto scuola. Un avvio bruciante con “Carry On” (tratta da “Déjà Vu”, il mitico album del ’70 inciso con Neil Young), brano ideale ad esaltare le armonizzazioni vocali dei tre protagonisti, seguito dalle varie ed indimenticate “Marrakesh Express”, la bluesy “Long Time Gone”, un evergreen marchiato indelebilmente dalla sofferta ma ancora perfetta voce (nonostante le ‘intemperie’ della vita cui è andato incontro e le 72 primavere alle spalle) di Crosby, la romantica “Just A Song Before I Go”, cavallo di battaglia ‘soft-melodico’ di Nash, la title-track “Déjà vu”, “Helplessly Hoping”, “Love the One You’re With”, la celebratissima “Teach Your Children” e il monito pacifista di “Military Madness”, tra le altre. Quello che colpisce è l’assoluta abilità del trio (e della band che è alle loro spalle), ma anche la freschezza del loro canto carismatico, del loro sound chitarristico. Nostalgico sì, ma niente affatto peregrino, improvvisato o affidato al caso. Davvero rimarchevole. Ognuno dei tre beneficia dei propri spazi nei momenti in cui non suonano insieme come gruppo. Mentre Crosby e Nash costituiscono l’aspetto più gentile e pacato della musica dei CS&N (“Our House”, “Lay Me Down” docet), sotto il profilo prettamente musicale a fare la parte del leone, per abilità strumentale e per solidità del suono, è Stephen Stills (classe 1945), autentico rocker dall’anima blues; pensiamo alla ruvida “Southern Cross”, graffiata dalla sua voce. A fare da gran cerimoniere della serata, per introdurre i vari brani variamente interpretati e presentare la band a supporto, provvede Nash (classe 1942), il più giovanile dei tre che annuncia pure alcuni brani inediti che andranno a comporre la track-list del nuovo disco prossimo all’uscita nel gennaio 2014 (“Time I Have”, “Exit Zero”, “Burning For the Buddha”, quest’ultimo incentrato sui problemi libertari che il Tibet ha con la Cina). Stills è incerto sulle gambe, claudicante, spesso – quando al proscenio ci sono i vocalizzi vellutati di David e Graham –, lui che ha una voce più ruvida e meno ‘educata’ degli altri due, si assenta dal palco per riposare; sappiamo che è stato operato qualche anno fa di un tumore alla prostata, ma quando è lui a prendere le redini del concerto – e si lancia negli assolo con la sua Fender Stratocaster – questo prende una decisa virata verso sonorità elettriche e blues più sanguigne e corpose, capaci di mandare in visibilio i cultori del rock e del blues e di alzare la temperatura rock della serata. Come quando ci regala una fiammeggiante e travolgente versione di “Bluebird”, scritta nel 1967 ed estrapolata dal repertorio dei Buffalo Springfield di cui faceva parte assieme a Young prima di approdare nel supergruppo in questione. Crosby – classe 1941, il volto incorniciato dai baffoni e lo sguardo dolce – canta in solitario, con timbro cristallino, “What Are Their Names” (tratta dallo storico album solista “If I Could Only Remember My Name”) ed è protagonista della delicata “Guinnevere”, uno dei punti più alti della sua scrittura – e infatti raccoglie un lungo ed affettuoso applauso da parte degli astanti – che poi fa seguire da “Triad”, scritta per gli amici Jefferson Airplane che la inclusero nell’album “Crown of Creation”. Nash è invece protagonista assoluto (accompagnandosi al pianoforte) di una delle sue perle melodiche, “Cathedral”, introdotta solennemente dall’organo di Raymond. Poi li ritroviamo ancora tutti insieme per “Chicago”, “We Can Change The World” e la blueseggiante “Almost Cut My Hair” e la conclusiva “Wooden Ships”. Il bis che chiude il concerto è affidato ad una versione epica di “Suite: Judy Blue Eyes”, vero e proprio cavallo di battaglia del gruppo, un pezzo che Stills scrisse dedicandalo all’allora sua fidanzata, Judi Collins. A fare da cornice (e dare sostegno) alle loro performance provvede una band ben affiatata composta da session man collaudati come Shane Fontayne (alla chitarra), Kevin McCormick (al basso) e Steve DiStanislao (alla batteria), i tastieristi Todd Caldwell (all’Hammond) e James Raymond (figlio di Crosby, al pianoforte). Il concerto – che si concede una pausa di una ventina di minuti – va avanti leggero e ricco di suggestioni nostalgiche per oltre due ore e quaranta minuti terminando ben oltre la mezzanotte.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA