BELFAST di Kenneth Branagh
AMARCORD A BELFAST
Per Kenneth Branagh “Belfast” rappresenta l’opera ‘amarcord’ e dico subito che è film di bellezza struggente, visivamente potente ed esteticamente inappuntabile.
È incentrato sulla guerra civile tra protestanti e cattolici in Irlanda del Nord vista con gli occhi di un bambino. Nell’incipit a colori ci viene mostrata, con immagini aeree e panoramiche, la capitale dell’Irlanda del Nord come appare oggi; subito però le immagini si trasformano in B&N e ci trasportano nella Belfast del 1969. Nel quartiere di Buddy’s Street, abitato da protestanti e da cattolici, il giovane protagonista Buddy, nove anni, vive lì con madre e fratello maggiore mentre il padre è stato costretto ad andare a lavorare in Inghilterra come carpentiere e fa ritorno a casa una settimana si e una no. Le due comunità vivono in serenità e fratellanza, gli uni accanto agli altri, fino a quando, nell’agosto di quell’anno, per un latente malcontento sociale, esplode improvvisamente il conflitto religioso da parte di gruppi di unionisti protestanti (sostenuti dalla polizia) che attaccano le case e le attività commerciali della minoranza cattolica (anche a Derry, oltre che a Belfast, ci furono scontri tra il 12 e il 15 agosto passati alla storia con il nome di ‘The Troubles’), seminando odio e violenza, e minando la tranquillità del quartiere. Nella strada principale del quartiere vengono erette le barricate. Il conflitto nordirlandese si protrasse per circa un trentennio si consumò tra la maggioranza protestante (gli Unionisti, schierati al fianco della corona inglese) e la minoranza dei cattolici, che non gradivano l’annessione dell’Ulster alla dominazione del Regno Unito e sognavano di ricongiungersi con la Repubblica d’Irlanda. La famiglia di Buddy è protestante, e non ha motivi per odiare o combattere i cattolici, con cui convive nello stesso quartiere e condivide la stessa scuola per i propri figli, e si tiene fuori dai problemi venutisi a creare, senza farsi coinvolgere dall’odio religioso che qualcuno cerca di istigare in loro: con sgomento si interroga su quello che potrà accadere. Il papà lavora Londra per ripagare una serie di debiti accumulati con il fisco e di fronte alla situazione che si è venuta a creare a Belfast riaccende il sogno di emigrare a Sydney o Vancouver; la mamma è spaventata all’idea, emigrare è una tentazione forte, ma come si fa a lasciare l’amata terra, sradicare i figli dall’ambiente in cui sono cresciuti, staccarsi dai nonni cui Buddy e affezionato? Tutti, ragazzino in testa, vivono felici e amati, e si sono sentiti al sicuro nel cuore del quartiere abitato da una comunità unita e solidale, fino al momento dei fatti da cui parte il racconto. I sogni d’infanzia di Buddy si trasformano in un incubo. «Buddy – ha detto il regista irlandese – è una versione immaginaria di me stesso», e il regista, che è nato nel 1960 in una famiglia protestante dell’Irlanda del Nord, all’epoca dei fatti aveva l’età del piccolo protagonista del film, e quindi guarda alla sua infanzia nel portare a compimento non solo un affettuoso e convinto omaggio alla sua città natale ma nel comporre un commovente ritratto poetico e sociale (e carico di sentimento) che non può non intrigare un certo pubblico sensibile e motivato. Così “Belfast”, oltre che luogo della memoria, diventa romanzo di formazione per il giovane Buddy (interpretato dal bravissimo Jude Hill). È anche innamorato della compagna di classe Catherine (cattolica, e ne veniamo a conoscenza alla fine del film) e cerca di conquistarla seguendo i consigli del nonno. E non mancano passaggi di metalinguaggio cinematografico quando il regista, nel mostrare i film che la famiglia tutta andava a vedere al cinema o che passavano in televisione, cita (sicuramente) i film della sua infanzia: “L’uomo che uccise Liberty Valance” (1962), “Un milione di anni fa” (1966) con l’iconica Raquel Welch, “Mezzogiorno di fuoco” (1952), “Chitty Chitty Bang Bang” (1968); il tutto serve anche a delineare il mondo dei sogni di Buddy che di fatto diventa ‘a colori’ nella sua esperienza da spettatore a teatro in compagnia della nonna. E tutto questo mentre all’epoca l’uomo muoveva i primi passi sulla Luna. È chiaro che Buddy rappresenta l’alter ego di Kenneth ed è con i suoi occhi da ragazzino che il racconto si esplicita agli occhi e al cuore dello spettatore. La fotografia (di Haris Zambarloukos) in un Bianco & Nero della ‘memoria’, profondo e dai contorni netti, delinea la cifra stilistica personale e (di certo) inappuntabile del regista, cala il film nel più adeguato dei ‘mood’ e diventa una delle componenti fondanti del film. Un po’ come era accaduto per il viaggio autobiografico che Alfonso Cuaròn aveva realizzato con “Roma” nel 2018, stesso Bianco & Nero, identici vividi ricordi, ma Città del Messico invece che Belfast. In quanto a rimandi cinematografici a noi sono venuti in mente anche “Anni ‘40” (1987), di John Boorman, storia di una famiglia in un sobborgo di Londra all’inizio della Seconda Guerra Mondiale basata sull’esperienza diretta dello stesso regista, e, per qualche verso “The Commitments” (1991) di Alan Parker, affresco in B&N della classe operaia di Dublino che non smette mai di sognare. Un altro elemento importante nella riuscita del film è costituito dall’ottimo cast; dal piccolo protagonista Jude Hill di cui si è detto, alla coppia di genitori, formata dall’attrice e supermodella irlandese Caitríona Balfe (nata a Dublino nel 1979 e straordinaria nel suo ruolo) e da Jamie Dornan (che avevamo visto come il bel Cristian Grey in “Cinquanta sfumature di grigio”), ai veterani, la splendida coppia dei nonni che hanno i volti e la grandezza di Judy Dench e Ciarán Hinds. Non solo Branagh è nato a Belfast, lì sono nati pure altri interpreti (James Dornan, Ciarán Hinds), e la capitale dell’Irlanda del Nord ha dato i natali anche a Van Morrison, l’indomabile ‘cowboy di Belfast’, autore delle magnifiche ballate che accompagnano l’appassionata narrazione filmica. Potremmo certamente affermare che Branagh abbia voluto dedicare il suo film alle persone, a «quelli che sono rimasti, a quelli che sono partiti, a quelli che si persi lungo la strada» (come si sottolinea nei titoli di coda), ricordo commosso e struggente di una comunità che non esiste più, da ricordare con rimpianto e amore. A stemperare il senso doloroso di disoccupazione, diseguaglianze tra gruppi, povertà di larghe fasce di popolazione e costante emigrazione ascoltiamo le parole ironiche della zia di Buddy, quando dice che “se gli irlandesi non emigrassero, non ci sarebbero buoni pub nel resto del mondo”. Kenneth Branagh ===Consulta la Filmografia=== è regista eclettico, ed attore, di formazione teatrale, il più degno nel raccogliere l’eredità artistica di Laurence Olivier, è divenuto celebre grazie alle riduzioni cinematografiche delle opere di William Shakespeare, a partire da “Enrico V” del 1988 e poi proseguendo con altri adattamenti come “Molto rumore per nulla” (1993), “Hamlet” (1996), “Pene d’amor perdute” (2000), “As You Like It – Come vi piace” (2006) ma distinguendosi pure per altri film di forte richiamo quali “Frankenstein di Mary Shelley” (1994), “Thor” (2011), “Cenerentola” (2015), “Assassinio sull’Orient Express” (2017) ed il recentissimo “Assassinio sul Nilo” (2021), gli ultimi due trasposizioni dei celebri romanzi di Agatha Christie nei quale Kenneth veste i panni del detective belga Hercules Poirot. Quando si vede il piccolo Buddy leggere i fumetti di Thor qualcuno ha parlato di ‘pensiero retroattivo’, di “strizzata d’occhio per rendere chiaro al pubblico che sì, si parla proprio di lui”; non c’è certezza che Buddy leggesse proprio quei fumetti ma la consapevolezza, quella sì, che in una forma di transfer metalinguistico Branagh abbia voluto citare la sua regia per un film dedicato ad uno degli eroi dell’universo della Marvel Comics (“Thor”, 2011). E se a qualcuno (e ce ne sono, credetemi, di critici con la ‘puzza sotto il naso’) il film può sembrare ‘didascalico’, ‘ingenuo’, ‘velleitario’, ‘scaltro e ruffiano’, ‘un pò troppo semplicistico e farsesco’, ‘un pò lezioso’, ‘con troppi primi piani’, rispondo che “Belfast” trasuda passione, emozione, memoria del ‘tempo perduto’ come tante volte accade nel buio ‘meraviglioso’ di una sala cinematografica. È un’opera personale in cui l’accuratezza e la maestria della realizzazione depone a favore della sincerità del regista, certifica il suo desiderio di raccontare la propria infanzia e l’amore per la sua famiglia e la sua città. Questo perché il Cinema (almeno oggi) non è solo effetti speciali, mondi paralleli e personaggi eccessivi e/o sovradimensionati, ma può essere pure un modo di raccontare storie in cui ognuno può ritrovare qualcosa di se stessi ed emozionarsi. Il Cinema è Vita, quando il ‘privato’ diventa ‘universale’. Il film è stato presentato in anteprima in Italia alla Festa del Cinema di Roma, all’interno di Alice nella Città, ed ha ottenuto 7 candidature ai Premi Oscar (a quelle come Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale, si aggiungono quelle per gli attori non protagonisti, Dench e Hinds, per il sonoro e per la Miglior Canzone a Van Morrison), è stato premiato a Golden Globes, al Roma Film Festival, a Toronto, ha ottenuto pure 6 candidature ai premi BAFTA, 11 ai Satellite Awards, 11 ai British Independent, 9 ai Critics Choice Award e 2 ai SAG Awards.
(Luigi Lozzi) © RIPRODUZIONE RISERVATA
BELFAST
DRAMMATICO
(Belfast)
Gran Bretagna, 2021, 97’
Regia: Kenneth Branagh
Cast: Jude Hill, Caitriona Balfe, Judi Dench, Jamie Dornan, Ciarán Hinds, Colin Morgan, Lara McDonnell, Conor MacNeill, Zak Holland, Thea Achillea.
Distributore: Universal Pictures
Data di uscita in Italia: giovedì 24 febbraio 2022